Le acque del Mar Mediterraneo sono, ormai da più di due decenni, il teatro di continue tragedie umanitarie. Di fronte all’operato fallimentare dell’Unione Europea, cambiano le carte in tavola. Le parole di Jean Stoltenberg non lasciano adito a dubbi: la NATO è pronta a sostituire l’Europa nella gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo.
L’immigrazione clandestina: una problematica sempre più urgente da risolvere
A poco meno di un mese dalla più recente tragedia in mare, la Strage di Cutro del 26 febbraio, le dichiarazioni del Segretario generale della NATO Jean Stoltenberg mostrano come l’Alleanza Atlantica sia decisa a prendere le redini della situazione. Infatti, nonostante il tema dell’immigrazione sia sempre più scottante, la freddezza dell’Unione Europa a tal riguardo è sempre maggiore.
È sufficiente rivolgere lo sguardo ai primi mesi del 2023 per comprendere l’urgenza di affrontare di petto le questioni concernenti il fenomeno migratorio. Nel nostro paese sono stati già raggiunti i 20mila arrivi, una cifra che testimonia come il flusso sia triplicato e non accenni a diminuire.
Di fronte a questo aumento massiccio dei flussi migratori nel Mediterraneo, Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, sollecita i suoi colleghi a non restare a guardare, ribadendo la loro responsabilità:
“Siamo una generazione di politici che non può dimenticare queste tragedie. Non dobbiamo rimanere indifferenti davanti a questi eventi, non possiamo accettare che il Mediterraneo diventi un cimitero“.
Le parole della Presidente, tuttavia, si dimostrano insufficienti e di fronte al disimpegno europeo, un’alleanza militare si appresta ad entrare in gioco. Per la prima volta, la NATO decide di impegnarsi attivamente su un fronte che esce dal proprio campo di competenze. Quella dell’immigrazione clandestina è, infatti, una problematica di tipo civile più che militare. Cosa spinge allora l’Alleanza Atlantica a “intromettersi”?
I tentativi dell’Unione Europea per regolare i flussi migratori nel Mediterraneo
In passato, l’Unione Europea si è dimostrata incapace di fronteggiare adeguatamente le problematiche relative al traffico illecito di migranti. Ricordiamo in particolar modo l’Operazione Sophia, missione militare attivata nel 2015, anno in cui il numero di morti nel Mediterraneo ha raggiunto una cifra record. Si trattava della prima operazione militare di sicurezza marittima europea, ma si rivelò un fallimento e non venne mai portata a termine. La missione Sophia è stata recentemente citata da Giorgia Meloni in un discorso alla Camera auspicandone la ripresa al fine di bloccare le “partenze dei barconi dal Nordafrica”. Un tema che, come sappiamo, sta particolarmente a cuore alla nostra Presidente del Consiglio.
Al di là di una mancata incidenza dell’azione europea sul traffico umano che coinvolge le coste del Mediterraneo, la NATO si trova obbligata ad intervenire in quanto sempre più paesi ne richiedono l’aiuto. Nel corso del mese di marzo, la Turchia, appoggiata dalla Germania, ha infatti domandato all’Alleanza atlantica di spalleggiarla nella lotta contro l’immigrazione illegale nei paesi europei. Gli stati membri dell’Unione quindi, di fronte all’indifferenza di Strasburgo e Bruxelles, decidono di rivolgersi a nuovi interlocutori, speranzosi di interventi rapidi e risolutivi.
L’intervento della NATO: reminiscenze della guerra fredda?
Il tredicesimo segretario generale della NATO non ha perso tempo nel chiarire la maniera in cui intende compensare la labile presenza europea nel Mediterraneo. Nei suoi recenti interventi ha citato la missione Sea Guardian, messa a punto nel luglio del 2016, con l’obiettivo di contrastare i traffici clandestini di migranti. Ovviamente, questa operazione non è il risultato di un’azione benevola e disinteressata volta alla tutela di uomini, donne e bambini che vanno incontro a rischi sempre maggiori. L’obiettivo ultimo dell’Alleanza Atlantica è contrastare la Russia. Jean Stoltenberg ha infatti dichiarato:
“Abbiamo visto l’aumento della presenza russa in Africa e questo dimostra che la Nato non ha il lusso di poter scegliere su quali fonti concentrarsi, deve essere attiva a 360 gradi“.
La presenza russa nei paesi toccati dal Mediterraneo si traduce soprattutto con l’azione del gruppo paramilitare Wagner, accusato di usare i flussi migratori verso l’Europa come strumento per “ricattare” i paesi occidentali. La progressiva militarizzazione che avvolge la questione dell’immigrazione clandestina sembra configurarsi come il nuovo episodio di una nuova “guerra fredda”, riaccesasi intensamente dallo scoppio del conflitto ucraino.
Se è vero che l’intervento della NATO potrebbe sopperire alle lacune europee degli ultimi anni e portare un decisivo cambiamento, a restare immutato è il tipo di approccio adottato. Invece di militarizzare la questione dell’immigrazione non dovremmo piuttosto “umanizzarla”? Le trattative su chi e come debba gestire i flussi migratori nel Mediterraneo avanzano ma le vittime vengono sempre poste in secondo piano. Mentre ai vertici vengono decise le diverse sfere d’influenza, le acque cristalline del mare si macchiano di rosso.
La necessità di una politica “sensibile”
Ancora una volta il bersaglio viene mancato. Il distacco con cui Unione Europea, paesi membri e NATO affrontano la tematica dell’immigrazione clandestina non rende giustizia alla delicatezza della vita dei migranti. Raramente i politici fanno riferimento nei loro discorsi alla disperazione che porta famiglie intere a salire su barconi fatiscenti e sovraffollati, a tutto titolo ascrivibili fra le moderne “macchine di morte”. Gli elevati costi a cui si va incontro pur di concedersi un’ultima chance bastano per capire la loro sofferenza: si tratta di un vero e proprio mercato che specula sulla vita di esseri umani. Esseri umani che scappano da guerre, persecuzioni, carestie.
Di fronte a ciò, le giuste decisioni possono essere prese solo se si tiene a mente l’immagine di questi uomini, donne e bambini ammassati in uno spazio tanto ridotto, al freddo, circondati dall’acqua senza un segno di terraferma all’orizzonte. Fermare gli illegali flussi migratori nel Mediterraneo dovrebbero avere come obiettivo quello di trovare nuove vie, sicure, per permettere a tanti di ricominciare da zero, in un posto dove i loro diritti umani possano essere garantiti.
Solo il tempo ci dirà se le parole di Jean Stoltenberg troveranno un veloce riscontro nei fatti, e se l’azione della NATO non sarà fallimentare ed evanescente come è stata quella dell’Unione Europea negli ultimi anni. Ci resta solo sperare che una nuova sensibilità possa trovare spazio tra un provvedimento e l’altro, nel rispetto di tutti coloro che hanno già perso la vita quando hanno deciso di salpare alla volta del Mediterraneo, in un viaggio al cui termine non sanno se troveranno un nuovo inizio o la fine.