Filosofia tra teoria e prassi

Filosofia tra teoria e prassi

Invalso, ad oggi, è il ricorso al termine filosofia nelle più disparate accezioni. Da un lato, lo si cita, evoca, quasi esalta, perché al lavoro filosofico – così come dell’umanista – è riconosciuta una certa centralità. Per la formazione di un uomo – si dice – che, in virtù dell’elastica e trasversale forma mentis, può fornire prospettive diverse sul mondo. E, per questo, coinvolto in ambiti d’applicazione, almeno in apparenza, lontani – fino a qualche anno fa impensabili. Così si dice. Che, in Italia, questo avvenga o meno, è ancora tutto da vedere. Dall’altro lato, invece, c’è chi si approccia all’attività filosofica con un certo snobismo. In ragione del fatto che l’indugio, la sosta, la ricerca ragionata appaiono, agli occhi di chi li guarda con questi occhi, troppo lenti e poco produttivi. In un mondo che esige velocità, efficacia, efficienza, una temporalità diversa non è ben vista. Quando non del tutto estromessa è, almeno, accolta con una certa reticenza: la filosofia ne esce come una riflessione astratta, vuota, poco utile. Mera ed evanescente metafisica, remotamente distante dalla “vita che conta”, la “realtà dei fatti”. Siamo sicuri che le cose stiano così o il lavoro filosofico si fonda, invece, sul reciproco irrorarsi di teoria e prassi?

È necessario, sin da subito, far chiarezza su un punto centrale della questione che si intende attraversare. Non si tratta di un tentativo di definizione. Anzi, proprio per definizione, la filosofia sfugge ad ogni definizione che, in senso assoluto, si pretenda conclusiva. In questa sede – ma non volendo, con ciò, esaurire un discorso ben più ampio – l’intento di fondo risiede nel tentativo di abitare fondo ed orizzonti del lavoro filosofico. E lo si intende fare da una particolare prospettiva, spesso obliata o non debitamente tenuta in considerazione. Vale a dire, nell’attraversamento di parte delle regioni fondanti e programmatiche della speculazione platonica.

PERCHÉ PLATONE?

Perché proprio Platone? In primo luogo, per la sconcertante ma consolatoria attualità posseduta dalla sua proposta filosofica che, a distanza di millenni, continua a parlarci. Lungi dal ridursi ad una mera ricostruzione storiografica, allora, l’attraversamento delle opere platoniche si configura come il confronto con una viva voce che, ancora oggi, può dirci qualcosa nel tentativo di sostare sul lavoro filosofico. E, sulla scorta di ciò, su quanto l’attività filosofica possa restituirci sul piano esistenziale ed esistentivo.

In secondo luogo, perché fin troppo spesso si è considerato Platone un filosofo che, impegnato nei discorsi sul mondo ideale, ha finito per allontanarsi dai problemi più propriamente concreti. Quelli che, almeno sul piano generale, vengono ritenuti i veri e reali cardini dell’esistenza umana. Le questioni della prassi, dell’azione, della produttività, dunque, e non della teoria.

FILOSOFIA, TEORIA E PRASSI

Ma siamo sicuri che le cose stiano così o il lavoro filosofico si fonda, invece, sul reciproco irrorarsi di teoria e prassi? Nel rivolgersi, infatti, ad alcuni punti cardinali dell’opera platonica, emergono alcuni degli assi portanti-prospettici di quel che, secondo il filosofo ateniese, significhi la ricerca filosofica. E non si tratta solo ed esclusivamente delle opere platoniche a stampo dichiaratamente politico – delle quali, comunque, è necessario tenere conto. Ma di passi, accenni, indicazioni che emergono in altri luoghi della produzione di Platone. E che, se debitamente attenzionati, rivelano qualcosa in più sull’intento di fondo del filosofo ateniese, culminante – appunto – nel lavoro filosofico.




IL TIMEO DI PLATONE: METODO E PROSPETTIVE DEL LAVORO FILOSOFICO

È il caso del Timeo, opera che Platone dedica alla struttura cosmica e, probabilmente, il più celebre trattato cosmologico dell’antichità. Prima di approdare al discorso più propriamente dedicato al tema dell’opera – del quale si occuperà Timeo – Platone traccia cornice ed orizzonti del lavoro. In una prima sezione dell’opera – così definita in questa sede, benché non vi siano vere e proprie divisioni nel testo originale – che funge da prologo. In questo quadro, Socrate si confronta con Timeo, Ermocrate e Crizia. Nodo centrale del discorso, le caratteristiche della città ideale, sulla base degli argomenti già elaborati e discussi in un momento precedente dagli stessi. In questi termini, infatti, Socrate si rivolge ai suoi interlocutori e compagni di ricerca:

Uno, due, tre! E il quarto, o Timeo, fra quelli che ieri erano convitati e che oggi invitano al banchetto, dov’è? […] I punti essenziali delle cose dette ieri da me intorno alla costituzione della Città erano questi: quale costituzione e ad opera di quali uomini mi sembrasse la migliore.

