Il festival della carne di cane continua, la Cina contro l’industria miliardaria

festival della carne di cane
Nonostante i passi avanti fatti in materia dal governo cinese e la paura causata dal covid-19, il festival della carne di cane che si tiene ogni anno a Yulin si sta svolgendo anche quest’anno.

L’edizione 2020 potrebbe, però, essere l’ultima. Infatti, il mercato è stato spostato dal centro della città verso le periferie, e l’affluenza dei primi giorni sembrerebbe molto ridotta rispetto agli anni passati, sull’onda di un trend in continuo declino negli ultimi anni.

Le regolamentazioni e i divieti

Agli inizi di febbraio, la pandemia da coronavirus aveva iniziato a influire fortemente sulle abitudini alimentari cinesi. Gli animali selvatici venduti nei cosiddetti wet market (mercati umidi) cinesi sembrerebbero essere stati un serbatoio per il covid-19. La pandemia sarebbe infatti iniziata da uno di questi mercati della città di Wuhan, nella provincia dello Hubei. Il rischio sanitario creatosi in questi luoghi ha imposto al governo cinese una corsa al riparo e la necessità di far chiudere o comunque limitare l’attività in questi mercati.

Il 24 febbraio il Congresso Nazionale del Popolo aveva emanato il divieto di consumo di carni di animali selvatici. Il giorno successivo, il 25 febbraio, Shenzhen era stata la prima città della Cina continentale a vietare il consumo di carne di cane. Infine, ad aprile, il Ministero dell’Agricoltura aveva definitivamente tolto la carne di cani e gatti dalla lista di carni commestibili.





Questi elementi avevano fatto ben sperare gli animalisti di tutto il mondo. Nonostante le leggi, la realtà è che alcune tradizioni culturali, seppur siano limitate a una piccola parte della popolazione e stiano subendo una drastica diminuzione, richiedono tempo prima di sparire.

Oltre all’elemento culturale, però, c’è chi pensa anche all’elemento economico.

Un’industria miliardaria

L’industria del commercio e del consumo della carne selvatica in Cina ha un valore approssimativo di 18 miliardi di dollari e rappresenta la salvezza dalla povertà per oltre 6.3 milioni di persone nelle zone rurali della Cina.

La SARS del 2012 aveva spinto verso restrizioni governative simili, che poi erano state eliminate. Questa volta, però, le nuove regole rimarranno, a detta degli esperti della sezione cinese del WWF. L’attuale pandemia, infatti, ha causato un moto di paura molto più elevato rispetto al passato, e in molti chiedono a gran voce la chiusura dei mercati di carne di animali selvatici. Il festival della carne di cane di Yulin sarebbe un luogo pericoloso in quanto  si smerciano carni non provenienti da allevamenti. Inoltre, i metodi utilizzati per stordire e abbattere i cani includono dei veleni che potrebbero essere nocivi per i consumatori.

Il problema della chiusura di questa industria è quello di trovare una nuova occupazione per tutte le persone coinvolte. In particolare, gli allevatori che si occupano di un commercio che fino a pochi mesi fa era legale necessitano di aiuti per reinserirsi in altri tipi di industrie o allevamenti. Secondo alcuni ufficiali cinesi, solo a febbraio oltre 20.000 allevamenti che utilizzano il metodo della riproduzione in cattività sono state obbligate a chiudere. Il pericolo è che gli allevatori che non riusciranno a trovare nuove forme di guadagno, decideranno di entrare nel giro del mercato nero.

Elizabeth Mrema, segretario esecutivo ad interim della United Nations Convention on Biological Diversity, ha suggerito che la chiusura dell’industria del commercio di animali selvatici deve essere effettuata in consultazione con le comunità locali, piuttosto che essere un’imposizione esterna.

Noemi Rebecca Capelli

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