“Foglie di gelso” di Aysar al-Saifi racconta il lato più intimista della questione palestinese

Foglie di gelso

Una narrazione intensa e toccante emerge dalle pagine di Foglie di gelso, il reportage narrativo di Aysar al-Saifi pubblicato per la prima volta nel 2021 per Prospero Editore. Quest’opera collettiva composta da 38 racconti basati su storie vere non si limita a trattare l’aspetto più politico dell’oppressione del popolo palestinese ma compie un vero e proprio viaggio tra le emozioni, le riflessioni e i dilemmi morali che accompagnano i protagonisti le cui vite sono segnate dalla prigionia e dalla miseria.

Ogni racconto di Foglie di Gelso è un tassello che compone il mosaico di un’esperienza umana eterogenea, in cui le opinioni e le percezioni variano, riflettendo la complessità delle relazioni con il “nemico-vicino” e quella patria che non viene riconosciuta, la Palestina.

La raccolta è costituita da storie vere, tramandate oralmente e poi fissate su carta grazie all’esperienza nel campo profughi di Dheìsheh a Betlemme, di cui è originario lo stesso autore, oggi emigrato in Italia.

Al-Saifi ha saputo catturare e restituire le voci di chi spesso rimane inascoltato, offrendoci una prospettiva unica che pone l’accento sulle sfumature di un’umanità che resiste, sulla memoria e sulla nostalgia ma anche sulla sofferenza e sulle brutalità vissute da persone comuni.

«Gli occhi dei e delle palestinesi erano vivi, orgogliosi della propria riscossa e volenterosi di affermare la propria identità, anche solo con lo sventolio della bandiera palestinese.»

Luoghi che prendono vita

Al centro della narrazione di Foglie di Gelso è posto appunto Dheisheh: creato nel 1949 per raccogliere migliaia di persone sfuggite alla Nakba, è ancora oggi uno dei campi profughi più grandi tra i 19 situati in Cisgiordania e Gaza.

Luogo di orrori e punizioni collettive da parte dell’Occupazione israeliana, si stima che oggi Dheisheh accolga circa 15 mila rifugiati palestinesi, un numero impressionante di persone per cui questo luogo è stato per molto tempo “casa”, oltre che covo di solidarietà e formazione di coscienza politica.

Ci sono poi le innumerevoli prigioni israeliane, che negli anni hanno recluso 800 mila palestinesi di tutte le età, il più delle volte bloccati nel limbo della “detenzione amministrativa”, senza accesso alle cure di base e il riconoscimento dei diritti fondamentali. Le carceri, come quelle di Al-Naqab, Ashkelon e Nafha, sono il microcosmo della vita dei palestinesi soggetti alla tirannia dei soldati d’Israele, teatri di violenze impronunciabili e scioperi della fame come forma di protesta contro l’esercito israeliano.

I personaggi descritti da al-Saifi in Foglie di gelso si destreggiano così tra la “posta” (i tribunali delle carceri piccoli come una scatola e gelidi come un frigorifero) e le “spiumatrici”, ossia le porte attraverso cui devono passare i palestinesi per entrare nei territori occupati e dove regna la disumanizzazione.

L’opera di al-Saifi si sofferma anche sui checkpoint israeliani, che costringevano le persone ad aspettare interminabili ore nell’afa estiva o al freddo dell’inverno, i quali vengono descritti dettagliatamente nel terzo racconto:

«Sono come piazze per l’umiliazione pubblica dei palestinesi, che li subiscono diversi tipi di offese e torture […] Questi posti di blocco non separano solo palestinesi e israeliani, ma anche palestinesi e palestinesi.»

Ci sono infine le case, fatte saltare in aria dall’Occupazione israeliana per ripicca, mille volte distrutte e altrettante ricostruite, emblema della famiglia, dei ricordi dell’infanzia e della vita prima della prigionia.

Personaggi indimenticabili

I protagonisti di Foglie di gelso, proprio per la loro diversità e appartenenza alla gente comune, entrano nel cuore del lettore, ognuno con qualche insegnamento e una storia unica da raccontare.

