Grazie alla ripubblicazione delle opere di Carla Lonzi e alla popolarità raggiunta da Elena Ferrante, sta nascendo un rinnovato interesse nei confronti del femminismo italiano degli anni Settanta. Quali sono le ragioni dietro questo recupero? E come ciò sta influenzando le femministe di oggi?
Ascesa e declino di un movimento
Ovviamente il femminismo italiano non nasce negli anni Settanta ma è proprio in questo periodo – spesso definito come “seconda ondata” – che il movimento raggiunge il suo maggior successo, moltiplicando i suoi sforzi in modo più concreto e organizzato e raggiungendo le conquiste più importanti del secolo.
È infatti a questi anni che risalgono i primi collettivi, le prime riviste e organizzazioni femministe, con scopi e modalità diverse tra loro: si ricordano la fondazione del gruppo Lotta Femminista a Padova o ancora la creazione di Rivolta Femminile e del suo manifesto a Roma.
Negli anni Settanta le femministe italiane sono alla ricerca di un proprio spazio politico e della propria voce: l’autocoscienza, la rivendicazione dell’autonomia dei propri corpi e la filosofia del separatismo spesso si intersecano con la lotta di classe e le rivendicazioni sociali della sinistra (la cosiddetta “doppia militanza“). Per la prima volta le donne vanno oltre il raggiungimento dell’uguaglianza di genere: intendono ridefinire il proprio ruolo sociale e la propria identità, spesso scontrandosi apertamente con i “compagni” per i quali la questione femminile era subordinata a quella di classe.
Sessualità, violenza maschile, maternità, autodeterminazione in ambito lavorativo e sfruttamento domestico: questi sono tra i temi principali dell’agenda femminista di quegli anni, che diventa sempre più slegata dalla lotta anti-capitalista fino a rompere definitivamente con gli ambienti politici di sinistra. Infatti, risalgono proprio a questo periodo le grandi manifestazioni che hanno poi portato a leggi come quella sulla fine delle discriminazioni in ambito lavorativo, al divorzio e all’aborto.
Il movimento femminista non era né omogeneo né coeso ma, anzi, racchiudeva al suo interno donne con estrazioni sociali ed esperienze molto differenti tra loro che misero in luce le forti divisioni e contraddizioni del femminismo italiano degli anni Settanta, le quali furono tra le motivazioni che portarono alla conclusione della fase più intensa del movimento verso la fine del decennio.
L’enorme contributo di Carla Lonzi
Massima esponente italiana del femminismo della differenza, Carla Lonzi è stata tra le fondatrici di Rivolta Femminile, una delle principali teoriche della pratica dell’autocoscienza e punto di riferimento del femminismo italiano più radicale.
Per molti anni, però, le sue opere sono andate fuori stampa e il suo pensiero è piombato nell’oscurità: di recente, la casa editrice La Tartaruga ha deciso di ripubblicare i suoi testi, facendo così riscoprire al pubblico italiano la sua preziosa eredità e la lotta femminista degli anni Settanta.
In uno dei suoi libri più celebri, “Sputiamo su Hegel“, Lonzi critica i padri della filosofia e del comunismo (Hegel, Marx e anche Freud), colpevoli di aver sottostimato le potenzialità della donna e di aver riproposto nelle loro teorie le antiche forme di oppressione patriarcale, oltre che impossibilitati a rinunciare alla famiglia e a riconoscere la soggettività politica femminile. In particolare, Lonzi si scaglia contro il marxismo-leninismo e si oppone fermamente all’idea secondo cui l’emancipazione (anche sessuale) della donna passi prima per la liberazione dal giogo capitalista.
Con la creazione del folgorante binomio “La donna clitoridea e la donna vaginale“, invece, Carla Lonzi è la prima a parlare di piacere femminile, inteso come un piacere che non è conseguente o subordinato a quello dell’uomo ma possiede una propria dimensione e importanza. Lonzi presenta così una sessualità in cui il pene maschile non è più centrale, capovolgendo e rivoluzionando il pensiero corrente. La “donna clitoridea” è dunque colei che, grazie all’autocoscienza, è riuscita a liberarsi dalle costrizioni del sistema patriarcale partendo proprio dalla sua sessualità. Infatti:
La donna vaginale è quella che, in cattività, è stata portata a una misura consenziente per il godimento del patriarca mentre la clitoridea è una che non ha accondisceso alle suggestioni emotive dell’integrazione con l’altro e si è espressa in una sessualità non coincidente col coito… Senza l’abolizione dello schema sessuale maschile e senza una presa di coscienza della donna vaginale non esiste femminismo.
Elena Ferrante e il “ritorno” del femminismo
Elena Ferrante, decretata dal New York Times “scrittrice del secolo“, è tra le voci più interessanti del panorama letterario contemporaneo grazie alle sue opere che hanno portato una boccata d’aria fresca nel movimento femminista italiano, che sembrava quieto da ormai troppo tempo.
Il suo testo più celebre, la saga de “L’amica geniale” (da cui è stata tratta anche l’omonima serie tv), ci trasporta nell’Italia degli anni Settanta, tra le violenze del Meridione e le idee intrinsecamente femministe di cui si fanno portatrici le sue due splendide protagoniste.
Elena Ferrante dà voce ai pensieri, mai espressi ad alta voce, delle donne: la maternità “oscura”, il matrimonio come gabbia, la ricerca del piacere, la vergogna, l’accettazione del proprio corpo, l’autodeterminazione politica e l’ambizione lavorativa.
Attraverso un reticolo di personaggi (e vicende) altamente complesse e sfaccettate, Elena Ferrante ci ha regalato uno spaccato della società italiana per nulla banale che attraversa circa 6 decenni e in cui il valore dei legami femminili è centrale, riaprendo così il dibattito attorno al femminismo italiano e riempiendolo di nuovi spunti di discussione.
Il femminismo di oggi, tra social media e nuove sfide
Il panorama femminista italiano odierno ha sicuramente un volto diverso, persegue battaglie nuove e agisce in spazi che prima nemmeno esistevano: non è più il movimento della consapevolezza e dell’autocoscienza, il movimento che ha invaso le piazze e ottenuto dei diritti imprescindibili ma è un qualcosa del tutto nuovo, che si appoggia all’uso massiccio dei social media e fa perno su nuovi valori come l’inclusività e l’intersezionalità, oltre a rincorrere lotte differenti tra cui lo sfondamento del glass ceiling , l’abolizione della cultura dello stupro e lo scardinamento degli stereotipi attorno alla femminilità (e sì, anche quelli della mascolinità).
Tutto ciò, se da una parte ha fatto emergere maggiori spazi politici e modalità di lotta diversificate, d’altra parte ha portato a una sorta di “brandizzazione” del femminismo, svuotandolo del suo significato più profondo. Infatti, la quarta ondata del femminismo fatica a mantenere le conquiste delle sue antenate e appare – in Italia e nel mondo – sempre più vicina a una cultura di stampo liberale e invece più lontana dagli ambienti di sinistra radicale, contribuendo ad appiattire il dibattito pubblico di una società già abbastanza polarizzata.
Attraverso i testi di Carla Lonzi ed Elena Ferrante il movimento femminista italiano attuale ha solamente rintracciato delle nuove basi teoriche ma deve recuperare la dimensione collettiva degli anni Settanta, la militanza e soprattutto la volontà di occupare fisicamente lo spazio.