Il 25 Ottobre 2012, un tragico episodio di violenza sconvolse la vita della famiglia Ceravolo e l’intera comunità di Soriano. Filippo, un ragazzo di 19 anni, perse la vita in un agguato di ‘ndrangheta, divenendo vittima innocente di una guerra tra clan. Filippo Ceravolo, infatti, era del tutto estraneo alle dinamiche criminali. Da allora, suo padre, Martino Ceravolo, si impegna in una lotta senza sosta per ottenere giustizia e svelare la verità dietro la morte del figlio.
In questa intervista Martino ci racconta il dolore di una perdita insostenibile, il coraggio di combattere contro un sistema complesso, e la perseveranza di continuare nonostante la mancata concretezza di un sostegno da parte delle istituzioni. Una resilienza, quella di Martino, che logorata dalle numerose delusioni comincia a scricchiolare.
La vicenda: Filippo Ceravolo, vittima innocente della ‘ndrangheta
Era il 25 ottobre 2012 quando Filippo Ceravolo, in un agguato avvenuto a Vazzano, nei pressi di Soriano Calabro, in Calabria, è stato ucciso. II suo omicidio è stato il risultato di una faida tra due famiglie di ‘ndrangheta, i Loielo e gli Emanuele che lottavano per il controllo di un territorio.
La sera del 25 Ottobre Filippo, del tutto estraneo alla criminalità, rientrando a casa si è trovato per caso nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato, coinvolto involontariamente in una vendetta di cui non era in alcun modo responsabile.
Poiché la sua auto era guasta, accettò un passaggio da Domenico Tassone, il quale successivamente si rivelò essere il vero bersaglio dell’agguato. Nel tentativo di freddare Tassone l’auto è stata crivellata di colpi. Mentre Tassone cercava di scappare, Filippo fu raggiunto mortalmente dai proiettili. Le indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia non sono riuscite a identificare responsabili; l’inchiesta è stata archiviata nel 2016, gettando la famiglia Ceravolo, per dodici anni, in una continua ricerca di risposte e giustizia.
Il contesto dell’omicidio è segnato dalla storica faida tra i clan Loielo ed Emanuele, nel Vibonese, un territorio storicamente funestato dalla violenza di questi gruppi rivali.
L’intervista a Martino, padre di Filippo Ceravolo
Il caso è stato archiviato?
Sì, nel 2016. Questa archiviazione non è mai stata accettata da noi. Da quello che abbiamo letto sull’inchiesta, e di un pentito che parlava, chiamava in causa questi soggetti – che tante volte non sai se puoi dire i nomi o no – c’erano tutti i presupposti per arrivare a degli arresti. Soriano è un territorio di 2000 abitanti, dove ci sono stati tanti morti ammazzati da una parte e dall’altra, tanti fatti precedenti: le faide qua, tra padri e figli, eredità, ci sono sempre state, non hanno mai smesso di ammazzarsi.
Quello che vuole raccontarci Martino è il quadro di un contesto difficile, che illustra storiche vicende di criminalità organizzata. Ci tiene a puntualizzare come il paese intero e le istituzioni siano ben consapevoli di tutta la vicenda, degli attori in causa, e dei fatti avvenuti nel corso degli anni. Si domanda, perplesso e deluso, come possa accadere che nonostante si conoscano le dinamiche e quali gruppi siano da indagare, ancora non si sia venuti a galla su chi abbia le mani sporche di sangue innocente.
La nostra delusione è che con la tecnologia, le dda di alto livello non sono riusciti a trovare questi soggetti. E tutta la Calabria si domanda come sia possibile, è una cosa eclatante. E il caso ora è addirittura archiviato.
C’è mai stato un momento, durante le indagini, prima che l’inchiesta venisse archiviata, in cui è sembrato di avvicinarsi a una risposta, una risoluzione o quantomeno una svolta?
