Ha dato vita a un abominevole pesce di plastica, imprimendogli la forma di una tanica, e l’ha gettato in mare; ha abbandonato fra le acque del Mediterraneo un bimbo di colore aggrappato a uno zerbino. Ha diffuso un video in cui colpisce ripetutamente il volto di una donna; nel grembo di un’altra, invece, ha infilato un neonato attaccato ad un tablet. Poi ha crocifisso se stesso “artista”; in più, ha documentato con alcuni video le sue esperienze di proiezione extra-corpo. Il suo nome è Federico Clapis, e questa è la sua arte.
Chi è Federico Clapis?
Il suo nome potrebbe evocare alla mente ricordi di spezzoni comici su Youtube. Chi invece in questo momento segue il profilo Instagram che porta lo stesso nome, sta sostenendo il lavoro di un artista, e lo affianca commentando con le sensazioni che suscitano queste opere. Chi è Federico Clapis allora? Un caso di omonimia, oppure un abile trasformista, o ancora un individuo dalla doppia identità?
Abbiamo chiesto a Federico di raccontarsi in un’intervista, e di spiegarci i suoi lavori (Puccia Puccia il Biscottino, donna schiaffeggiata compresi…).
Federico Clapis approda effettivamente su Youtube con video comici, al limite del demenziale, nel gennaio del 2012. Gira videoclip-parodia di musica house nelle discoteche di Milano, per poi vestire i panni del Dottor Clapis e intraprendere un viaggio alla scoperta dei “più temibili animali del pianeta”: è l’inizio della serie National Geo Clapis. Dopo qualche puntata – nascosto con un paio di occhiali quello sguardo azzurro ammaliatore – i suoi video assumono una piega diversa, più introspettiva, quasi filosofico-esistenziale: avvia così la serie dei #SenzaMaschere.
Nel 2015 però, Clapis si ritira dagli schermi. L’addio all’intrattenimento, e un nuovo inizio: l’artista confessa quella che finora è stata la sua strategia, ossia creare un bacino di pubblico nel modo più efficace – il divertimento incontaminato, puro appunto – per riuscire a catturare l’attenzione – e infine liberare, celata da un velo, ora rivelata, la sua opera artistica.
[“The Hands of Life” – video installazione di Federico Clapis ]
Federico, tanta scena, questo lungo percorso intricato negli anni, tutta questa “strategia” …ma era davvero così necessario? O magari hai ritenuto che nel 2012 i tempi non fossero “maturi” per affrontare determinati temi, e quindi hai preferito aspettare – travestito da Youtuber – mentre operavi “nell’ombra”?
In realtà non so se è stato “necessario”: è stato quel che è stato, ma poteva anche andare in un altro modo… Non ne ho la più pallida idea. E no, non è che ho aspettato per trattare questi temi. Direi piuttosto che ho aspettato a trattarli in un modo così diretto, in modo così impattante. Prima c’era comunque questo “io”: in gran parte dei miei contenuti vecchi, c’era già questa attitudine verso l’arte e verso le stesse tematiche, ma c’era sempre un compromesso con la comicità, con l’intrattenimento. Era veramente poca roba.
Quindi ti riferisci anche ai primissimi video, ad esempio “La signora Rosalia” e l’Omino Biscottino?
Sì, era tutta una strategia. Poi, è chiaro che nel mentre mi impegnassi: mi impegnavo in quello che producevo, ma non sapevo ancora quando avrei convertito tutto sull’arte. Forse dopo 20 anni, o non so, l’ho capito. È stato tutto un “surfare” il momento.
E così ora ti sei spostato prevalentemente su Instagram, dove ti mostri ogni giorno al lavoro, e inviti i tuoi follower a commentare con le sensazioni che riesci a suscitare in loro con le tue opere… Ma ecco, tiriamo un attimo le somme da quell’addio: pensi ci sia stata una perdita di pubblico, da quando hai lasciato l’intrattenimento su Youtube, oppure è solo cambiato il tipo di pubblico che ti segue?
Ecco, diciamo che ho abbastanza riparato la perdita iniziale, acquistando un pubblico nuovo. Ma in particolare quando sono ripartito, c’è stato un vero e proprio cambio di piattaforma: cioè io ho dato l’addio quando la mia piattaforma main era Facebook, quindi poi da Facebook ho dovuto ripartire da zero su Instagram. Perciò a seguirmi su Instagram oggi, ci sono più persone di quando ho dato l’addio, semplicemente perché all’epoca non lo utilizzavo granché. Quindi in realtà… guarda: credo che nessuno possa ritenersi definitivamente “ricco” di follower, perché i cambi di piattaforma ti costringono a ripartire quasi da zero: non puoi spostare il tuo seguito da uno all’altra.
