Fondo sovrano norvegese: stop agli investimenti nell’israeliana Bezeq

Fondo sovrano norvegese

Il Fondo sovrano norvegese, ad oggi il più grande al mondo, ha deciso di disinvestire dall’azienda di telecomunicazioni israeliana Bezeq, in quanto quest’ultima presta i suoi servizi negli insediamenti illegali in Cisgiordania. La notizia è il culmine di un sentimento anti-israeliano crescente all’interno della Norvegia e potrebbe avere pesanti ripercussioni in campo economico e delle relazioni internazionali.

Nato ufficialmente nel 1990 in seguito alla scoperta di giacimenti di petrolio nel Mare del Nord, il Fondo sovrano norvegese (Government Pension Fund Global) è ad oggi il più grande proprietario nei mercati azionari mondiali, possedendo quasi l’1,4% di tutte le azioni delle società quotate nel mondo. Il colosso norvegese gestisce le entrate derivanti dall’estrazione di gas e petrolio per poi investirle appunto in azioni, obbligazioni e immobili: si spazia dal mondo tech a quello delle infrastrutture fino all’energia rinnovabile.

Il Fondo sovrano norvegese, che lo scorso anno ha raggiunto guadagni record e vede protrarre questo trend positivo, ha legami con le aziende più celebri del mondo, tra cui Apple, Nestle e Microsoft. Fino a poco tempo fa, in mezzo a quest’ultime spiccava il nome di Bezeq, un noto fornitore di telecomunicazioni con sede a Israele che si occupa di servizi di linea fissa e mobile, accesso ad Internet, trasmissioni radiofoniche e televisive.

Prima di ritirarsi da Bezeq, il Fondo sovrano norvegese possedeva circa lo 0,76% delle azioni della società israeliana che opera anche nella West Bank, per un valore di 23,7 milioni di dollari.

Negli scorsi giorni, il Consiglio Etico del Fondo ha infatti annunciato:

Abbiamo deciso di escludere la società Bezeq – The Israeli Telecommunication Corp Ltd a causa di un rischio inaccettabile che la società contribuisca a gravi violazioni dei diritti degli individui in situazioni di guerra e conflitto  […] Il Consiglio ritiene che, attraverso la sua presenza fisica e la fornitura di servizi di telecomunicazione agli insediamenti israeliani in Cisgiordania, la società stia aiutando a facilitare il mantenimento e l’espansione di questi insediamenti, che sono illegali ai sensi del diritto internazionale. Così facendo, la società sta essa stessa contribuendo alla violazione del diritto internazionale.

Bezeq era sotto osservazione già dal 2021 e oggetto di numerose raccomandazioni rimaste però inascoltate. In seguito agli avvenimenti del 7 ottobre, la Norvegia aveva già tagliato i ponti con altre 9 aziende israeliane, tra cui Palantir Technologies, società che si occupa di dati Al coinvolta nella fornitura di servizi alle forze armate e di sicurezza israeliane.

Secondo i rappresentanti di Bezeq, il disinvestimento dal piccolo numero di azioni possedute dal fondo (che aveva già ridotto il numero delle sue azioni dal 2,2 allo 0,76%) non influenzerà la società, dichiarando inoltre che il lavoro di Bezeq nell’Area C di Gaza e in Cisgiordania è in linea con le disposizioni degli Accordi di Oslo del 1993.




L’importanza dell’etica

Questa notizia non sorprende, data la vicinanza che il governo norvegese ha più volte espresso nei confronti del popolo palestinese e le critiche dirette all’operato di Netanyahu: infatti, insieme a Spagna e Irlanda, il Paese è oggi uno dei pochi al mondo a riconoscere lo Stato palestinese. Inoltre, la Norvegia è l’unico paese europeo che si è rifiutato di definire Hamas come un’organizzazione terroristica.

Il Fondo sovrano norvegese ha sempre dimostrato una particolare attenzione alla questione etica degli investimenti e alla necessità di proteggere i diritti umani: in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il Fondo aveva deciso di congelare tutti gli investimenti in società russe e più di recente ha rotto i legami con Evraz, multinazionale mineraria e produttrice di acciaio con sede in UK ma proprietà di alcuni oligarchi russi molto vicini a Putin.

Quella del boicottaggio di Israele e di aziende legate ad esso è ormai una pratica sempre più diffusa, sintomo di una profonda volontà di distanziarsi da quello che è chiaramente un genocidio nei confronti dei palestinesi. Dalle aziende ai lavoratori fino alla gente comune, c’è ora la presa di consapevolezza che le azioni di Israele sono insostenibili, anti-democratiche e criminali.

Nonostante ad oggi non si sappia se la decisione presa dal Fondo possa portare a cambiamenti sostanziali, non sono mancate piogge di critiche: molti analisti hanno definito questa azione come “antisemita“, rifiutando però qualsiasi approfondimento della questione palestinese che non banalizzi e semplifichi le dinamiche messe in atto.

Le nuove guidelines adottate dal gigante norvegese potrebbero coinvolgere anche i produttori di armi statunitensi legati all’esercito israeliano, tra cui RTX Corp, General Electric e General Dynamics – una cosa simile era già successa lo scorso giugno con l’esclusione dell’azienda americana manifatturiera Caterpillar, le cui attrezzature sono state utilizzate dalle forze di occupazione israeliane a Gaza. Anche se come dichiarato  dallo stesso Consiglio Etico, ormai ci sono pochissime aziende rilevanti rimaste nel fondo, in parte perché molti produttori statunitensi nell’ambito della difesa erano già stati esclusi a causa delle loro attività passate.

La Norvegia sembra volersi così distanziare dall’ipocrisia e dai doppi standard occidentali, soccombendo alle pressioni di migliaia di attivisti, partiti e organizzazioni che da mesi protestano per le strade del Paese invocando a gran voce la fine della guerra in Medio Oriente.

Tali azioni, unite alla solidarietà internazionale, potrebbero essere decisive nel porre fine all’occupazione illegale dei territori palestinesi da parte di Israele, che ormai perdura da troppo tempo.

Sara Coico

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