Febbre Oropouche e malaria: due malattie di cui preoccuparsi?

Il cambiamento climatico causerà una nuova epidemia determinando le sorti o la migrazione di insolite specie di zanzare?

dengue in Argentina Febbre Oropouche e malaria: due malattie di cui preoccuparsi?

Recentemente, presso l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar in Veneto è stato isolato il primo caso di febbre Oropouche in Italia, una malattia trasportata dalle zanzare. Il malessere è oggetto di studi in laboratorio e per il momento non sembra altamente contagioso in Italia: il paziente dovrebbe averlo contratto nell’America del Sud considerando i suoi recenti viaggi all’estero.

La storia della febbre Oropouche

La malattia sembra essere particolarmente diffusa in America centrale e del sud e si contano oltre 500.000 casi dal 1955 ad oggi. Il primo caso fu scoperto in un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago. Quest’anno la situazione sembra fuori controllo: sono già stati segnalati circa 5000 casi di febbre Oropouche con contagi massicci in zone in Brasile e Bolivia finora mai esplorate dal virus.

L’organizzazione della sanità locale ha lanciato un’allerta per invitare gli Stati confinanti a controllare e limitare il contagio soprattutto per proteggere le popolazioni a rischio. La febbre è trasportata da alcune specie di zanzara come la Culicoides Paranensis, la Culex Quinquefasciatus o la Aedes Aegypti. Tuttavia in Italia, gli esperti per ora sostengono che le specie di zanzare e moscerini comuni sul territorio nazionale non dovrebbero essere in grado di veicolare il virus.

Quali sono i sintomi della febbre Oropouche?

La febbre Oropouche è spesso paragonata ad altri storici virus trasportati da zanzare come Dengue, Zika e Chikungunya. Come spiega Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità di Virologia e Patogeni Emergenti dell’IRCCS, dopo 3-8 giorni dalla puntura dell’insetto, il ventaglio degli effetti include febbre alta, fotofobia, mal di testa, nausea, vomito, mialgia e artralgia. In alcuni casi sono state osservate anche conseguenze più gravi al sistema nervoso centrale come encefalite o meningite. Inoltre, nel 60% dei pazienti osservati, dopo 2-10 giorni si ripresentano gli stessi sintomi ma in maniera meno aggressiva.


La malaria: una malattia di cui preoccuparsi?

La malaria è ancora oggi causa di morte di molte persone: nel 2020, 600.000 sono stati i decessi dovuti ad essa. La letteratura occidentale che parla di epidemie di malaria non risale oltre il V secolo a.C..

Tuttavia un gruppo di studiosi capeggiato da Megan Michel, dottoranda presso l’istituto Max Planck e l’Università di Harvard, è riuscito ad individuare la presenza della malattia nel DNA estratto dai resti dei denti di 35 individui vissuti nell’arco di circa 5500 anni. Le innovative tecniche per l’analisi del DNA hanno portato ad un risultato importante: sembra che la malattia fosse diffusa nel sud-est dell’Asia già circa 4000 anni fa. Per questo motivo, la malaria sarebbe stata una delle calamità responsabili di una fase evolutiva (e dunque selettiva) della specie umana.

Quali sono i sintomi della malaria?

La sua trasmissione è ostacolata o favorita dalle condizioni climatiche: le zanzare vivono in maniera più difficoltosa al freddo e ad elevate altitudini, dunque difficilmente potranno infettare popolazioni che vivono in queste condizioni.

Purtroppo è una malattia difficile da diagnosticare subito perché i sintomi non sono specifici e sono visibili entro 10-15 giorni dopo la puntura di zanzara. Essi variano da innocua stanchezza ed affaticamento fino a febbre, mal di testa, brividi, ittero, sanguinamento anomalo, sangue nell’urina, convulsioni e morte.

Colpa del cambiamento climatico?

Anche il cambiamento climatico potrebbe avere un ruolo significativo nel ridurre in alcune zone (ed aumentare in altre) il presentarsi di malattie veicolate dalle zanzare. Ad esempio, l’abbondanza o la scarsità di piogge può favorire o ostacolare lo stabilimento di colonie di zanzare. Alcuni studi sostengono che dal 2025 la malaria sarà meno presente in aree del pianeta da sempre ritenute come le più calde. Ciò potrebbe verificarsi nei territori compresi tra Senegal e Sudan. Allo stesso tempo la malaria potrebbe diffondersi in altri territori che ormai hanno abbassato la guardia sulla minaccia mortale e che potrebbero non essere pronti ad affrontare un’epidemia.

Sono tutte delle ipotesi ancora non verificate, ma il campanello d’allarme del cambiamento climatico dovrebbe essere sufficiente per mettere i settori della sanità del mondo in guardia. Non si dovrà esser pronti ad affrontare solo il caldo torrido e il freddo glaciale, ma anche a risolvere problemi dovuti all’arrivo di insolite malattie per far sì che gli Stati siano pronti a rispondere prima che si verifichi una decimazione su scala globale. Per assurdo, dovremmo essere abbondantemente preparati a scontrarci con delle epidemie dopo quella di Covid di qualche anno fa.

 

Andrea Ruzzeddu

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