Subito, risaltano due questioni. La prima riguarda – come si è anticipato – la continuità tra questo squarcio dialogico ed un precedente momento conviviale. Socrate, infatti, riassume, a grandi linee, quanto aveva già precedentemente affermato intorno a ciò che considerava la costituzione della città ideale.

La seconda questione, invece, più che contenutistica è metodologica, prospettica, fondante. E riguarda, a pieno titolo, fondo ed orizzonti del lavoro filosofico – almeno dalla prospettiva del Socrate platonico. Conviti di ieri, banchetti di oggi: la ricerca è un’opera ininterrotta e corale, pur nella diversità dei punti di vista. Successivamente, sarà Crizia a evidenziare, rivolgendosi ai suoi interlocutori, la necessità di stabilire «l’ordine con cui ricambiamo i doni ospitali».

COMUNICAZIONE, OSPITALITÀ, DONO RECIPROCO

Comunicazione, ospitalità, dono reciproco: ecco un primo tratto caratteristico della filosofia.

È probabile che Platone – tesi sostenuta da un nutrito numero di studiosi – abbia concepito il Timeo, in continuità con i contenuti trattati nella Repubblica. In tal senso – come si anticipava – Socrate si sarebbe riferito ai discorsi sulla città ideale trattati in un convivio precedente. A questo punto, emerge un interrogativo di fondo: in che senso Platone avrebbe inteso tracciare una cerniera tra un’opera politica e un trattato cosmologico?

Un suggerimento arriva ancora da Socrate che, dopo aver riproposto, in sintesi, i tratti essenziali della città ideale, così si rivolge ai suoi interlocutori:

E ora state a sentire, dopo quello che abbiamo esposto circa questa costituzione della Città ideale, quale impressione io provo nei confronti di essa. Mi è sembrato di aver provato l’impressione come se uno, dopo aver osservato dei begli animali, sia rappresentati da una pittura sia anche veramente vivi, ma in stato di quiete, provasse anche il desiderio di vederli in movimento, mentre si cimentano, mediante una gara, in qualcuna di quelle prove che si ritiene convenire ai loro corpi. È proprio questa l’impressione che io sento nei confronti della Città di cui abbiamo trattato.

DALLA TEORIA ALLA PRASSI, DALLA PRASSI ALLA TEORIA

Ecco il punto della questione: sembra che, agli occhi del Socrate platonico, manchi ancora qualcosa. Il lavoro teorico, benché fondamentale, sembra non bastare quando non accompagnato da una miccia di movimento. È fondamentale, si diceva: un bell’affresco di intenti, prospettive, itinerari; Socrate lo paragona ad animali dipinti o vivi, ma in quiete. E denuncia – in avvio di discussione – la necessità di agire questi intenti, di muovere queste prospettive, di concretizzare il lavoro teorico in prassi.

Ecco, allora, stabilito – poco dopo – l’impianto del lavoro da affrontare ed il senso, la direzione, l’ordine dei discorsi. Crizia, infatti, prosegue:

Considera, dunque, o Socrate, l’ordine con cui ricambiamo i doni ospitali. Infatti, ci è sembrato che Timeo, dal momento che è tra di noi il più competente in astronomia e ha dato maggiori contributi alla conoscenza della natura dell’universo, debba essere il primo a parlare, incominciando dall’origine del cosmo per terminare con la natura degli uomini. E io dopo di lui, come ricevendo da lui gli uomini generati col suo discorso, e poi da te educati, […], ci è sembrato che io debba farli cittadini di questa città.

FILOSOFIA PLATONICA: COSMO, UOMO E SOCIETÀ

A questo punto, si ripropone l’interrogativo: in che senso Platone avrebbe inteso tracciare una cerniera tra un’opera politica e un trattato cosmologico? Ripercorrendo le parole di Crizia, sembra di poter concludere che l’intento di fondo di Platone fosse quello di strutturare un itinerario filosofico complesso e graduale. Dal tentativo di approssimarsi all’origine del cosmo e, di conseguenza, alla natura dell’uomo – che del cosmo è frammento – si dovrebbe, poi, approdare al discorso intorno alla fondazione della società e, per gradi, all’ordinamento ideale della stessa. Questo, poi, dovrebbe farsi storia.

Ecco lo snodo cruciale, che esplode nelle stesse – e già citate – parole del Socrate platonico: il lavoro teoretico che si declina in risvolti prassici. Il culmine della filosofia che si raggiunge nell’incrocio fondamentale di teoria e prassi. Al Timeo, per restituire una seppur relativa compiutezza alla manovra attuata, era intenzione di Platone far seguire altri due dialoghi: il Crizia e l’Ermocrate. Del primo non sono rimasti che frammenti, del secondo se non nulla, quasi. Rimane, però, forte e chiara la viva voce della speculazione platonica, mai del tutto sopita, mai del tutto racchiudibile in steccati. Filosofia, teoria, prassi, comunicazione, dono reciproco. Un convivio che va, un simposio che arriva. Partendo dal presupposto che, probabilmente, la migliore opera sia ancora quella da realizzare.

Mattia Spanò

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