Il florilegio dell’artista Mario Mafai

Mario Mafai

Nell’opinione comune il nome di Mario Mafai Volpe (1902-1965) è legato al gruppo artistico della “Scuola romana”. La particolarità della sua poetica risiede nell’iconografia floreale che ha caratterizzato il suo stilema espressivo.

Egli si allontana dal figurativismo umano mantenendo solamente la figurazione dei fiori, considerati come un altro da sé. Un simbolismo delicato e marcescente allo stesso tempo, nature morte del trascendente, una metafisica dell’alienazione.

In “fiori appassiti” (1935) il formato orizzontale, le tinte acidule verdi, giallo ocra, con una punta vermiglia a lato, porta a status compositivo-emotivo di attesa, di tensione, intriso di rassegnazione. La sensazione è di assenza di speranza, di un languore sommesso come un urlo sordo.

In “Fiori sul libro” delle calendole secche e dei garofani sono adagiati su un libro aperto, con mestizia, una dignità nel loro processo di consumazione. Il tono si fa ben più severo in “Traviata” (1936) ove lo sfondo nell’impianto compositivo è costituito da uno spartito, la cui musica è sottolineata dagli steli tortuosi.

Un vortice di tinte gialle e rosse infiamma la tela di rigore e di solennità, con un contrasto cromatico e sensoriale. Il tremore dei garofani bianchi nella composizione del 1936 con le mammole viola conferisce allo spettatore la sensazione di incertezza, di anomia emotiva. “Fiori con nastro rosso” (1937) struttura una vera e propria architettura floreale con degli echi “morandiani” sullo sfondo, due bottiglie minimaliste di colori visionari.

Negli anni sessanta l’iter emotivo si irrigidisce su un pessimismo di fondo, “Fiori appassiti” (1960) ne è un esempio. L’autore stesso accompagna l’opera con dei versi: Le giornate passano e poi si ricomincia. Ieri, domani, dopodomani, ti difendi, lotti e non ti rimane niente questa povera esistenza che cerca un po’ di tempo da perdere per tirare avanti, pretesti, ragioni futili, occasioni effimere, situazioni meno banali, da correggere con l’ironia. Il passaggio a un senso di alienazione e sconforto caratterizzerà l’ultima parte dell’esistenza dell’artista.

Costanza Marana

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