Francesca de Carolis
77 morti. 77 suicidi nelle carceri italiane. E per lo più persone giovani, lì a scontare pene irrisorie. In carcere per uno scippo, per il furto di una cuffia, per quella dose di droga che, per quel manifesto della cultura illiberale che è la Fini- Giovanardi, ti fa finire in carcere. Persone “fragili” si commenta spesso. Una compassione che quasi si ritorce in colpa… eh, sì, troppo fragile per resistere alla “cura” dello stato. Che cura intollerabile lo è per tutti, anche per chi quella “cura” non si traduce in abbraccio di morte.
Fa impressione il silenzio che circonda questa strage. Ne parlano in pochi, solo chi di carcere si occupa da sempre…
“Ristretti orizzonti, insieme a “Il Dubbio”, quotidiano costantemente attento alla questione carcere, ancora prova a rompere questo silenzio, lanciando un appello, al quale ci uniamo, ché “mai prima d’ora era stato raggiunto questo abisso”.
“Fermiamo la strage dei suicidi in carcere”, dunque. Primi firmatari Roberto Saviano, Gherardo Colombo, Luigi Manconi, Giovanni Fiandaca, Massimo Cacciari, Fiammetta Borsellino, Ascanio Celestino, Mimmo Lucano… e ancora filosofi, giuristi, penalisti, rappresentanti di associazioni che si occupano di diritti…
Un appello per scuotere il mondo della politica, questa politica che è sorda. “Sorda perché sul carcere e sulla pelle dei reclusi si gioca una partita tutta ideologica che non tiene in nessun conto chi vive ‘dentro’, oltre quel muro che divide i ‘buoni’ dai ‘cattivi’”.
Una politica sorda alle indicazioni che da tempo chi il carcere lo conosce pure sa dare, anche perché sa bene cosa si dovrebbe fare intanto per evitare o contenere questo massacro. In sintesi, “depenalizzare e considerare il carcere solo come extrema ratio, moltiplicare le pene alternative, dare la possibilità al cittadino detenuto di iniziare un vero percorso di inclusione nella comunità. Chi è in custodia nelle mani dello Stato dovrebbe vivere in spazi e contesti umani che rispettino la sua dignità e i suoi diritti”…
Perché, ne abbiamo parlato altre volte, molto di quel che avviene nelle carceri è “illegale”.
Qualcosa, per poter iniziare a dare sollievo a chi vive in condizioni che si fa fatica a immaginare, si potrebbe fare subito. Nell’appello vengono indicati alcuni punti:
- Aumentare le telefonate per i detenuti.. Bisognerebbe consentire ai detenuti di chiamare tutti i giorni, o quando ne hanno desiderio, i propri cari. (oggi ogni detenuto (tranne quelli che non possono comunicare con l’esterno) ha diritto a una sola telefonata a settimana, per un massimo di dieci minuti.
- Alzare a 75 giorni i 45 previsti a semestre per la liberazione anticipata.
- Creare spazi da dedicare ai familiari che vogliono essere in contatto con i propri cari reclusi per valorizzare l’affettività.
- Aumentare il personale per la salute psicofisica. In quasi tutti gli istituti vi è una grave carenza di psichiatri e psicologi.
- Attuare al più presto, con la prospettiva di seguire il solco delle misure alternative, quella parte della riforma Cartabia che contempla la valorizzazione della giustizia riparativa e nel contempo rivitalizza le sanzioni sostitutive delle pene detentive.
Nulla di rivoluzionario, come vedete… solo un primo passo per arginare il massacro.
Per aderire basta firmare qui.
Nulla di rivoluzionario, solo qualche passo per arginare l’indecenza. In attesa che si ripensi seriamente al sistema delle pene.
Personalmente sono convinta della necessità di pensare e realizzare infine un mondo senza carceri. Ripensare “questa strana pratica, e la singolar pretesa di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni”, come spiega Foucault. E non è utopia. Non è un caso (ce lo siamo dimenticati?) che la nostra costituzione parla di condanne e di pene, ma mai pronuncia la parola “carcere”. Che chi l’ha scritta, la nostra Costituzione, ben ne conosceva la barbarie. E teniamocela stretta, questa Costituzione, che ancora da qualche abisso ci tiene lontani…