“Il mio consiglio è: se ci sono foto a cui davvero tenete, createne copie fisiche. Stampatele.” ( Vinton Cerf, uno dei padri di Internet, oggi vicepresidente di Google).
Come non dargli ragione?! Come negare l’emozione che ci regalano gli album fotografici, come sminuire il fascino della carta ingiallita dal tempo e come trascurare l’importanza di oggetti e bigliettini contenenti il ricordo di momenti preziosi? L’atto del conservare, del custodire, non ha solo l’obiettivo di accumulare e di memorizzare ma è anche un modo per tornare ad emozionarsi e per rivivere, attraverso i particolari che al computer sfuggono, un preciso istante. La data scritta a penna sul retro di una foto, l’alone di una goccia di pioggia caduta sulla cartolina che si è spedito, l’indebolimento della carta delle lettere ricevute, sono particolari molto più preziosi dell’efficacia e della capienza della memory card!
Lo chiamano stile vintage, le definiscono mode superate, le indicano quali abitudini che sanno di vecchio: ma credo che tanti e tante siano d’accordo con me se dico che risulta impossibile non emozionarsi quando, tenendo tra le mani una vecchia foto, ci si rende conto, da quel lucido consumato, di quante volte in passato l’abbiamo accarezzata, stretta e di quante volte, magari, abbiamo pensato di strapparla; risulta impossibile non commuoversi quando, riprendendo e rileggendo tutte quelle lettere, salta all’occhio quella con la busta strappata perché forte era l’impazienza di leggerla; e risulta impossibile non accettare di tornare in quel luogo, in quel preciso istante che quello scontrino, con tanto di dedica, ricorda.
È vero: conservare ogni piccolo ricordo, richiede spazio e lo spazio, si sa, è sempre insufficiente così come è impossibile stampare tutte le foto che si scattano e poi, cosa penserebbero gli altri se scoprissero e se leggessero quelle dediche e quelle lettere? Per accedere ai dati personali memorizzati dal computer, invece, è necessaria la password nota solo al legittimo proprietario, ed è quindi il modo più sicuro per custodire segreti e ricordi. Ma come avverte Vinton Cerf, “Via via che i sistemi operativi e i software vengono aggiornati, i documenti e le immagini salvate con le vecchie tecnologie, diventano sempre più inaccessibili. Senza neanche rendercene conto, stiamo gettando tutti i nostri dati in quello che rischia di diventare un buco nero dell’informazione”. Senza parlare del fatto che sullo schermo di un computer, tutto appare sterile e freddo: ogni ricordo, parola o immagine che sia, è siglato da lettere e cifre che hanno il solo obiettivo di distinguerlo dagli altri, senza però rendergli un appunto, un particolare che ne indichi l’importanza.
Elenchi e cartelle digitali, hanno sostituito gli album delle fotografie, gli scaffali, i cassetti e la scatola nascosta sotto il letto, privando tutto questo del suo carattere esclusivo, originale e, soprattutto, l’hanno svuotato e reso quasi immune da ogni traccia di emozione e di adrenalina. Per non parlare del fatto che il metodo di conservazione-memorizzazione digitale non è per niente sicuro come sembra e come ci è stato presentato. Lo stesso Cerf parla di “putrefazione dei bit” ( i quali consistono in piccole unità di informazione che un computer può elaborare o memorizzare) e della triste conseguenza che questo fenomeno causerà con il trascorrere del tempo: la perdita di ogni tipo di dato salvato all’interno di memorie digitali. In altri termini, con lo scorrere del tempo ( e questo è un fatto che nessuna scoperta informatica ha ancora cambiato o frenato) immagini, testi e documenti salvati all’interno di memorie digitali, non potranno più essere consultati; e come sostiene ancora Cerf “ Immaginiamo che ci sia una Doris Kearns Goodwin del ventiduesimo secolo che voglia scrivere un libro sull’inizio del ventunesimo secolo, cercando di avvalersi delle conversazioni di quel tempo. Scoprirebbe che enormi quantità di contenuti digitali sono evaporati, perché nessuno li ha salvati o, che pur essendo a disposizione, non sono interpretabili, perché creati con software vecchi di cento anni”; non occorre essere un genio informatico per comprendere il significato di queste parole.
Per questo motivo, fotografate e fotografatevi per poi correre a stampare le foto, tutte le foto, anche quelle che “questa cancellala subito!”; scrivete, scrivete come più vi piace, nel modo che più gradite, ma se scrivete al computer, non condannate il vostro scritto nel piccolo spazio di un file; ed inviate delle lettere, almeno una all’anno! La velocità, eccellente ed utilissima, di una mail non sempre può vincere il confronto con la scrittura tremante, con la busta che appare sempre troppo piccola per contenere tutti quei pensieri e con la passeggiata verso la cassetta della posta, da cui inizierà il viaggio di quella vostra lettera. Ed una lettera, quando arriva tra le mani del destinatario, porta in sé tutto il vento e il sole e la strada e la polvere che ha incontrato lungo il cammino, all’interno della borsa di un postino che non ha scelto quel mestiere per trasportare solo bollette e comunicazioni promozionali.
Diversi sono i libri e i film in cui, per raccontare la storia, per ripercorrere il passato, si parte dalla fine: da quello che fotografie e lettere e oggetti ricordano permettendo di ricostruire quello che è stato, ciò che è accaduto: fate in modo che a ricordarvi chi e dove siete stati o state, siano le foto consumate dal tempo, le lettere ingiallite dall’umidità di soffitte in cui potete sempre rifugiarvi e gli scontrini, l’ultimo pacchetto di sigarette, la prima multa, il biglietto del viaggio che vi ha cambiato la vita e tutto quello che, indipendentemente dal tempo, dalle scoperte informatiche e dalla putrefazione dei bit, vi condurranno lì dove desidererete tornare, accanto alla persona che non siete riusciti, o riuscite, a dimenticare e ad essere di nuovo, anche per una sola notte, il bambino, o la bambina, che correva sulla spiaggia, che saltava con la corda, che si sbucciava le ginocchia almeno quattro volte al giorno e che nelle foto (incredibile!) era sempre quello, o quella, che sorrideva di più! E faceva tutto questo, semplicemente perché i suoi bit preferiti erano il cielo, il vento, il sudore e la vecchia macchina fotografica, dietro la quale c’era sempre qualcuno che diceva: “Sorridi! Sorridi come sempre! Dai, che poi corriamo a stampare la foto!”
Deborah Biasco