Adesso comunque hai 166 mila persone che ti seguono sul tuo profilo Instagram: ti definiresti un influencer, nel provare a sensibilizzarle su determinati temi (i migranti nel Mediterraneo, l’inquinamento della plastica nei mari, il rapporto fra essere umano, natura e tecnologia…) tramite le tue opere?
Non saprei se in quei momenti mi si possa considerare un influencer, ma sicuramente il rapporto con dei follower “attivi” che mi seguono, commentando con le loro impressioni, mi assicura c’è interazione, e spero che quelle stesse persone utilizzino L’arte come strumento di introspezione: ecco direi che io, con le mie opere, voglio dare uno strumento, più che un messaggio. E difatti a partire dall’anno prossimo sottolineerò tanto – e in varie situazioni, persino con alcune mie opere – l’importanza dei commenti sotto ogni mia opera pubblicata su Instagram, perché i commenti sono parte dell’opera stessa. Per me è fondamentale che questa cosa venga fuori molto più chiaramente rispetto a quel che è stato finora.
Finalmente, parliamo a questo punto delle tue opere: una fra le maggiori è un video che si intitola “The Hands of Life”, e il suo messaggio è abbastanza chiaro dopo averlo visto… Ma perché scegliere di mostrare proprio il volto di una donna?
A parte che non è una delle opere di cui vado più fiero, e non a caso non ho potuto caricarla sui social, poiché troppo cruda: insomma può essere troppo fraintesa. E poi semplicemente ho scelto una donna, perché una donna fa più effetto: volevo innanzitutto rappresentare le mani della vita, e in realtà in principio anche le mani dovevano essere quelle di una donna, se vuoi saperla tutta. Ma non ho trovato nessuno con le mani che cercavo io, e allora ho usato le mie – anche se ho fatto abbastanza fatica – che sono piuttosto neutre, cioè né troppo di donna né troppo di uomo. Lei comunque si chiama Sabrina Orecchia: è un’attrice molto brava, mi sembrava una persona perfetta per incarnare quel ruolo lì. Succube e allo stesso tempo coccolato dalla vita.
Scorrendo la cronologia delle tue opere, si ha quasi l’impressione che ti stia in qualche modo avvicinando sempre più alla materia ultimamente: prima c’erano molti lavori digitali, molte installazioni, mentre adesso sei spesso con le mani immerse nei materiali, che sia per plasmare, assemblare, dipingere, modellare eccetera… Senti forse il bisogno di un contatto “più diretto”, manuale, concreto con questi materiali appunto?
Sì esatto, adesso mi sto dedicando molto più alla materia, ma in realtà se in qualche momento dovesse venirmi di nuovo un’idea di un’installazione la svilupperei subito. Non vado in cerca di un rapporto più diretto con la materia, però sì, ho bisogno di usare le mani perché… perché mi piace, mi fa stare bene dal punto di vista meditativo. Effettivamente con le mie stesse mani io assemblo, faccio tante cose, ma comunque spesso dietro questo lavoro c’è una parte in digitale, oppure sono scansioni laser. Non sono proprio l’artista “artigiano”, che fa tutto esclusivamente a mano, però le uso volentieri perché semplicemente…mi piace. Soprattutto, ci sono cose che non sono mia competenza, e quindi le affido ad altre persone: io non so fondere ad esempio. E comunque la video-arte rimane sempre nella mia testa: se succede qualcosa che mi stimola a produrre, lo faccio.
Inoltre, utilizzare materiali diversi per la stessa opera (è il caso ad esempio di “The connection” in resina, poi bronzo, e presto in cemento) diventa un pretesto per esplorare materia nuova, ed è quello per me un nuovo viaggio: quindi al centro non rimane più il soggetto, bensì la materia con cui lo realizzo. Questo rappresenta il mio viaggio personale. Quindi aspettatevi di vedere tutti i soggetti iconici, in un’infinita di materiali, e sicuramente tutti i prossimi in cemento. Il prossimo uscirà giusto a settembre, ed inaugura un nuovo tipo di cemento.
In fondo l’hai detto tu stesso – che hai iniziato a scolpire già da piccolo – e che a casa di tuo nonno c’è una scultura, di cui vai più fiero persino di alcuni tuoi lavori attuali…
Ahahah m*nchia, l’ho portata qui a casa mia! Ce l’ho in un armadio, le ho fatto uno shooting PRO, e sì, sì prima o poi assolutamente la mostrerò a tutti. È che non so a quanti interessi questa cosa, quindi sta lì. Però le ho fatto persino lo shooting…! Sicuramente sul mio prossimo sito – che sarà online a ottobre, e ci sarà una timeline tramite cui si potrà fare un percorso nel tempo di quello che è stato il mio processo evolutivo – metterò quella lì che risale al 1990… anzi non so più quando fosse. Avevo 9 anni, quindi 22 anni fa, fai tu il calcolo…
Alice Tarditi