C’è Khaled, figura di riferimento all’interno della prigione e uomo di grande saggezza e cultura: accoglie in carcere il giovane Ahmed e si prende cura di lui, proprio come aveva fatto il detenuto Rami quando a sua volta era un giovane inesperto; grazie alla sua inventiva e alla sua continua resilienza, Khaled riesce a rendere le condizioni di vita della prigione un pò più accettabili per lui e per i suoi compagni. Lui è il simbolo della resistenza palestinese, la più radicale e consapevole dal punto di vista politico.

«I palestinesi dovettero ribellarsi e indire degli scioperi per vedere garantiti i propri diritti fondamentali. I carcerati avevano infatti compreso rapidamente che l’Occupazione mirava a distruggere la loro cultura e il loro patrimonio con l’intento di creare dei corpi vuoti, senza contenuto, che avrebbe potuto manovrare a proprio piacimento.»

Si incontra anche il Comandante Nidal, l’ufficiale che aveva inventato il metodo di sparare alle gambe dei ragazzi per renderli storpi e impedire loro di partecipare ai cortei, proprio negli anni in cui l’incessante attivismo politico, sociale e culturale, aveva reso il campo di Dheisheh uno dei più pericolosi.

«Da quel giorno il campo non ha speranza di negoziare una tregua con la morte; ogni giorno è un dramma di cui non ci è concesso conoscere l’atto successivo. È la rappresentazione della patria palestinese, dove il sangue non si asciuga e le urla non si spengono. Storie e racconti che impregnano i muri, come l’umidità.»

Una delle storie più toccanti di Foglie di gelso è quella di Ahmed, il cui sogno di giocare a calcio è stato infranto dalle forze di Occupazione che gli hanno sparato alla gamba, o ancora quella di Muayyed, colpito all’altezza dal cuore da una pallottola che ha ancora conficcata nel petto a monito di quel giorno.

Le pagine sono intermezzate da estratti di lettere scritte dai detenuti ai loro familiari e viceversa, in cui spesso emergono riferimenti a eventi storici di grande spessore per il popolo palestinese, come la Prima Intifada del 1987 o l’assedio alla Chiesa della Natività del 2002.

Ci sono anche vicende di amicizia e fratellanza: Wael decide di picchiare un soldato e farsi allungare la pena per poter uscire di prigione insieme al suo amico Thair mentre Ahmed e suo fratello Mahmoud, nonostante la promessa iniziale, decidono di fare insieme fino alla fine lo sciopero della fame.

Non manca l’attenzione riservata alle piccole cose della vita, come viene messo in luce con il racconto della sezione G3, i cui detenuti accolgono tra di loro e si prendono cura di una gatta, o con la vicenda di Rima che nonostante la condanna a 4 mesi di carcere continua a pensare alla musica e si costruisce uno strumento musicale con dei rametti che le fa valere l’isolamento.

In Foglie di gelso emerge anche un bagliore di speranza, incarnato dal secondino Suleiman, il quale allaccia un rapporto di mutuo rispetto e comprensione con il detenuto Jamal quando decide di non denunciare al resto dei soldati i resoconti segreti sulla vita nel carcere e sugli avvenimenti politici che aveva trovato nella sua cella.




Un’opera necessaria

Con uno stile sobrio e poetico, l’autore riesce così a far emergere la forza e la vulnerabilità di un popolo intrappolato in una realtà di occupazione e conflitto, che grazie alla privazione comprende meglio di chiunque altro il vero significato della libertà.

Tra le pagine di Foglie di gelso appare chiaro che per gli israeliani “essere palestinesi rappresenta una colpa sufficiente per essere perseguiti”. L’Occupazione ha come vero scopo quello che l’autore definisce come sterminio politico e culturale:

«L’Occupazione ha il preciso intento di far tabula rasa della coscienza, delle certezze, dei punti di riferimento e della cultura nazionale palestinesi […] È un processo che entra nei dettagli della vita quotidiana dei palestinesi per cancellarne la memoria e la cultura, e poi ri-plasmarne la coscienza instillandovi idee e principi nuovi, che li inducano a seguire le politiche dell’Occupazione. Questo metodo mira a creare una società incompleta, una società sospesa che non riesce a ottenere la libertà e non vuole perdere quel poco che possiede.»

Foglie di gelso non è dunque solo un libro: è un atto di resistenza culturale, una riflessione universale sul significato della libertà, della patria e della dignità umana.

Sara Coico

 

 

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