C’è una grande grande delusione. Ogni anno c’è la commemorazione, si attivano le scuole, si parla con i ragazzi, e la speranza di avere chiarezza e giustizia per noi c’è, ci speriamo sempre. Da quello che ho letto nell’archiviazione mi aspettavo che da questa montagna che continuo a risalire ad un certo punto avrei raggiunto la vetta, ma non riesco mai ad arrivare a quella bandiera rossa. Nelle carte che abbiamo letto, ad un certo punto, con le confessioni di alcuni pentiti, c’erano tutti i presupposti per indagare e raggiungere un risultato. Ma niente.
Come hai citato poco fa, attraverso l’intervento dei pentiti Raffaele Moscato e Nicola Figliuzzi si è potuto ridefinire i contorni e le dinamiche della faida delle preserre fra gli Emanuele i Loielo. A seguito di questo progresso si sono raggiunti progressi anche nel caso specifico di Filippo?
Sì, ma non ci sono stati progressi. Sono stati fatti proprio dei nomi, viene chiamato in causa Alex Nesci. Quello che ha detto quello è vero, è confermato. Esce nella testata giornalistica Il Vibonese, c’è un video. Insomma, poteva esserci una svolta poi però il caso è stato archiviato.
Prima di parlare con te sono andato dall’avvocato, sono uscito fuori a fumare una sigaretta, e vedere dei giovani che invece di parlare delle partite di oggi, sentire “ma…si avvicina la commemorazione, Filippo non sta avendo giustizia, ma cosa fanno questi carabinieri, polizia, fanno solo passerelle politiche”, ti fa riflettere. Vengono a volte a leggere l’elenco dei nomi alle commemorazioni e poi non danno risposte.
Perché secondo te si sono fatti dei passi indietro? per paura?
Siamo bloccati su questo. La paura la legge non la deve avere. Non ce l’ha il papà, io cammino tranquillo perché non mi devo nascondere. Il caso però va risolto dalla legge.
Se i fatti me li conferma il perito, me li confermano i pentiti, li confermano le cimici, non lo so cosa stanno aspettando loro. E vergognoso, parliamo di tanti omicidi a Soriano, parliamo della faida degli Emanuele e dei Loielo insieme con i Mancuso che ha lasciato una storia di vendette e scie di sangue.
Prima hai parlato del non avere paura, e vorrei domandarti in che modo, secondo la tua percezione e la tua personale esperienza, le istituzioni hanno dato protezione a potenziali testimoni e informatori. Ritieni che le persone abbiano paura (giustamente) per il contesto in sè, oppure ad aggravare questo senso di timore è anche un po’ un’assenza delle istituzioni?
Quando i cittadini si aprono a una manifestazione per Filippo Ceravolo, alle famiglie di Soriano e dintorni, che mandano di sera a scuola i figli a fare i convegni fuori dalle ore di lezione, non possiamo dire niente: è una cosa bellissima, significa che i cittadini sono abbastanza aperti.
Questo però è un compito della giustizia e delle istituzioni, che invece non danno risposte. E talvolta neppure fanno sentire la presenza: tipo per il 25 non c’è stata una chiamata da parte di nessuna istituzione grande. Mentre invece il comune di Soriano sta lavorando, e si impegna nella memoria di Filippo con i vari eventi nelle scuole.
Lo domando a te, che sei in prima linea ogni giorno per trovare la verità. E che lo sei stato per tutti questi anni: ti senti tutelato? Io percepisco il tuo coraggio, un coraggio alimentato dall’amore che nutri per Filippo e per la verità, ma dimmi, ti senti in qualche modo protetto e sostenuto dalle istituzioni e dal sistema giudiziario o è solo l’amore che ti fa andare avanti nella lotta?
Sai da chi mi sento protetto io? la mia forza sono le persone che mi stanno vicino, da Bergamo alla Calabria. Per il resto, le istituzioni, niente. Ti dico una cosa, noi siamo decretati dal ministero della giustizia dal 2014, dieci anni giusto? Ho la domanda per il decreto per le vittime di mafia, decretata assunzione diretta per i congiunti delle vittime di mafia, e dal 2014 tra papà, mamma, e sorelle, dal 2014 non è stato chiamato nessuno.
