Un ennesimo femminicidio ad Enna va ad allungare la lista delle donne uccise che sta spingendo sempre più verso l’emanazione di una nuova legge contro i reati di genere. La cosiddetta “Codice Rosso” .
La domanda che ci si pone però è: «può il diritto penale e l’inasprimento delle pene contrastare un fenomeno simile?»
La nuova legge “Codice Rosso”, chiamata così perché si propone di velocizzare l’iter processuale, delle indagini, per i reati di violenza contro le donne è arrivata alla Camera.
Prevede interventi più rapidi delle forze dell’ordine e un iter processuale (delle indagini) semplificato. Si propone di accelerare l’avvio del procedimento penale e delle misure di sicurezza preventive per salvaguardare la vittima. Per contrastare le attuali lungaggini burocratiche che vanno dalla conoscenza della notizia di reato, da parte delle forze dell’ordine, all’intervento del pubblico ministero, che può emanare le misure di sicurezza e avviare il procedimento penale. Questo grazie all’obbligo per le forze dell’ordine di comunicare immediatamente aI p.m. le notizie di reato come: maltrattamenti e lesioni; violenze sessuali e non; Stalking; etc.
Inoltre l’obbligo in capo ai p.m. di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla comunicazione. Dando poi la priorità alla polizia giudiziaria sulle indagini di questi reati.
Tuttavia, nonostante gli alti propositi di suddetta legge, un iter procedimentale simile già esiste.
La legge n. 119 del 2013 sul femminicidio e i reati di genere, prevede priorità ai procedimenti giudiziari sulle violenze di genere e aggravamento delle pene.
Non solo quindi già esiste una corsia preferenziale, ma è anche già stato previsto un aggravamento delle pene e l’introduzione di nuovi reati. Restano però “complicate” le situazioni in cui operano i p.m. e la polizia giudiziaria. Restano lacune, dubbi interpretativi e miglioramenti da apportare.
Perché, quindi, invece di migliorare una legge già esistente, semplificarne l’applicazione e l’iter processuale, la politica si impantana nelle difficoltà di emanare una nuova legge?
Difficoltà di cui abbiamo avuto prova, ed esempio, nel dibattito sul Revenge porn e sulla castrazione chimica.
È un’altra manovra di propaganda?
I dati statistici, diffusi dal Ministero dell’Interno e dall’Istat, ci dicono che l’Italia è il paese più sicuro d’Europa. Soprattutto sui reati che mettono a repentaglio la vita delle persone. Anche se questi dati statistici contrastano con la percezione degli italiani, che immaginano una delinquenza dilagante. Su questa percezione, infatti, è stata approvata la legge sulla legittima difesa e si sta discutendo sulla liberalizzazione delle armi.
Perché questa digressione?
Statisticamente quasi l’80% dei femminicidi è stato commesso da uomini che avevano un legame con la vittima.
Andando oltre vediamo che gli assassini sono per l’80% di nazionalità italiana, e ancora, che la maggioranza dei femminicidi sono avvenuti fra le mura domestiche.
Su questo fenomeno, che è di evidente natura sociale, non esistono dati statistici ufficiali (del Ministero o dell’Istat, per esempio) non esistono ricerche sociologiche e psicologiche, non esistono campagne d’informazione promosse dal Governo.
Esiste solo una cattiva informazione, e una convinzione crescente che solo un inasprimento delle pene può essere utile.
Quindi mentre si cerca di contrastare i femminicidi, che contano dal 2005 ad oggi 1.400 vittime, circa, soprattutto uccise con armi da fuoco e da persone di famiglia, il Governo tenta di liberalizzare le armi e lancia un messaggio di sfiducia verso i Giudici e di necessità di “farsi giustizia da soli”.
La violenza di genere è un problema della società italiana derivante dalla cultura patriarcale, di cui il femminicidio è estrema manifestazione.
Cercare di combattere tale fenomeno con il diritto penale (che per sua natura arriva solo ad azione già commessa) senza prevedere: campagne d’informazione; creazione di dati statistici ufficiali; aumento della sensibilità sociale; impegno culturale; studi sociologici; contrasto alla diffusione delle armi; studi psicologici su chi ha commesso il reato, è solo sterile propaganda politica. Non contrasterà il fenomeno, ma si limiterà a utilizzare l’uomo come mezzo, cioè “Ti punisco per evitare che altri tornino a violare.”
È una teoria valida?
Se ci voltiamo alle spalle guardando il passato e la strada percorsa dal diritto penale, dalla nascita ad oggi, ci accorgiamo che questa teoria è non solo inumana, ma anche statisticamente inutile.
Una teoria penale sterile dal punto di vista della prevenzione (Guardiamo gli Stati Uniti). Mentre la prevenzione é l’unica strada per evitare il femminicidio.
Come combattere quindi il fenomeno?
Certamente i legislatori dovrebbero tornare a studiare Cesare Beccaria e il suo, mai tramontato, “Dei Delitti e Delle Pene”. Il Marchese c’insegna che non servono leggi più severe, ma serve conoscenza, istruzione, certezza della condanna e non durezza della pena.
«{…} La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità. {…}»
Emanare leggi su leggi, ripetitive, sovrabbondanti e poco evolute, crea incertezza sull’applicazione delle stesse, crea lacune, crea disinformazione e confusione ai cittadini. Oltre che largo arbitrio ai Giudici. Serve quindi un legislatore che istruisca e non impaurisca. Un iter processuale, che vada dalle indagini alla condanna, semplificato, ma preciso, veloce, ma certo. Un lavoro d’intelletto e non di pancia, ma soprattutto serve un impegno nel sociale e non nel penale.
Leandro Grasso