Il film portato da Paul Schrader in concorso al 74° Festival di Venezia può considerarsi una proiezione fedele delle sue idee circa il futuro prossimo del genere umano. Un messaggio estremamente politico e quanto mai pessimistico. First Reformed è forse la sua risposta alla posizione neoliberista che Trump ha espresso qualche tempo fa sulle questioni ambientali.
“Non credo che l’umanità possa sopravvivere a questo secolo”, ha affermato Schrader nel corso della conferenza stampa di presentazione. “Abbiamo esaurito la nostra tenuta sul pianeta. E il problema più grosso del pianeta è proprio l’umanità. Abbiamo rovinato il futuro dei nostri figli”.
Una visione cupa, rispecchiata in maniera fedele dal suo film, con il quale il regista americano indaga il conflitto tra la fede religiosa intesa come rassegnazione difronte al talento autodistruttivo dell’uomo e la necessità di combattere contro un futuro disastroso che appare ineluttabile. Il risultato è un’opera stilisticamente affascinante, in cui le ombre minacciose dei tempi a venire sono racchiuse nel rigore delle inquadrature e nell’austerità degli ambienti.
Il protagonista della storia è il reverendo Toller, interpretato con grandissima abilità da Ethan Hawke, la cui espressione esitante e sofferente dona ulteriore forza alle paure evocate da Schrader.
Toller è un personaggio sul quale fin da subito “era chiara l’influenza di Bergman e del suo Luci d’Inverno“, ha spiegato lo stesso attore durante la conferenza. “Non ho avuto problemi a ricoprire questo ruolo. Ho sentito che avrei potuto metterci molto di mio”, ha continuato. Infatti “mi è sembrata subito una grande occasione perché sono stato sempre circondato dalla religione. Anzi, mia nonna – ha raccontato l’attore – ha sempre avuto la sensazione che sarei diventato prete. Ma io invece pregavo per non avere la chiamata”.
First Reformed: il film
Il reverendo Toller si occupa della First Reformed, una delle chiese più antiche della regione. Uomo riflessivo, pacato e attento agli altri, nel suo cuore nasconde un travaglio che non lo abbandona mai. Molto è dovuto alla morte del suo unico figlio, avvenuta quando lui era cappellano militare e spinse il giovane ad arruolarsi per la guerra in Iraq, dove perse la vita in combattimento.
Da allora un malessere esistenziale lo perseguita mettendo in discussione ogni sua certezza. Un tormento che sfoga di notte, bevendo alcol nella solitudine della sua casa disadorna, mentre riempie i fogli bianchi del suo diario personale. Invece di giorno svolge con scrupolo il suo compito di pastore d’anime. Infatti la giovane Mary (Amanda Seyfried) chiede il suoi aiuto perché il marito, Michael (Philip Ettinger), non vuole far nascere il bambino che la donna porta in grembo. I due sono giovani militanti ambientalisti e Michael vive ossessionato dalle previsioni scientifiche disastrose sul futuro del pianeta. Così ossessionato, da togliersi la vita prima di compiere un azione terroristica, un atto estremo, facendosi saltare in aria con un giubbotto da kamikaze.
Il suicidio scuote in modo violento la coscienza del reverendo Toller, che a sua volta comincia a documentarsi e a maturare le stesse convinzioni di Michael. La sua salute intanto peggiora. I medici temono un tumore allo stomaco. L’unico sollievo è l’amicizia con la giovane Mary, che continua a cercarlo. Il dramma personale del reverendo si lega pian piano a quello del mondo, devastato dalle multinazionali e dagli uomini che le governano. Sentendosi ormai prossimo a morire decide di usare il giubbotto al tritolo di Michael per farsi saltare in aria assieme al boss di un’industria locale, anche lei responsabile dell’inquinamento globale.
L’occasione perfetta si presenta con la riconsacrazione della First Reformed. A rovinargli i piani sarà la stessa Mary, con il suo arrivo in chiesa. Allora, preso da una crisi di rabbia e impotenza, Toller strazia le sue carni con del filo spinato e decide di farla finita bevendo dell’acido, ma il sopraggiungere della ragazza lo salverà evitando la tragedia. Eppure, parlare di salvezza non ha molto senso, vista l’oscurità improvvisa e prolungata scelta da Schrader per chiudere il suo film. Una parabola ambientalista senza lieto fine, che suona come una dichiarazione di resa difronte alla cieca ottusità dell’uomo.
Michele Lamonaca