Favara, a pochi chilometri da Agrigento, dal 2010 possiede, al suo interno, un cuore pulsante di creatività e arte che adesso è minacciato da una montagna di scartoffie malevoli.
Favara fa da culla a una splendida creazione aperta al pubblico, ideata, nel 2010, da Andrea Bartoli e Florinda Saieva. Questa splendida creazione ha preso il nome di Farm Cultural Park ed è un esempio di rigenerazione urbana.
Era il marzo 2010 quando Andrea Bartoli e Florinda Saieva decidono di salvaguardare e restaurare il centro storico di Favara con i suoi Sette Cortili – cuore pulsante ma fatiscente e tragico, dove due bambine sono morte a causa di un crollo di una palazzina -.
Si chiamano così perché sono, letteralmente, sette cortili abbandonati del centro. Gli ultimi superstiti sono tre anziane signore fragili ma tenaci – proprio come quei Cortili – e un uomo, anche lui residente lì da molto tempo.
Da ultimi sopravvissuti, però, sono diventati parte integrante di una grande famiglia che al posto delle macerie ha messo su un bel po’ di colore.
Passati così da luogo di oscurità e degrado a culla di scambio con artisti internazionali, i quali venivano coinvolti in contributi artistici in cambio di ospitalità, vitto e alloggio.
È dal 2010 che la Farm Cultural Park è diventato un centro artistico indipendente, luogo turistico e familiare per gli abitanti e crocevia di bellezze.
I fatti odierni
Purtroppo sono avvenuti spiacevoli accadimenti in questi ultimi tre mesi. Un caso partito dalla denuncia di un abitante della zona, il quale ha la residenza proprio vicino a uno di questi sette cortili, ha denunciato, a giugno, la Farm dopo aver riscontrato difficoltà nel muoversi verso la – e fuori dalla – sua abitazione.
Da questa denuncia è scaturita un’ordinanza giudiziaria secondo la quale i Sette Cortili verranno smantellati e la Cultural Farm rimossa.
Il 29 luglio un funzionario del comune ha inoltrato una richiesta di “rimessa in ripristino dei luoghi”, entro novanta giorni, a causa di due strutture in particolare: “EQUI-LATERA” e “Butterfly Home”, entrambe installazioni le quali, come sottolinea Bertoli, sono facilmente rimovibili.
Installazioni, oltretutto, per le quali era stato richiesto, due mesi prima, regolare permesso alla costruzione e che per motivi vari è stata procrastinato.
A causa di tutte queste peripezie burocratiche, la Farm rischia di chiudere, poiché l’ordinanza è stata emessa e l’iter burocratico per evitare che la chiusura avvenga – dovessero persino ritrovarsi a coinvolgere il TAR e le istituzioni più alte – richiederà moltissimo tempo, come qualunque impiccio burocratico.
La denuncia dell’abitante, l’ordinanza e la burocrazia soffocante
Tutto è scaturito da una denuncia privata. Lungi dal condannare il cittadino, poiché denunciare una struttura – per quanto bella e commovente – in quanto causa di disagi personali è più che lecito.
Il diritto di proprietà cozza con l’acquisto del territorio pubblico per mettere su la Farm Cultural Park, ma anche questo è sempre fatto regolarmente e ogni cittadino del luogo ha vissuto consapevole del cambiamento.
I Sette Cortili sono stati acquistati da privati (Bertoli e Saieva, appunto) e come tutte le opere belle gestite da privati, anche questa deve scontrarsi con la vita quotidiana dei cittadini che già da prima abitavano quei luoghi.
Se la gestione della bellezza e della cultura fosse davvero un patrimonio pubblico, gestito dunque dall’amministrazione pubblica, probabilmente si troverebbe una maniera più facile di fare coesistere i cambiamenti – con i dovuti finanziamenti – con il territorio preesistente.
Ma in tutta Italia e in Sicilia – luogo ricco di episodi di rigenerazioni culturali avvenute grazie a privati – la gestione pubblica governativa non dà alcuna rilevanza alla cultura e alla bellezza; non trova spazio, tra le proprie carte da firmare, per quello che potrebbe fare bene alla popolazione, autoctona o transitoria che sia.
La burocrazia, poi, è il riflesso di tutto questo. La legge è legge e ci sono regole da seguire; ma quando queste regole vengono seguite ma non accolte, ascoltate, registrate, come si può andare avanti?
Forse conviene fermarsi, ma la cultura non si ferma mai e sebbene possa essere rischioso, bisogna anche andare oltre la burocrazia e continuare a creare. La necessità artistica di ognuno di noi lo richiede e quando la burocrazia altro non è che un mezzo castrante, non si può accondiscendere.
La protesta
La Farm Cultural Park è cresciuta moltissimo in questi sette anni. È diventato un incrocio di strade per artisti e viaggiatori; ogni anno moltissimi giovani volontari si prestano per mandare avanti il servizio, facendo esperienza.
Ognuno può contribuire al meglio, sia da vicino sia da lontano, per costruire la bellezza di quel luogo. E ormai tutti, soprattutto gli abitanti di Favara, hanno adottato a braccia aperte la nuova vita dei Sette Cortili.
La Sicilia ha bisogno sempre di più di questi luoghi; luoghi dove la cultura è a portata di tutti e, cosa fondamentale, tutti possono contribuire a donare la loro. L’esempio degli abitanti dei cortili pre esistenti che sono stati inglobati solo l’esempio di una realtà mutevole che necessità di rinnovamento.
Il patrimonio artistico che abbiamo alle spalle ci insegna che la Sicilia può essere ancora la culla per uno nuovo. Non lasciamoci sfuggire questa opportunità di rigenerazione continua e sempre innovativa.
Una petizione è stata lanciata online per tutelare il Cultural Park di Favara e la sua energia e, nonostante l’ordinanza, i proprietari hanno lanciato l’evento del 29 ottobre per incontrarsi ancora lì, in quel cuore magico e colorato dalle ossa decadenti, come tutta la Sicilia anziana che però ha ancora voglia di rinascere.
Scartoffie permettendo.
Gea Di Bella