Perché studiare filologia oggi?
È una domanda che tutti i giovani universitari che decidono di intraprendere questo tipo di studio si sentono porre continuamente. Infatti, la filologia è considerata spesso una materia antiquata, inutile. Ma la verità è che molte delle competenze che permette di sviluppare (l’attenzione al dettaglio, la lentezza nella lettura, la pazienza e l’umiltà nell’approcciarsi ad un testo antico o anche recente, la ricerca della fonte più attendibile) sono più che mai utili nella società attuale. Viviamo in un mondo in cui siamo bombardati da notizie che impazzano ovunque sui social media. Ci sentiamo spesso spaesati, in balia di una comunicazione fuori controllo e priva di senso. Siamo inondati dalle fake news.
La filologia ci insegna ad affrontare questo mare in tempesta, indicandoci la rotta da seguire per approdare il più vicino possibile alla verità di un’informazione.
Cos’è la filologia?
La maggior parte delle persone che ritengono che la filologia sia inutile spesso non sanno neanche in cosa consista questa scienza così antica e straordinaria.
Filologia è un termine che deriva dal greco φιλολογία (composto da φίλος, phìlos, “amante, amico” e λόγος, lògos, “parola, discorso”) e significa “amore/interesse per la parola”. Un nome così poetico viene conferito ad una scienza che ha come scopo quello di ricostruire un testo, antico o moderno, il più vicino possibile a quello scritto originariamente dall’autore.
Ci si potrebbe chiedere: ma a che cosa serve? L’autore non consegna direttamente il libro scritto all’editore?
Nella maggior parte dei casi, per i testi moderni, è così. Ma questo non vale per le opere per cui non abbiamo il testo originale dell’autore. E questo è il caso dei testi antichi (pensate a Platone, Aristotele, Virgilio…), ma anche di alcuni più recenti o contemporanei. Esistono anche casi in cui l’originale esiste, ma l’autore non ne ha curato la pubblicazione. In tutti i casi, la filologia si occupa di riprodurre il testo più conforme possibile alla volontà dell’autore.
La filologia è lo studio della tradizione di un testo.
Per tradizione si intende il significato etimologico della parola, dal latino tradere che vuol dire «consegnare», «trasmettere». La filologia studia, quindi, come un testo scritto, una volta finito dal proprio autore, arriva fino a noi. In molti casi, la trasmissione di un’opera, soprattutto antica, è difficoltosa.
Come sono arrivati fino a noi i testi antichi di cui non conserviamo l’originale?
Se oggi possiamo leggere opere scritte nell’antichità o nel medioevo, cioè prima che fosse inventata la stampa, lo dobbiamo al fatto che di queste opere ci sono state tramandate delle copie manoscritte risalenti al medioevo. Sono copie, però, tutte inevitabilmente diverse l’una dall’altra, in quanto la copiatura a mano era un vero e proprio lavoro artigianale, in cui era facile compiere degli errori e produrre esemplari diversi dall’originale. La trasmissione di un testo è un percorso lungo e in gran parte avvolto nel mistero, poiché quasi mai riusciamo a conoscerne tutti i dettagli.
Ad esempio, non possediamo alcun manoscritto d’autore per le opere latine e greche dell’antichità classica. Nella maggior parte dei casi, le copie che ci sono rimaste risalgono al medioevo, scritte in contesti storici e sociali molto diversi da quelli originari. Evidentemente alcuni manoscritti antichi di quelle opere erano sopravvissuti fino al medioevo, e hanno generato le copie oggi esistenti. Ma sorge naturale la questione: quanti mutamenti si sono prodotti nella storia della trasmissione di un testo? Quanto si è allontanato dall’originale il testo giunto fino a noi?
Sono domande che ci si pone raramente, a meno che non si sia “addetti ai lavori”, ma che vale la pena porsi, se consideriamo che la cultura medievale e poi quella moderna si basano sulle opere antiche, sebbene giunte fino a noi nella veste che hanno assunto nel medioevo.
Ricostruire il percorso dei classici, per quanto ci è concesso, è quindi un importante strumento anche per la comprensione del mondo in cui viviamo.
Così Nietzsche, prima filologo e poi filosofo, nell’Aurora (1881), parla della filologia:
Filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia da orafi della parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento.
Ma proprio per questo fatto è oggi più necessaria che mai; è proprio per questo che essa ci attira e ci incanta quanto mai fortemente, nel cuore di un’epoca del “lavoro”: intendo dire della fretta, della precipitazione indecorosa e sudaticcia, che vuol “sbrigare” immediatamente ogni cosa (…). Per una tale arte non è tanto facile sbrigare qualsiasi cosa perché essa ci insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente in profondità, guardandosi avanti e indietro, non senza secondi fini, lasciando porte aperte, con dita e con occhi delicati.
Si tratta di una disciplina, anzi di un’arte complessa, lenta, a volte estenuante. Ricostruire un testo significa infatti confrontare le sue diverse versioni, parola per parola, nei minimi dettagli. Al filologo interessa ogni singola parola, ogni singolo accento, ogni singola variante. Non esistono approssimazioni, non esiste sbrigarsela alla bene e meglio, non esiste “tanto cosa cambia”. Il filologo deve cercare di riportare in vita, di tramandare, usando tutti gli strumenti metodologici a sua disposizione, il testo più fedele possibile all’originale. Il filologo ha una responsabilità: non impegnarsi in questa ricerca significherebbe tradire l’autore e consegnare alla storia delle parole non sue. Anche se non avrà mai la certezza di aver ricostruito l’originale, il filologo impiega tutto il suo impegno, il suo tempo, il suo intelletto, la sua dedizione in questa opera di restauro. Lavora nel silenzio, nella discrezione, ma svolge un lavoro prezioso: è un vero orafo della parola.
La filologia va in controtendenza rispetto al mondo frettoloso, approssimativo, qualunquista in cui viviamo. Ci insegna a fare attenzione, a porci dei dubbi, a fare uno sforzo di comprensione e immedesimazione nelle parole altrui. Oggi siamo soliti riportare notizie senza far attenzione alla trasmissione di un messaggio veritiero, autentico. Le parole vengono rimaneggiate, scollate dal loro senso originario, fino a significare il loro opposto. La comunicazione è un’operazione di marketing e quello che ci interessa è produrre dei titoli accattivanti, per raggiungere un personale profitto. La filologia ci insegna, invece, che ogni parola conta, ogni virgola, ogni sfumatura conta. Solo partendo da questo presupposto si può tornare ad avere una comunicazione sana, sincera, vera.
Giulia Tommasi