Per la prima volta è stata avviata un’indagine medico-legale per studiare il femminicidio attraverso un metodo scientifico valido. La ricerca, promossa dalla professoressa Rossana Cecchi dell’Università di Modena e che coinvolge le Scuole di medicina legale italiane, mira a definire cosa è il femminicidio, a distinguerlo da altri tipi di delitto e a prevenirlo. È stato condotto uno studio su 1100 corpi per trovare tratti in comune tra le vittime.
Uno studio su 1100 corpi: il metodo scientifico per indagare il femminicidio
Un nuovo modo per studiare il femminicidio, distinguerlo dall’omicidio di donna generico e, se possibile, prevenirlo: questa è l’idea dietro all’indagine promossa da Rossana Cecchi, professoressa dell’Università di Modena. La ricerca si propone di “studiare il fenomeno del femminicidio con un metodo scientifico valido“, evidenziando come sui corpi delle vittime si possano trovare dei markers specifici. Secondo la studiosa, nel femminicidio esisterebbe un “modo simbolico” di colpire il corpo della vittima (come pattern ricorrenti e punti specifici), che se studiato potrebbe aiutare a prevenire le violenze quando la donna arriva in un centro antiviolenza o al pronto soccorso. L’indagine, durata tre anni, ha coinvolto le Scuole di Medicina Legale italiane ed ha previsto uno studio su 1100 corpi di donne vittime di femminicidio.
Prima di iniziare il progetto il team ha dovuto, tramite accurata ricerca, identificare cosa è il “femminicidio” e distinguerlo dall’omicidio di donna “generico”, in modo da avere dati più accurati possibili e fare chiarezza tra i due crimini; questo perché di fatto la definizione del concetto di “femminicidio” nel mondo non è omogenea o ben chiara, come riportato dalla Società Italiana di Medicina Legale (SIMLA). I corpi di donna analizzati quindi sono stati esaminati tutti secondo la definizione di “femminicidio” proposta dalla medicina legale italiana alla comunità internazionale, ovvero:
il femminicidio si realizza quando l’omicida uccide la propria vittima in quanto non le riconosce il diritto all’autodeterminazione
Il femminicidio è quindi definito come quell’assassinio atto ad impedire l’autodeterminazione della donna.
Nel corso della ricerca della professoressa Cecchi sono stati esaminati di conseguenza tutti i casi dove la vittima abbia “manifestato volontà di separarsi dal partner, rifiutato relazioni affettivo-sessuali o matrimoni combinati, rivendicato il proprio diritto a lavorare, a studiare, a vestirsi in un determinato modo, in altri termini ad esprimere la propria personalità in piena libertà“. Al contrario, non sono stati considerati femminicidi, e quindi esaminati, i casi di omicidi di donne derivanti da violenza motivata da altre ragioni, come ad esempio motivi economici, disturbi psichiatrici dell’aggressore o la presenza di una personalità violenta nell’autore.
Cosa ci rivela l’analisi?
I dati che emergono dalla ricerca sono importanti. Nei femminicidi si osserva una particolare aggressività verso il volto (cosa non comune invece agli omicidi di donne generici), come se “si volesse cancellare l’identità della vittima”; inoltre vengono colpiti in modo particolare il collo, la bocca, il seno ed il pube, quest’ultimo normalmente risparmiato negli omicidi generici di donna. Significativamente rilevante è anche il fenomeno dell’overkilling, cioè quando vengono inferti più colpi di quelli sufficienti a provocare la morte della vittima. La SIMLA riporta come tutti questi elementi delineino un “quadro di intensa carnalità nell’atto omicida, che ben si concilia con il senso di potere che il carnefice si arroga”. Lo studio condotto quindi dimostra come nei femminicidi l’aggressore sia particolarmente violento e crudele, vedendolo in alcuni casi addirittura continuare ad infierire sulla vittima ormai deceduta.
La situazione evidenziata è quindi molto grave, soprattutto alla luce dei nuovi femminicidi che in questi giorni hanno sconvolto l’opinione pubblica, Giulia Cecchetin in primis. Unica nota “positiva” dello studio medico-legale, è la scoperta di questi segnali che possono far identificare, si spera almeno anzitempo, un caso di tentato femminicidio.
Per evitare che questi dati crescano sempre di più e che queste efferatezze accadano ancora, è quanto mai necessario educare e sensibilizzare, rendendo tutti coscienti del problema e attivi nel combatterlo.
Marco Andreoli