Nell’agosto dello scorso anno, nello stato di Rakhine, situato al confine tra Myanmar e Bangladesh, c’è stata l’invasione da parte dell’esercito birmano. La popolazione dei Rohingya è stata vittima di ciò che alcune organizzazioni ritengono un genocidio o un tentativo di pulizia etnica. I superstiti hanno dato vita ad un esodo di massa di circa 700.000 persone, verso il Bangladesh.
Donne Rohingya vittime di stupri di guerra
Tra loro vi erano migliaia di ragazze e donne, che hanno cercato rifugio da quanto hanno dovuto subire nei loro villaggi. I soldati birmani hanno stuprato centinaia di loro, ed ora, a distanza di nove mesi da quei tragici eventi, le vittime di quegli stupri di guerra si ritrovano a partorire dei figli che non volevano, i figli del male. Che cosa ne sarà delle madri? E cosa ne sarà dei bambini? Le organizzazioni umanitarie come Save the Children e Medici senza frontiere lanciano l’allarme sul futuro di questi innocenti, ‘colpevoli’ di essere stati concepiti con la violenza e la forza. Ma loro non hanno alcuna colpa, né sono colpevoli le loro madri, spesso troppo giovani per poter affrontare delle gravidanze (molte sono solo delle ragazzine). I numeri di questa tragedia rimangono sconosciuti, ci sono solo alcune stime, ma le cifre reali sono ben più alte di quelle riportate dalle organizzazioni umanitarie. Gli stessi responsabili dei campi profughi in cui hanno trovato rifugio le donne e le ragazze Rohingya dichiarano che pochissime denunciano quanto loro accaduto e sono ancora di meno quelle che ammettono di essere incinte a causa di stupri di guerra. Il motivo è presto chiarito: temono di essere isolate dalla comunità e dalla loro stessa famiglia. Le condizioni in cui vivono sono quanto mai precarie e le cure a cui possono accedere non sono sufficientemente adeguate per aiutarle e sostenerle. Piuttosto che rivolgersi ai medici e alle ostetriche, diverse ragazze hanno cercato di abortire da sole e si sono poi recate presso gli ospedali da campo, solo quando stavano sanguinando a causa di emorragie che si erano procurate da sole.
Uno dei figli del male
In Bangladesh l’aborto è illegale dopo il primo trimestre, perciò una di loro, una vedova di 34 anni, stuprata da tre guardie nella sua capanna, ha dapprima cercato di interrompere la gravidanza con un medicinale (datole da un medico del suo villaggio), ma il farmaco non ha sortito alcun effetto. Quando ad agosto del 2017 c’è stata l’invasione militare, lei è scappata verso il Bangladesh, ma una volta giunta lì era ormai troppo tardi per procedere e i medici l’hanno messa in guardia sui possibili rischi di un aborto clandestino. Perciò, avendo altri cinque figli a cui pensare, ha deciso di non rischiare e il 26 gennaio di quest’anno ha portato a termine la gravidanza, dando alla luce un bimbo sano, malgrado tutto ciò che lei ha dovuto subire. Ma questo bambino ha causato dei problemi alla donna: due delle sue figlie non l’hanno accettato come loro fratello e diversi profughi si tenevano alla larga da lui. Altri però hanno aiutato la donna, che ha poi chiarito alle sue figlie la situazione:
«Mi dicono che ci sono centinaia o migliaia di donne rohingya che sono state colpite nello stesso modo. Ho detto loro che questa gravidanza è stata forzata, e tutto il mondo lo sa. Non hai motivo di sentirti imbarazzata o di provare vergogna».
Questa coraggiosa donna ha scelto di dare alla luce un figlio concepito da uno stupro e ha scelto di crescerlo come gli altri suoi figli. Ma quante altre donne e ragazze faranno altrettanto? Save the Children e Medici Senza Frontiere temono che molte possano abbandonare questi sfortunati bambini, una volta che li avranno partoriti. Non vogliono dover subìre lo stigma sociale che si abbatte sulle vittime di stupro: guardate con diffidenza e isolate da famiglia e conoscenti. Quante sono? Diverse centinaia probabilmente, due terzi di loro non hanno neanche provato a chiedere aiuto alle autorità competenti.
Stupri di guerra: arma di genocidio di massa
Le Nazioni Unite hanno inviato sul posto Pramila Patten, con lo scopo di verificare la presenza di abusi sessuali, essa ha dichiarato senza alcuna esitazione che le forze militari birmane hanno ordinato, orchestrato e perpetrato le violenze sessuali, adoperando lo stupro in qualità di «strumento finalizzato allo sterminio e alla rimozione dei rohingya come gruppo etnico». Ma questa non è la prima volta in cui lo stupro di guerra viene utilizzato come arma nei genocidi. Sin dai tempi antichi, gli invasori ritenevano che violentare le donne dei popoli conquistati fosse un atto a loro dovuto, come una sorta di bottino di guerra. Nei secoli il fenomeno ha assunto proporzioni drammatiche: migliaia di ragazze e di donne sono state violentate dai militari nemici e a volte persino dai caschi blu delle Nazioni Unite.
“É diventato più pericoloso essere una donna che va ad attingere l’acqua o che va a raccogliere la legna da ardere che essere un combattente al fronte.”
Lo scopo delle aggressioni sessuali su così larga scala è quello di ‘infettare’ le popolazioni invase e conquistate, in modo da menomare e marchiare un popolo anche dopo la fine del conflitto. Le conseguenze degli stupri di guerra si manifestano infatti nel lungo periodo con gravidanze indesiderate e con malattie sessuali volutamente trasmesse con lo scopo di distruggere quel determinato popolo. Per questo il Tribunale internazionale dell’Aja ha da anni dichiarato che gli stupri di massa sono dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità.
Carmen Morello