La Consulta apre al suicidio assistito, dopo anni di lotte. Con la sentenza sul caso Dj Fabo-Cappato cosa cambia sul fine vita? In Italia, ci sono quasi 800 persone che hanno richiesto di morire.
La Corte Costituzionale ha, innanzitutto, sollecitato il Parlamento a legiferare quanto prima sul tema. Infatti la decisione è arrivata “in attesa dell’indispensabile intervento del legislatore” sulla questione “Fine vita”. Capiamo cosa è cambiato.
Chi riguarda la sentenza
Nulla cambia per i pazienti che ritengono le proprie sofferenze intollerabili. La Consulta ha definito i confini entro cui l’aiuto al suicidio possa essere ritenuto “non punibile”. I giudici hanno sottolineato che non è perseguibile chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Non tutti possono essere aiutati a morire se lo vogliono e lo richiedono. Ma potrà essere fornito l’aiuto necessario quando si troverà nelle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale.
Non cambia nulla a livello giuridico
La Corte Costituzionale tuttavia non stabilisce un opposto “diritto al suicidio”. La Corte non ha definito incostituzionale l’articolo 580 del Codice Penale, che prevede il reato di agevolazione del suicidio, punito con la reclusione da 5 a 12 anni. Prevede le modalità entro le quali l’articolo 580 del codice penale possa non essere applicato. La verifica delle condizioni fissate dalla stessa Corte spetterà esclusivamente alle strutture sanitarie pubbliche. Inoltre, in attesa che il Parlamento legiferi sulla materia, spetterà ai giudici valutare caso per caso se le condizioni sussistono.
Pressioni sul Parlamento per una legge sul fine vita
Il Parlamento non è riuscito ancora a trovare un accordo su una legge sul fine vita e l’unica normativa sul tema è quella sul testamento biologico, approvata con la legge 219 del 2017. Con le «Disposizioni anticipate di trattamento» si prevede la possibilità di esprimere la volontà di non essere sottoposto a trattamenti sanitari anche se salvavita. La volontà rimane valida anche se il paziente non dovesse essere più cosciente. Nell’ambito della somministrazione di cure palliative (le terapie che alleviano il dolore in caso di patologie irreversibili), esiste la “sedazione palliativa“. Il paziente viene reso incosciente, quindi incapace di percepire dolore, fino al naturale termine della sua vita. Questa soluzione può essere praticata quando il decesso è imminente, inferiore alle 2 settimane.
La posizione dei medici
Sui medici la Consulta nella sua sentenza tace. Il che dunque non esclude la non punibilità di un medico che assiste un malato terminale che desidera il suicidio assistito e che si trova nelle condizioni indicate dalla sentenza. Sul punto è intervenuto l’Ordine dei medici che ha invitato lo Stato a fare un passo ulteriore: «Chiediamo che sia un rappresentante dello Stato a prendere atto della sussistenza di tutte le condizioni, certificate ovviamente dai medici, e a procurare al paziente il farmaco che dovrà assumere».