È di mercoledì scorso la pubblica ammissione di Fazi Editore, ai suoi lettori, in cui dichiara di aver commesso il cosiddetto “passo falso” decidendo, per problemi redazionali insorti all’ultimo momento, di mandare in stampa un libro, “Il caso Maurizius” di Jacob Wasserman, con una copertina che rappresentava un celebre quadro di un artista californiano. La casa editrice esordisce dichiarandosi stupita e addolorata di aver ricevuto lamentele e insulti e ringrazia coloro che, nonostante tutto, hanno voluto rappresentare la loro “vicinanza” in un momento così difficile e ha spiegato come, dal suo punto di vista, si sono svolti i fatti. Quello che manca a questa descrizione è che l’artista in questione Aaron Westerberg aveva pubblicato il giorno prima sulla sua pagina Facebook un post in cui invitava i suoi fan a non sostenere, e quindi comprare, libri di questo editore perché colpevole di aver rubato il suo lavoro per metterlo su un suo libro, all’insaputa dello stesso artista, e ora, dopo che li aveva contattati lui, si rifiutano di pagargli i diritti.
La risposta non si è fatta aspettare: pare che il messaggio abbia fatto il giro del web e la casa editrice si è trovata a dover correre velocemente ai ripari spiegando ai suoi lettori che è vero, hanno pubblicato un’immagine di cui non detenevano i diritti di utilizzo e di non aver contattato l’autore per questioni di tempi stretti. Ammettono che sia stato l’artista a contattarli i primi di dicembre 2016 quando si è accorto che il suo dipinto era su una copertina del libro di Wasserman e di aver ammesso la colpa e aperto un tavolo di discussione per pagare quanto dovuto, precisando di non aver mai detto che non avrebbero corrisposto il dovuto, e, aggiungono, “La trattativa si è protratta per più di un mese perché, tra festività natalizie e problemi di coordinamento interno, non abbiamo avuto modo di affrontare a dovere la questione. Ci eravamo accordati per risolvere il problema nella prossima riunione”. E continuano dicendo che “Stamattina, visto l’attacco mediatico ricevuto, abbiamo deciso in una riunione anticipata di risarcire l’autore anche oltre le sue richieste economiche, per compensare il nostro ritardo”.
C’è anche da aggiungere un particolare: nei commenti a qualche lettore stregato dalla ipnotica e bellissima immagine del quadro, intitolato “Introspect”, Fazi non solo dichiara il nome dell’artista ma tagga anche Westerberg direttamente nella sua pagina.
Nonostante quanto asserito dalla casa editrice, però, dalla pagina dell’artista tarda ad arrivare conferma, ai suoi estimatori indignati, della chiusura della vicenda, lasciando aperta la possibilità che le cose non stiano così e per raccogliere, forse, un po’ di consensi in più da un pubblico che, fino ad oggi, si limitava a segnalare il proprio apprezzamento, alle belle opere dell’artista, con semplici “like” e pochi commenti.
Non si stupiscono gli operatori della filiera perché il “caso Fazi” è l’ultimo di una lunga serie di colpi di scena che sono nati e sono stati amplificati dai social generando grande indignazione e altrettanto grandi discussioni. Il primo di questi è quello di Voland, del 2014, in cui la casa editrice veniva sollecitata via Facebook da un collaboratore esterno che attendeva un pagamento da oltre un anno e che si vide rispondere dalla proprietaria che, avendo una disponibilità di soldi ridotta (la crisi, i libri non si vendono, siamo piccoli editori, etc…), aveva deciso di dare la precedenza ai collaboratori della sua redazione (bibliomania).
Poi fu il momento di ISBN, casa editrice che fallì e che non pagava né collaboratori, né scrittori; arrivò agli onori della cronaca per la pubblicità negativa che fece loro un autore britannico di origini indiane, Hari Kunzru (Giornalettismo), che si lamentò su Twitter avvertendo che l’editore non aveva pagato la moglie, Katie Kitamura, che aveva pubblicato con loro “Knock-out”. La risposta dell’allora proprietario Coppola non si fece aspettare e aprì un’altra serie di polemiche per aver dichiarato che “I traduttori freelance in Italia lavorano per 8-15 euro a pagina, quando sono pagati. Lavoro precario con piccolo riconoscimento”. E poi ce ne sono state altre, alcune abbastanza famose come la Fanucci che ammise di non pagare i traduttori e alcune sussurrate nei corridoi dell’editoria. Ma tutte, dal caso Voland, hanno alzato più di un polverone.
È decisamente credibile l’asserzione dell’editore Fazi sulla questione che molti commenti pervenutigli abbiano ampiamente superato la soglia di tolleranza della giusta polemica e si possano elevare al rango di insulti, visti i precedenti citati, ma è importante specificare che statisticamente non sono casi così frequenti e che la scivolata di Fazi non sta affatto a significare che è in crisi, ma solo che “tempi stretti” non è una buona giustificazione per non seguire l’iter corretto. È altrettanto importante recuperare credibilità a livello nazionale e internazionale, soprattutto per la piccola e media editoria, che è sempre stata il laboratorio della sperimentazione culturale italiana. Laboratorio sempre in piena attività che produce e propone ai suoi lettori materiale sempre più curato e raffinato.
È anche il caso di Fazi che, negli ultimi due anni, è riuscita a salire di livello modificando la sua immagine, rimettendo mano al suo catalogo e al format dei suoi libri, e infine, ma non meno importante, selezionando una serie scelta di autori e di opere che hanno riscosso un grande successo, fra cui “Lo
schiavista” di Paul Beatty, che è stato il primo autore americano a vincere il Man Booker Prize nel 2016.
La pagina Facebook di Aaron Westerberg è la seguente
L’articolo di bibliomania su Voland e Giornalettismo