FBI nasconde le prove che Obama ha spiato Trump. Eccole

Nessuna presa d’atto dei mainstream sulla notizia:

“Devin Nunes, il presidente della Commissione Intelligence della Camera bassa, ha detto alla stampa: sì, la “comunità d’intelligence” ha raccolto “incidentalmente” telefonate e messaggi. Sì,”membri del transition team di Donal Trump, e possibilmente Trump stesso, sono stati sotto sorveglianza durante l’amministrazione Obama, dopo  l’elezione di novembre”.  Sono stati “monitorati” ma durante una “raccolta incidentale” di dati. Però è stato tutto “legale”.




Oggi siamo in grado di aggiungere: Nunes non voleva affatto fare quella ammissione. Vi è stato obbligato dall’avvocato Larry Klayman, che è presidente di FreedomWatch (un  gruppo  politico repubblicano)  che  ha minacciato altrimenti di “rendere pubblica  l’apparente complicità della Commissione Intelligence della Camera nel nascondere al popolo americano la verità, consentendo all’FBI di continuare l’insabbiamento della ‘inchiesta Montgomery”.

Andiamo per ordine. Chi è Montgomery?  Dennis Montgomery: è  un fuoriuscito della Cia e spifferatore di segreti scottanti, per i quali rischia decenni di galera, se non dimostra di aver rivelato i segreti per alte ragioni civiche e morali; Klayman è il suo avvocato difensore.

Due anni fa, su consiglio del  suo avvocato, Dennis Montgomery si è fatto interrogare dall’FBI “in una stanza sicura nel Distretto di Colombia” dove ha raccontato come le “due agenzie di spionaggio, Cia e NSA, avevano sottoposto a sorveglianza sistematica [ascolti telefonici,intercettazione di mail eccetera] americani importanti, fra cui il capo della Corte Suprema, altri membri, 156  magistrati, uomini d’affari noti come Donald Trump”.  Secondo Zero Hedge,  la sorveglianza sistematica è stata “lavorando fianco a fianco con l’ex direttore della National Intelligence di Obama, James Clapper, e l’ex direttore della Cia sotto Obama, John Brennan”.

Montgomery ha assistito, come impiegato della Cia, a questa “orwelliana intrusione nella vita privata”di persone che poteva servire “per ricatti e coercizioni”.   Non solo: dice di aver visto come sia stato falsato il conteggio delle elezioni del 2008 in Florida, quando governatore dello Stato era Jeb Bush, e il conteggio diede come vincitore “Dubya”,  il fratello gestito dai   neocon.

Montgomery ha provato le sue accuse: ha consegnato   ai suoi interrogatori dell’FBI ben 47 hard drive e 600 milioni di pagine di informazioni, che ha sottratto alla Cia, dove  ci sono le prove di queste intercettazioni  illegittime.




Due anni dopo, non essendo  ancora partita l’inchiesta da parte FBI, l’avvocato Klayman è andato a Washington per incontrate il capo della Commissione Intelligence della Camera, il già citato Devin Nunes,  “nella speranza che il deputato chiedesse al direttore dell’FBI Comey come mai la polizia federale non aveva dato seguito alle prove fornite da Montgomery”.

Ma appena Klayman ha potuto giungere alla presenza di  Nunes, “è stato sbattuto fuori” (parole sue).  Allora l’avvocato ha parlato con l’attorney (il legale) della Commissione, Allen R. Souza, “avvertendolo educatamente che se il presidente Nunes, il quale quello stesso giovedì aveva invalidato le parole del presidente Trump sostenendo che non c’è prova della sorveglianza posta in atto dall’amministrazione Obama, avrei reso  pubblica la complicità della  Commissione Intelligence della Camera”.

Klayman  ha infatti pubblicato un articolo su NewMax: (link)

E diffuso la lettera ufficiale dell’avvocato a Nunes in cui chiede a Nunes che, in una udienza parlamentare,  ponga a Comey (il capo FBI)   le “domande senza risposta” sulla testimonianza di Montgomery e  come mai non ha dato seguito alle accuse.  La potete leggere qui, spiega tutto.

E’ per questo che Nunes ha   ammesso   che Trump può essere stato soggetto di “Monitoring”, in una “raccolta incidentale” di informazioni. Insomma ha detto il meno possibile.

E tuttavia è stato aggredito dall’opposizione  con incredibile violenza. Nancy Pelosi: “I commenti senza precedenti di Nunes sono un atto di diversione  e di disperazione….Nunes è profondamente compromesso, non può condurre una inchiesta onesta”.

Adam Schiff, il democratico nella stessa Commissione presieduta da Nunes, ha detto: “Il presidente deve decidere se  presiede un centro indipendente d’indagine che sta conducendo inchieste sul possibile coordinamento della campagna di Trump con i russi, oppure se voglia agire come una  pedina della Casa Bianca; perché non può essere l’uno e l’altro”.

Si noterà l’arroganza e l’impudenza: sui rapporti di Trump coi russi non si riescono a fornire vere prove, mentre sull’intercettazione sistematica ordinata da Obama a giudici e uomini d’affari, fra cui Trump, ci sono le prove di Montgomery, date sotto giuramento, e i suoi 47  hard disk.   Schiff  naturalmente “ j”,  esperto in chutzpah. Ma anche FredomWatch è  piena non solo di J, ma di noti neocon:  Ari Fleischer, già addetto stampa di  Bush jr., Mel Sembler (l’ex ambasciatore  in Italia), Matthew Brooks, direttore della Republican Jewish Coalition;  e il maggior donatore dell’associazione è Sheldon Adelson, il proprietario di casinò d  Las Vegas, il quindicesimo uomo più ricco d’America. Tuttavia, adesso questo think tank sembra dedicarsi con accanimento a provare a mettere in galera Hillary Clinton e il suo circolo.

D’altra parte, Nunes  passava per un amico di Trump, degno della sua fiducia,  al punto che è stato membro del suo transition team: ora lo stava evidentemente tradendo coi  democratici, che vogliono costruire una  causa di impeachment   sulla narrativa della complicità di Trump con Putin. E  le cose si devono mettere male, se il Wall Street Journal, il solo giornale importante che ancora sostiene Donald, lo abbandona e scrive che rischia di essere un “fake president”.




La lotta è dura, ricca di voltafaccia e piena di colpi  bassi. Lo spiega una frase di Hillary Clinton, ricordata da qualcuno, durante la campagna: “Se vince quel bastardo, finiamo tutti appesi al cappio”.

Ovviamente tacciono i media italioti. Nei secoli fedeli.

 

Maurizio Blondet

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