Femminismo Islamico: oltre il velo del pregiudizio

Femminismo islamico

Jin Jiyan Azadi

Parlare di Femminismo islamico sembra un ossimoro oggi.

Velo ed oppressione sono termini sinonimi nella narrazione mediatica e traducono uno sguardo carico di pregiudizio: quello occidentale. Femminismo islamico dunque un ossimoro inconciliabile

Nel guardare al mondo islamico la percezione è che si tratti di un tutt’uno indifferenziato. I media ci presentano i paesi di religione musulmana come un unico blocco indifferenziato quando la realtà dei fatti è ben diversa. L’islam è una religione diffusa ben oltre il Medio Oriente e ha forme e modi di essere che cambiano luogo per luogo. 

La semplificazione e separazione tra Occidente e Oriente operata dai media riproduce uno schema dicotomico tra il bene e il male, la cultura e l’oppressione, che poco si addice alla complessità di un fenomeno come quello religioso. 

Basti pensare che la percentuale di musulmani nel mondo si attesta nel 2015 al 24%. Il paese in cui è più diffusa la religione islamica è l’Indonesia, dove i musulmani rappresentano l’87% della popolazione.

Ogni realtà geografica racconta una storia diversa e testimonia forme diverse di Islam. All’interno di ogni singola realtà la condizione femminile è differente, ed è il frutto di storie, politiche, contesti sociali e religiosi unici e singolari.

Ma cosa intendiamo dunque parlando di Femminismo islamico? 

Il femminismo islamico rivendica una diversa lettura dei testi sacri e spesso rifiuta il modello di emancipazione occidentale. Si tratta di un fenomeno che appare sulla scena mondiale nel corso del Novecento e che oggi soprattutto, alimenta forti dibattiti. 

Le attiviste islamiche rivendicano come l’Islam contempli elementi di liberazione per le donne, ma che l’interpretazione patriarcale di questi abbia portato ad una distorsione del messaggio dei testi sacri. La discriminazione contro le donne diventa allora il prodotto di interpretazioni misogine che si sono affermate nei secoli all’interno di culture patriarcali.

In sostanza: il problema non è la religione o il messaggio religioso, ma la storia che lo racconta.

Al tempo stesso il femminismo islamico rivendica l’adozione del velo come il frutto di una libera scelta e invita a de-colonizzare e de-essenzializzare le letture che vengono fatte sia dell’Islam che del femminismo. 

Ma cosa significa ?

Decolonizzare il femminismo significa mettere in discussione il paradigma occidentale che costruisce la nozione di donna e di “femminismo occidentale bianco”. Significa riconoscere che se il velo è additato come tentativo di sottomissione della donna al dettame maschilista e patriarcale, allora la minigonna può rispondere a una compiacenza dello sguardo maschile piuttosto che a una riappropriazione di genere.

Insomma, non si può semplificare, nè da una parte, nè dall’altra.

Il rischio di spingere donne di una cultura diversa ad adottare modelli culturali che non riconoscono non è indice di emancipazione, ma un atteggiamento anti-islamico.

Secondo Renata Pepicelli, autrice del libro “Femminismo Islamico” si possono individuare tre istanze che hanno portato alla diffusione del femminismo islamico:

La prima è l’opposizione alle forme più ortodosse e retrograde dell’islamismo. Il femminismo islamico nasce infatti laddove all’islamizzazione della società consegue la perdita per le donne, di una serie di diritti. Non è un caso che sia l’Iran uno dei primi paesi dove si diffondono i movimenti femministi islamici. Qui la Repubblica Islamica e le imposizioni sulle donne hanno risvegliato l’opposizione non solo tra le “femministe secolari”, ma anche e soprattutto da donne che si sono sentite tradite dagli esiti della rivoluzione islamica.

La seconda istanza è data da quella opposizione all’occidentalizzazione di valori e diritti di cui si è detto prima: l’emancipazione femminile non è solamente quella delle donne occidentali e il velo diventa l’esempio più esemplare di questo tipo di critica. Molte femministe islamiche infatti pur non indossandolo difendono la libera scelta delle donne di portarlo.

la terza ragione del femminismo islamico è data dalla convinzione che i testi sacri dell’Islam rappresentino, se riletti da una prospettiva di genere, uno strumento per rivendicare diritti e spazi. Islam e attivismo si ritrovano così a coincidere.

Oggi i movimenti femministi islamici sono molti e in crescita: sempre più attiviste prendono parola per esprimersi su questioni non solo teologiche, ma politiche.

Basti pensare alle recenti proteste in Iran, dove la Women Living Under Muslim Laws (WLUML), una rete nata nel 1984 con l’obiettivo di monitorare la condizione femminile nel mondo islamico denuncia oggi  l’uso politico della religione e fornisce sostegno alle donne musulmane che intendono contrastare leggi, istituzioni e costumi basati sulla disuguaglianza di genere. Le proteste in Iran degli ultimi mesi hanno per la prima volta da anni riacquisito la forma e la volontà di un’azione collettiva: si protesta contro l’intero sistema di oppressione messo in piedi da un regime e il velo diventa, in questo caso, un simbolo religioso e politico.

                                                                                                                                  Nicole Stella Metz

 

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