Come La fattoria degli animali di George Orwell rappresenta perfettamente il percorso di crescita e l’inesorabile declino del sogno rivoluzionario a 5 stelle.
In questi anni, da quando si è acquisita una certa familiarità con i motti grillini contro la casta, il sistema bancario, le multinazionali e tutto il resto delle lotte che abbiamo imparato a conoscere, George Orwell è stato scomodato spesso. Così come la serie tv Black Mirror. La distopia è il filo conduttore che collega queste due opere agli esiti dell’esperimento politico e sociale della Casaleggio Srl. Più che tragico, però, l’epilogo dei Cinque Stelle ha assunto tinte tragicomiche. Se a un certo momento della loro storia gli anticasta hanno fatto quasi convinto, nella loro effettiva capacità di conquistare il potere dal basso, poco è rimasto oggi del messaggio e della natura iniziale del Movimento, se non l’imbarazzo per le dichiarazioni che quotidianamente vengono rilasciate dai suoi esponenti e quelle che ne seguono, nella scrupolosa osservanza del principio secondo cui le pezze sono peggio del buco.
Un’opera che sembra scritta ieri
Un’opera che spiega lucidamente quel che è accaduto e che accade spesso a chi si propone di sovvertire il sistema e poi finisce per fare peggio è stata scritta nel 1945. Se non ve l’hanno fatta leggere a scuola, dovete assolutamente recuperare. Si tratta de “La fattoria degli animali”, di Orwell, appunto, che l’aveva pubblicata avendo come riferimento l’epilogo della Rivoluzione russa e il contesto sovietico a lui coevo. Il racconto è breve e semplice: c’è una fattoria, in cui gli animali un giorno si stufano di essere sfruttati dall’uomo e organizzano la ribellione. Una ribellione che, però, ben presto mostra tutte le sue contraddizioni. Ed è esattamente la storia del Movimento 5 Stelle, dal suo debutto sulla scena politica italiana, il 4 ottobre 2009.
I personaggi
Ci sono tutti. C’è il Vecchio Sindaco, l’Old Mayor, il maiale che ispira il cambiamento e la rivoluzione, ammirato e saggio, come è avvenuto con la figura di Roberto Casaleggio. C’è Napoleon, il maiale più opportunista e dispotico, che nella realtà grillina è ben rappresentato dalla creatura a due teste, rispettivamente appartenenti a Beppe Grillo e di Davide Casaleggio. Esattamente come Napoleone, i due stabiliscono le regole e impongono il ferreo rispetto delle stesse. Poi le rigirarano e le sottopongono a pseudoapprovazioni su Rousseau da parte del popolo di rivoluzionari, che pendono dalle labbra del capo, fedeli a lui più che ai principi. E anche quando la contraddizione è palese, c’è sempre un pretesto per farla digerire a tutta la fattoria Rousseau.
Il ruolo del nemico come capro espiatorio
Pochi giorni fa, poi, si è manifestato in un epifanico “Ne valeva la pena?” il Palladineve del Movimento: Alessandro di Battista, quello che incarna il mito del rivoluzionario sincero che finisce in rotta di collisione con l’altra mente della ribellione. Con l’ossessione per le utopie, sembra destinato alla damnatio memoriae e verrà riversata su di lui e sui suoi fedelissimi la colpa per l’eventuale fine del Movimento.
I gregari, tanto inconsistenti quanto necessari
E poi, ancora, tutto lo stuolo dei gregari: da chi si occupa della propaganda, come Casalino, che incarna un Clarinetto con la mania dei like su Facebook, o il naif ma infaticabile Giuseppe Conte, ben calato nella parte del cavallo Gondrano, profondamente convinto della bontà del sogno rivoluzionario e che proprio forte di questa sicurezza finirà al macello, sotto le rassicuranti promesse di Napoleone. Spazio anche per la figura della stampa che tesse le lodi della nuova gestione, un po’ alla Travaglio o alla Scanzi, rappresentati da Minimus, il maiale poeta che canta le gesta di Napoleone.
Più uguali di altri
Per non parlare poi delle pagine finali, in cui i maiali diventano amici degli umani. Tanto condannati in passato, ora sono compagni di bevute e di partite a carte. Nel tanto criticato Pilkington e nell’altrettanto odiato Frederick, si possono ritrovare tutti gli eterni nemici giurati del grillismo, dalle banche agli esponenti della vecchia politica, che oggi siedono allo stesso tavolo di Palazzo Chigi.
Le regole ferree ma non per tutti
E anche le regole che vengono presentate dai rivoluzionari, poi, vengono puntualmente disattese, modificate e aggirate. Tutto per permettere di fatto al nuovo establishment di conservare i privilegi acquisiti. Ricordate il video sul doppio mandato di Luigi Di Maio? Come capo politico del Movimento, cercava di giustificare la ricandidatura di alcuni membri introducendo il fantasioso concetto del mandato zero. Il risultato? Piuttosto imbarazzante. L’obiettivo era quello di dimostrare come i Cinque Stelli fossero diversi e non attaccati alle poltrone, rimanendo però ben saldi agli scranni. E le acrobazie ideologiche su questioni come il condono fiscale, l’Ilva, il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari? Nulla, in confronto al capolavoro: l’appoggio di chiunque. Dicendo no, in 12 anni di onorata carriera, solo al povero Pier Luigi Bersani.
Un’imitazione pallida di Orwell
Sembra però che il Movimento 5 Stelle abbia già sparato le sue migliori cartucce qualche anno fa, quando all’apice del consenso raggiunge cifre da capogiro alle elezioni del 2018. Da lì, è stato un lento inabissarsi. Sono emersi gli estremismi antidemocratici (come quell’ossessione per il vincolo di mandato), le contraddizioni e, come insegna La Fattoria degli animali, la necessità politica del compromesso. A ben guardare, quindi, l’esempio degli animali della fattoria del vecchio Jones è un modello ben più avanzato e riuscito di mantenimento e conservazione del potere. Il Movimento 5 Stelle ne è stata solo una pallida imitazione. È stato ed è vittima di un gioco in cui i rivali più navigati sono riusciti a piegarli e a sfruttarli come pedine. Si sono ritrovati soci di minoranza di un Parlamento in cui, guardando i numeri, avrebbero ancora qualche potenzialità. E non se ne sono accorti.
Elisa Ghidini