È un po’ un motivo ridondante quella di una stasi istituzionale a livello internazionale sotto il timore dello scacco elettorale e della cruciale condanna da parte dell’opinione pubblica.
Tuttavia, in materia di immigrazione, come ribadito dal Presidente del Consiglio Renzi, direttamente dagli States, premiato in occasione del Global Citizen Award dal Segretario di Stato Usa Kerry, vige la necessità dell’impegno singolo e coerente ai valori umani a cui la società internazionale aderisce. Un impegno che vada oltre il terrore patologico della punizione dell’opinione pubblica tutta.
Questo perché talvolta subentra l’imperativo di sorvolare il gioco della tornata elettorale, del potere e della rielezione. Fare un passo indietro per dare modo alla coscienza di venir davanti e iniziare a creare un impegno politico concreto e funzionale all’emergenza.
Mettere da parte l’interesse in favore dell’umanità. E considerare quel diritto che tutti accomuna.
In materia di trattamento degli stranieri, il diritto interviene ponendo come generali due principi, quali la limitazione sensibile di interpretazione estensiva sul “governo” dello straniero e l’obbligo di protezione. La tutela nei termini sociali ed economici trova poi una delineazione più appropriata tra accordi, trattati, statuti, sentenze, etc, di vario genere.
Nel parlare di flussi migratori, tuttavia non può non essere citata la Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, nonché il Protocollo del 31.1.1967 sui rifugiati, ratificati per l’esattezza da 145 Stati, compresa l’Italia.
La Convenzione parla chiaro, non lascia spazio all’interpretazione del termine rifugiato nel suo primo articolo, indicando che l’attributo debba riferirsi:
1) a chiunque sia stato considerato come rifugiato in applicazione degli accordi del 12 maggio 1926 e del 30 giugno 1928, oppure in applicazione delle convenzioni del 28 ottobre 1933 e del 10 febbraio 1938 e del protocollo del 14 settembre 1939, o infine in applicazione della Costituzione dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati;
Le decisioni prese circa il riconoscimento della qualità dì rifugiato dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati durante lo svolgimento del suo mandato non impediscono il riconoscimento di tale qualità a persone che adempiono le condizioni previste nel paragrafo 2 del presente articolo;
2) a chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Se una persona possiede più cittadinanze, l’espressione “Stato di cui possiede la cittadinanza” riguarda ogni Stato di cui questa persona possiede la cittadinanza. Non sono considerate private della protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza le persone che, senza motivi validi fondati su un timore giustificato, rifiutano la protezione di uno Stato di cui posseggono la cittadinanza.
Continua poi, nell’intenzione di voler definire l’impegno dello Stato contraente affermando che:
Ciascuno Stato Contraente, all’atto della firma, della ratificazione o dell’accessione, farà una dichiarazione circa l’estensione che esso intende attribuire a tale espressione per quanto riguarda gli obblighi da esso assunti in virtù della presente Convenzione.
2.Ciascuno Stato Contraente che si sia pronunciato per la definizione della lettera a può in ogni tempo estendere i suoi obblighi pronunciandosi per la definizione della lettera b mediante notificazione al Segretario generale delle Nazioni Unite.
Specifica infine:
-
Una persona, cui sono applicabili le disposizioni della sezione A, non fruisce più della presente Convenzione:
1.se ha volontariamente ridomandato la protezione dello Stato di cui possiede la cittadinanza;
2.se ha volontariamente riacquistato la cittadinanza persa;
3.se ha acquistato una nuova cittadinanza e fruisce della protezione dello Stato di cui ha acquistato la cittadinanza; o
4.se è volontariamente ritornata e si è domiciliata nel paese che aveva lasciato o in cui non si era più recata per timore d’essere perseguitata;
5.se, cessate le circostanze in base alle quali è stata riconosciuta come rifugiato, essa non può continuare a rifiutare di domandare la protezione dello Stato di cui ha la cittadinanza.
Tuttavia, queste disposizioni non sono applicabili ai rifugiati indicati nel paragrafo 1 della sezione A del presente articolo, che possono far valere, per rifiutare la protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza, motivi gravi fondati su persecuzioni anteriori;
6.trattandosi di un apolide, se, cessate le circostanze in base alle quali è stato riconosciuto come apolide, egli è in grado di ritornare nello Stato dei suo domicilio precedente.
Tuttavia, queste disposizioni non sono applicabili ai rifugiati indicati nel paragrafo 1 della sezione A del presente articolo, che possono far valere, per rifiutare di ritornare nello Stato dei loro domicilio precedente, motivi gravi fondati su persecuzioni anteriori.
- La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione.
- La presente Convenzione non è applicabile alle persone che secondo il parere delle autorità competenti dei loro Stato di domicilio hanno tutti i diritti e gli obblighi di cittadini di detto Stato.
- Le disposizioni della presente Convenzione non sono applicabili alle persone, di cui vi sia serio motivo di sospettare che:
a)hanno commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, nel senso degli strumenti internazionali contenenti disposizioni relative a siffatti crimini;
b)hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori dei paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;
c)si sono rese colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite.
Va da sé che l’intenzione non sia una lezione noiosa e soporifera di diritto internazionale, piuttosto una strigliata su quegli impegni internazionalmente presi e riconosciuti a cui, al di là di un interesse di puro marketing politico ben attento all’opinione e malcontento generale, dobbiamo sottostare.
Il diritto spesso utilizza termini così distanti da rendere poco commestibile dei principi umani molto semplici.
Non refoulement, ad esempio. Alias chi fa richiesta dello status di rifugiato è ritenuto un richiedente asilo.
Ciò cosa implica? Il rispetto di una normativa priva di forza vincolante, ma di importanza per così dire da anteporsi a qualsiasi atto con forza di legge. Pensiamo alla Carta dei Diritti dell’Uomo. Ne deriva la condanna della prassi di respingimento in alto mare degli stranieri che fuggono dal loro Stato, condanna costata anche all’Italia, con la sentenza della CEDU del 23.2.2012 nel caso Hirsi c. Italia.
Nell’affrontare un’emergenza dei flussi migratori come quella attuale è pertanto necessaria una presa di coscienza che vada al di là del dubbio intento di tenere a bada l’elettorato.
Fermare il flusso, il solo pensiero di poterlo fermare, è utopistico. Desideriamo l’emancipazione civile, l’accrescimento tecnologico, lo sviluppo generale e i prezzi a buon mercato, senza considerare che la globalizzazione non può renderci delle isole a se stanti, che il movimento non è un bene unicamente nostro, e che forse al di fuori delle nostre accoglienti mura domestiche, c’è chi ha bisogno di scappare da una realtà di rumori infernali, scene agghiaccianti e carica di esplosioni, per nulla paragonabili a quelle di un popolo che crede di cosa si parli disumanizzato dall’educazione al dolore hollywoodiana.
Infine, aprendo più gli orizzonti, forse ci potremmo accorgere la questione non è l’accoglienza, ma la serietà delle istituzioni nel saper accogliere. Anziché rimandare, forse è giusto il momento di fare.
Per crescere e smettere finalmente di star fermi ad aspettare e strillare.
In fondo non saranno due gridi strampalati a migliorare il sistema.
Di Ilaria Piromalli