Tra i grandi rappresentanti della cultura francese del secolo scorso non si può non ricordare Jean Cocteau (1889-1963). Poeta, teatrante, artista, esteta sensibile ed uomo di grande gusto perfino nelle amicizie e nell’entourage.
Fu regista e scrittore ispirato, autore di un celebre film che è e resterà la migliore versione cinematografica della fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont La bella e la bestia, dove fece recitare il suo attore-simbolo e amante Jean Marais, protagonista degli altri suoi film Orfeo e I parenti terribili.
Simbolo del Novecento, fu critico del suo secolo e della Francia che vide ritratta perfettamente in quel capolavoro de I quattrocento colpi di Truffaut, visto a Cannes nel 1959.
Tra le sue opere, che si stagliano nella mente per il loro intimismo, la loro forza onirica e la ricchezza intellettuale, bisogna però ricordare il suo appello al 2000, girato a villa Santo Sospir a Saint-Jean-Cap-Ferrat, affrescata dal poeta stesso.
Da un Campo totale ad un Particolare Leoniano (con la macchina che inquadra solo gli occhi) e ritorno, Cocteau racconta le distopie del suo secolo, dominato da un Esperanto architettonico, pieno di architetture stridule e dal gusto appiattito, fatte senza cura del paesaggio e dell’emozione estetica.
L’uomo del Novecento per lui non ha ancora risolto la dicotomia tra persona e macchina e spera che nel 2000 gli uomini riscoprano l’umanità. Il discorso arriva con una fluidità perfetta a parlare del Mito e della Storia, che si rivelano rispettivamente essere menzogna che porta alla verità e “verità” che si scopre essere menzogna. Non è difficile capire cosa preferisse Cocteau, che peraltro ha una posizione non solo perfettamente comprensibile ma assolutamente amabile.
La poesia per lui diventa arte centrale, fatta per trasformare il futuro ed il poeta viene visto come intermediario tra una forza irresistibile infestante e trascinante la realtà, guidato da un’innocenza che fa vergogna solo agli adulti e diventa energia nell’animo degli eroi e dei bambini.
Lui stesso, con grande innocenza e simpatia riconosce di aver giocato con il personaggio-Cocteau creato un po’ per privacy un po’ per esprimersi sotto gli occhi del mondo.
Il suo corto, che risale al 1962, un anno prima della morte, è uno degli ultimi testamenti di un uomo che pensava l’arte come eterno testamento dell’essere, per parlare agli umani di ciò che era grande, personale o eterno.
Antonio Canzoniere