“Se avessi avuto la macchina fotografica a quell’epoca, mi sarebbe piaciuto immortalare come era vestito. Sembrava uno sportivo inglese, con i pantaloni alla zuava, le calze di lana, il giubbetto e un berretto con visiera. Tutto marrone, dalla testa ai piedi”.
Tra le testimonianze raccolte nel mio libro “Fausto e Costante” per ricordare le figure di Costante Girardengo e Fausto Coppi, quella di Giovanni Meazzo è forse tra le più preziose.
L’ex corridore, oggi 91enne, è una memoria storica del ciclismo italiano e soprattutto piemontese, essendo lui nato e cresciuto a pochi chilometri di distanza dai due Campionissimi novesi. Le parole sopra riportate raccontano il suo primo incontro con l’Airone di Castellania negli anni ‘30, ben prima che spiccasse il volo verso una grandiosa carriera sulle due ruote, prima della sua assurda morte.
Meazzo è una fonte inesauribile di aneddoti e storie, tutte rigorosamente raccontate nel suo garage – museo di Alessandria dentro al quale conserva più di cento biciclette di ogni epoca. Oltre a quelle di Giovanni, ci sono tante altre testimonianze sulle quali varrebbe la pena soffermarsi. In primis, quelle dei famigliari di Fausto, con i figli Marina e Faustino, e di Costante, con i nipoti Carlo, Costanza, Costantino e Michela. Insieme a loro, tanti sportivi e giornalisti che nel corso della carriera hanno rivissuto le gesta dei due Campionissimi attraverso fiumi d’inchiostro di pregiatissima qualità.
Se su Coppi si è detto più o meno tutto, la figura di Girardengo è emersa in tutta la sua grandezza agli occhi del pubblico solo dopo l’uscita de “Il bandito e il campione”, canzone pubblicata da Francesco De Gregori nei primi anni ’90. Un brano che racconta la presunta amicizia tra Costante e il bandito Sante Pollastri, che in realtà non c’è mai stato. E a far chiarezza a riguardo sono proprio i famigliari dell’ “Omino di Novi”, che in realtà con il bandito non ebbe mai nulla a che fare.
I punti in comune tra Fausto e Costante erano molti e non solo geografici. La figura di Biagio Cavanna, mitico massaggiatore cieco, è stata importante per entrambi. Cavanna non era infatti solo un maestro nella preparazione degli atleti, ma anche nella loro scoperta. Gli bastava toccare il collo, il torace e le gambe dei ciclisti per capire se avrebbero potuto fare o meno della strada nel mondo delle due ruote.
Un altro punto in comune è la malattia. Se della malaria che ha stroncato Coppi si è detto molto. Di Girardengo invece non tutti sanno che nel 1918 sfuggì alla spagnola, pandemia che uccise milioni di persone in tutta Europa. Da un lato, abbiamo quindi un uomo deceduto per una malattia in fin dei conti curabile. Dall’altro, un vero e proprio sopravvissuto a un’ondata di morte che quasi mai lasciava scampo. Ma soprattutto, i due avevano in comune la capacità di aver portato il ciclismo in un’altra dimensione, seppur in epoche diverse, attraverso una regolamentazione maniacale del regime alimentare e della preparazione atletica.
Tra le storie che ho raccolto, c’è molto sia del loro lato sportivo che di quello umano. Davide Cassani, Francesco Moser, Gianni Mura, Beppe Conti, Claudio Gregori, Paolo Viberti e molti altri hanno contribuito alla realizzazione del mio primo volume. Venticinque storie, da vivere tutte d’un fiato.