Allora: la giustizia no, il diritto all’assunzione no. Solo il dolore. Parliamo di un decreto delle vittime di mafia, dove hai diritto ai medicinali, diritti sanitari, e l’assunzione diretta a qualsiasi ente pubblica.
Mi alzo alle quattro per andare a lavorare al mercato, prendo le mie medicine, le mie gocce, con le problematiche che affronto. Io non so se domani arriverà la chiamata per l’assunzione, ho esortato anche il presidente Occhiuto, ma non devo pregarlo!
In un paese in cui le vittime di mafia sono tutelate da norme e decreti specifici, l’applicazione pratica di tali misure spesso sembra mancare. L’accesso a questi benefici risulta essere, nel concreto, estremamente difficile e richiede una complessa burocrazia che rallenta ulteriormente il processo di assistenza alle famiglie colpite.
La famiglia Ceravolo a seguito della tragedia si è ritrovata in un vortice di dolore e di conseguenze psicofisiche che hanno determinato la qualità della vita dell’intera famiglia. Mi raccontava Martino, che Anna, la mamma di Filippo, ha tentato il suicidio, e la sorella soffre di forte depressione. Martino stesso, nonostante la grande forza che dimostra, spesso si trova ad affrontare attacchi di panico. Un contesto famigliare che necessita un aiuto concreto da parte delle istituzioni, e che attende concretezza dal 2014, l’anno in cui Filippo Ceravolo è stato riconosciuto ufficialmente come vittima di mafia.
Riguardo i tuoi compaesani, puoi dirmi, attraverso la tua percezione se i loro comportamenti ti ricordano quelli di qualcuno che ha paura e che quindi ha come unica scelta il silenzio?
Quando è venuto qua Davide Golia, quello delle Iene, a fare l’intervista, cinque o sei hanno avuto paura. C’è quello che non lo fa per paura, quello che magari è stufo e non ci crede più nella giustizia, ci sono diverse motivazioni.
Non è che non ci voglio credere alla giustizia, sono deluso, però ci devi sempre credere. La mia famiglia sta smettendo di crederci, mia figlia non ci crede più, mi dice “papà, basta, smettiamo di fare queste manifestazioni”. Lei era contraria di fare tutto perché oltre a essere una situazione complicata non si vedono risultati. Poi sono delle spese che facciamo noi, tra hotel e tutti i chilometri.
Peraltro si tratta di una lotta che senza un sufficiente sostegno delle istituzioni diventa un investimento oltre che emotivo anche economico.
Se oggi , nel 2024, dovessi fare un quadro di Soriano, delle persone che la abitano, delle istituzioni, cosa ci sarebbe di diverso rispetto a dodici anni fa? Si combatte e si parla di ‘ndrangheta come allora o percepisci della rassegnazione?
Secondo me hanno più rassegnazione. A parte per questi, pochi, che si impegnano, vedo la delusione. C’è delusione per la difficoltà nell’ottenere la verità e le risposte dallo stato. Perché poi è stancante. Ci stiamo stancando pure noi: io a breve, se non ci saranno progressi, non andrò più a nessuna manifestazione, mi chiuderò nel mio dolore.
Martino, se posso permettermi, comprendo la tua stanchezza, e ne capirei le conseguenze, però credo che il tuo contributo sia necessario alla società.
Ma guarda, da solo non puoi fare niente. Tipo se fai le lotte alla mafia da solo come Falcone e Borsellino…solo non ce la puoi fare.
Il popolo c’è, l’aiuto del popolo ce l’hai: il problema è a livello istituzionale.
Una memoria
Oggi è il 25 Ottobre 2024, sono trascorsi dodici anni da quel terribile giorno. Non c’è verità, non c’è chiarezza, non ci sono i diritti, e non ci sono le istituzioni. Ma ci sono le persone, le manifestazioni, c’è la memoria. E c’è la speranza che questa memoria diventi istituzionale. Per Filippo Ceravolo, per tutte le vittime innocenti di mafia e le loro famiglie, per i vicini, i cittadini, per un’Italia che si senta più tutelata, per il futuro di un’Italia più giusta.