Ieri, 24 luglio, nella quarta giornata di proteste da fine maggio contro il presidente brasiliano, decine di migliaia di persone sono scese in piazza al grido di “Fora Bolsonaro” per chiedere a gran voce l’impeachment. Le città del Brasile in cui si sono svolte le manifestazioni, guidate dai partiti di sinistra e da collettivi sindacali e studenteschi, sono oltre 400, in almeno 20 dei 26 stati federati che compongono il paese. Le manifestazioni più partecipate hanno avuto luogo nelle metropoli di San Paolo, Belo Horizonte e Brasilia, ma le proteste sono scoppiate anche in centinaia di cittadine minori e piccoli paesi.
Jair Bolsonaro, eletto il 28 ottobre 2018 con il 55% dei voti, ha visto il suo consenso crollare drasticamente nell’ultimo anno. Secondo alcuni rilevamenti dell’istituto di sondaggi Datafolha, oltre la metà della popolazione del Brasile ritiene la presidenza di Bolsonaro “pessima” e sarebbe a favore della messa in stato d’accusa del presidente. Le ragioni alla base delle scoppio delle rivolte sono molteplici, dall’imposizione e diffusione di una retorica populista di estrema destra alle politiche di distruzione ambientale dell’Amazzonia, ma il motivo principale va ricondotto alla vergognosa gestione dell’emergenza sanitaria da parte del governo Bolsonaro.
Dall’inizio della pandemia mondiale, il Brasile ha registrato circa 20 milioni di contagi e oltre mezzo milione di morti, cifre spaventose che pongono il bilancio al secondo posto per gravità dopo gli Stati Uniti. Fin dai primi mesi di allarme nel 2020, la posizione di Bolsonaro è sempre stata negazionista e contraria a qualsiasi forma di lockdown o chiusura temporanea delle attività, tanto che gli uffici di comunicazione del presidente avevano diffuso campagne pubblicitarie e fake news che incoraggiavano la popolazione ad uscire di casa e a non modificare le proprie abitudini. Nei mesi successivi, il mondo intero ha assistito alla messa in atto di un vero e proprio piano criminale: l’intento di Bolsonaro, infatti, era quello di raggiungere la così detta “immunità di gregge”, agevolando la diffusione del coronavirus tra la popolazione del Brasile. In un paese come il Brasile, ipotizzando una soglia minima necessaria per l’immunizzazione di circa il 70% della popolazione e un tasso di mortalità dell’1%, significa che per realizzare il piano di Bolsonaro era stata prevista e accettata la morte di un milione e mezzo di persone. In questa direzione, anche la campagna vaccinale in Brasile ha registrato record al ribasso: a causa della negligenza del governo Bolsonaro, che ha ritardato l’acquisto delle dosi di vaccino per mesi e rifiutato più volte le offerte di Pfizer, non è mai esistito un vero e proprio piano vaccinale e le somministrazioni sono state fatte a rilento e con molte interruzioni, sicché al momento solo il 17,6% della popolazione del Brasile risulta vaccinato. I frutti di questa politica scellerata sono evidenti: ancora oggi, in Brasile, il virus incalza al ritmo di un migliaio di morti al giorno.
Ad infuocare ancor più gli animi dei manifestanti e dei cittadini brasiliani ha certamente contribuito l’avvio dell’inchiesta del Senato sulla gestione dell’emergenza covid-19 di Bolsonaro, iniziata il 27 aprile 2021 e trasmessa ogni giorno in streaming e sul canale TV Senado. Al centro dell’inchiesta c’è lo scandalo circa le anomalie di bilancio nelle trattative di compravendita di 20 milioni di dosi del vaccino Covaxin, prodotto in India dalla Bharat Biotech e non ancora approvato dalle autorità sanitarie brasiliane, per un importo di 320 milioni di dollari. Inoltre, un’ulteriore spinta alle manifestazioni contro Bolsonaro è stata il rientro sulla scena politica di Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile dal 2003 al 2010, scarcerato dalla Corte Suprema nel novembre del 2019 dopo aver trascorso 560 giorni in prigione tra il 2018 e il 2019 per una dubbia accusa di corruzione e riciclaggio. Avendo riacquisito i diritti politici, infatti, sembrerebbe che l’ex presidente di sinistra coltivi l’intenzione di candidarsi nuovamente alle prossime elezioni del 2022.
Le manifestazioni di ieri sono state le più grandi dall’inizio dell’emergenza sanitaria: esibendo striscioni e cartelli con foto e nomi dei propri cari morti a causa del covid-19 accompagnate dagli slogan #Fora Bolsonaro e #BolsonaroGenocida, decine di migliaia di persone hanno voluto ribadire come quelle vite siano sulla coscienza del presidente e del suo entourage, chiedendo che venga fatta giustizia. Le proteste, inoltre, hanno avuto il merito di evidenziare come i gravissimi problemi legati alla pandemia mondiale e alla gestione criminale di Bolsonaro si siano sommati a quella che è una crisi economica, politica e istituzionale che, fin dalla sua elezione, sta consumando il paese e mettendo a rischio la sua democrazia.
Nonostante le pressioni per l’impeachment di Bolsonaro stiano crescendo sempre più, non è ancora chiaro se ci siano le condizioni per avviare la procedura. Infatti, benché Bolsonaro abbia perso molto sostegno e diversi collaboratori dalla sua elezione ad oggi, perché venisse approvato l’impeachment ci vorrebbero due terzi dei voti della camera bassa del parlamento, all’interno della quale il presidente brasiliano sembra avere ancora fin troppi alleati.
Marta Renno