Con il passare degli anni, la Festa della Mamma continua a essere un’occasione speciale per celebrare le figure materne nelle nostre vite: nel 2024, mentre ci avviciniamo a questa giornata, è opportuno riflettere sulle diverse sfaccettature del ruolo materno e sulla profonda dimensione della cura che le madri offrono.
Il concetto di madre e cura è profondamente radicato nelle società umane e ha una vasta gamma di sfumature, influenzate da fattori culturali, sociali, biologici e psicologici. In generale, la figura della madre è spesso associata al ruolo di fornire amore, protezione, nutrimento e supporto emotivo ai propri figli.
Il concetto e ruolo di cura
Le tradizionali divisioni dei ruoli di genere fanno perno sul cosiddetto gatekeeping, ovvero l’insieme di credenze, comportamenti, pratiche e conoscenze che portano le donne, madri e ragazze nelle famiglie ad assumersi la totalità del ruolo di assistenti primari, cura e lavoro domestico, minando in questo modo la collaborazione paritaria tra i genitori nella loro gestione.
Già nelle prime società antiche, le donne erano relegate al ruolo riproduttivo, passivo e domestico della cura della casa – in quella che possiamo definire “economia domestica” –, della prole e della raccolta di cibo: questi erano, e sono tutt’oggi, considerati doveri femminili poiché alla donna vengono attribuiti una funzione materna ed un maggior senso di accudimento, in contrasto con i ruoli di politici, meccanici, capi, ossia il ruolo produttivo, la forza e il potere associati all’uomo e alla sua mascolinità. La divisione sessuale del lavoro ha dato poi accesso al solo uomo al cosiddetto “lavoro di produzione”, relegando la donna al solo “ruolo di riproduzione” e cura della casa e della prole.
Il femminismo marxista della rottura, prassi di intervento teorico-politico nato negli anni ‘70, pone al centro della sua analisi profonda tutte le forme specifiche della subordinazione femminile – come il lavoro domestico, la sessualità, la procreazione: il lavoro domestico, gli affetti e la cura sono a tutti gli effetti lavori produttivi capitalistici, che hanno alla loro base precisi rapporti sociali di dominio, con conseguenti sfruttamento e plusvalore. Come in fabbrica si producono merci, in casa si produce la merce forza lavoro.
Il lavoro domestico non conosce orari come in fabbrica ma è continuo, sebbene non produca un salario, e produce il più prezioso prodotto sul mercato capitalistico: la forza-lavoro. Non si tratta semplicemente di pulire casa, quanto piuttosto di avere come fine la cura costante della forza-lavoro che sarà impiegata nelle strutture produttive (l’operaio salariato): cucinare, lavare, soddisfare sessualmente, educare, intrattenere, occuparsi in toto della prole.
Come è percepita oggi la cura?
Dal rapporto di Save The Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2020″, emerge che “la condizione delle madri in Italia non riesce a superare alcuni gap, come quello molto gravoso del carico di cura, che costringe molte di loro ad una scelta netta tra attività lavorativa e vita familiare”.
L’Obiettivo numero 5.4 dell’Agenda 2030 s’impegna a “riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali”: alleggerire il peso del domestic labour permetterebbe difatti alle donne di impegnarsi in un lavoro retribuito, sviluppare nuove conoscenze e competenze e partecipare alla vita pubblica, oltre che un conseguente miglioramento del benessere sociale ed economico.
La recente crisi pandemica ha rimesso al centro del dibattito il lavoro di cura come pilastro fondamentale dei tessuti sociali, essenziale per la formazione e il mantenimento delle connessioni interpersonali. Allo stesso tempo, solo grazie alla crescente politicizzazione e alle riflessioni del pensiero femminista dagli anni Ottanta, si è sicuramente verificato un cambiamento di prospettiva: da considerarla un tratto innato della personalità individuale, una sorta di virtù femminile in una concezione essenzialista, atemporale e immutabile della femminilità, tradizionalmente fatta rientrare in uno spazio privato, fino a divenire una vera e propria pratica sociale che richiede il sostegno istituzionale e l’assunzione di responsabilità da parte dell’intera comunità.
L’etica della cura, tramite la lente analitica del femminismo, ottiene così una dimensione politica di autodeterminazione.
«Solo comprendendo la cura come un’idea politica saremo in grado di cambiare il suo status e la condizione di coloro che svolgono il lavoro di cura nella nostra cultura»: è una delle più importanti teorizzazioni della filosofa morale Joan Tronto. La stessa identifica tra l’altro quattro fasi fondamentali nella pratica della cura, che aiutano a comprendere il complesso processo: riconoscere la necessità di cura, prenderla in carico, fornire la cura effettiva e riflettere sulla cura.
Per una Festa della mamma di decostruzione, è necessario superare l’idea di cura solo come dipendenza, patologizzata in partenza dal sistema capitalista (neoliberista e non) stesso, anziché essere riconosciuta come parte integrante della condizione umana.