Fiumi arancioni in Alaska: cosa sta succedendo?

fiumi arancioni in Alaska

I cambiamenti climatici colpiscono tutto il mondo nei modi più vari e devastanti, ma acque color zucca non si erano ancora viste. È proprio quello che sta succedendo in Nord America: i fiumi arancioni in Alaska non sono conseguenza di sversamenti in natura di industrie chimiche, sono colpa del cambiamento climatico.

Fiumi arancioni in Alaska: cosa sta succedendo?

Nell’incontaminata Alaska sta succedendo qualcosa di inquietante: i corsi d’acqua si stanno tingendo di arancione. Se fossimo in un ambiente densamente popolato e industrializzato si incolperebbero facilmente le industrie tessili o chimiche che, incuranti della salute ambientale, sversano i loro prodotti inquinanti nell’ambiente. Ma qui, in Alaska, la densità di popolazione è di 0,45 abitanti per chilometro quadrato, e le industrie non sono certo più numerose. E allora che cosa sta succedendo?

I fiumi arancioni in Alaska hanno una causa precisa: i cambiamenti climatici. Lo ha dimostrato uno studio di un’equipe congiunta delle università di Alaska, Colorado e California. A causa dei cambiamenti climatici le temperature medie globali si stanno alzando e alcune aree sono più colpite di altre. La regione artica è tra queste. Ciò provoca lo scioglimento del permafrost, cioè quello strato di suolo perennemente ghiacciato tipico delle regioni a clima freddo come il Canada, la Siberia la Groenlandia e, per l’appunto, l’Alaska.

In queste aree del mondo, sotto a un primo sottile strato di suolo attivo e soggetto a variazioni di stato e temperatura a seconda delle stagioni, si trova uno strato ben più spesso di terreno (300-600 metri) con una temperatura al di sotto degli 0 °C nel quale sono stoccati minerali e materiali organici, in particolare metano e altri gas serra. Come riporta lo studio, infatti:

“Il disgelo del permafrost favorisce l’erosione chimica dei minerali, la riduzione microbica del ferro nel suolo e il trasporto di metalli nelle acque sotterranee dei corsi d’acqua”.

Con lo scioglimento del permafrost quindi alcuni minerali sepolti da tempo entrano in contatto con l’ossigeno e si ossidano. In particolare, il ferro si degrada in quella che viene comunemente chiamata ruggine, caratterizzata dal tipico colore rossastro. Ed ecco spiegato il motivo dei fiumi arancioni in Alaska.

Quali sono le conseguenze dei fiumi arancioni in Alaska?

Le conseguenze dei fiumi arancioni in Alaska sono abbastanza intuibili: degradazione dell’acqua potabile disponibile nell’area e rischi per la pesca nell’Artico. Si legge nello studio:

“Rispetto ai corsi d’acqua limpidi, i corsi d’acqua arancioni hanno un pH più basso, una torbidità più elevata e concentrazioni più alte di solfato, ferro e metalli. Ciò è stato associato a un drastico calo della diversità dei macroinvertebrati e dell’abbondanza dei pesci. Questi risultati hanno notevoli implicazioni per le forniture di acqua potabile e la pesca di sussistenza nelle zone rurali dell’Alaska […]. I nostri dati suggeriscono che quando il fiume diventa arancione vediamo una significativa decrescita dei macroinvertebrati e del biofilm sul fondo del fiume, che è la base della catena alimentare”.

Il fenomeno dei fiumi arancioni in Alaska è stato osservato per la prima volta nel 2018 e da allora si è registrata la completa perdita di due specie ittiche nell’area.

L’Alaska, le sue potenzialità e le scelte politiche



L’Alaska è un’area del mondo ancora poco investita dalle attività umane ma, come abbiamo visto, comunque profondamente influenzata dall’impatto che l’uomo ha sul clima. Allo stesso tempo, però, è un’area ricca di risorse che fanno gola al vorace consumismo contemporaneo e, in particolare, è ricca di petrolio e rame.

Nel 2023 l’amministrazione Biden aveva autorizzato la messa a terra di un progetto di perforazione petrolifera su larga scala: tre siti di perforazione per una produzione di circa 180.000 barili di greggio al giorno per i prossimi 30 anni. Il progetto avrebbe messo a repentaglio ben 53.000 chilometri quadrati dei quali buona parte nella National petroleum reserve, fondamentale per la conservazione della biodiversità artica.

Dopo le proteste degli ambientalisti, però Joe Biden si è ravveduto e ha fermato il progetto:

“Le terre e le acque aspre e magnifiche dell’Alaska sono tra i paesaggi più straordinari e sani del mondo, e sostengono la dinamica economia di sussistenza delle comunità native dell’Alaska. Queste meraviglie naturali richiedono la nostra protezione”.

Joe Biden

Sempre in ottica conservativa, è stata anche bloccata la realizzazione di Abmler road, una strada a due corsie che avrebbe tagliato i monti Brooks, un’area non ancora toccata dalle attività umane. L’obiettivo della strada era quello di raggiungere un giacimento di rame che avrebbe fruttato 7,5 miliardi di dollari.

Le motivazioni che hanno fatto saggiamente desistere il governo sono le medesime: il progetto, infatti, provocherebbe numerosi danni all’habitat naturale che, invece, deve essere preservato quanto più sano possibile.

Fiumi arancioni in Alaska: quando l’impatto antropico colpisce indirettamente

Insomma, negli ultimi anni l’Alaska è stata individuata come una terra da lasciare libera e quanto più incontaminata possibile. Lo ha deciso la politica scegliendo coraggiosamente di impedire l’azione antropica diretta sul territorio. Tuttavia è sempre più evidente che l’intero globo è connesso, e i fiumi arancioni in Alaska ne sono l’ennesima prova: dunque non basta limitare l’intervento diretto su un territorio per salvaguardarlo ma sono necessarie anche azioni di portata globale che limitino l’impatto antropico sul clima affinché l’emissione di gas serra prodotta in qualunque altra parte del mondo non contribuisca allo scioglimento del permafrost.

Arianna Ferioli

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