Il fascismo buono esiste.
Lo ha scoperto recentemente la Sezione I della Cassazione penale, che ce lo ha comunicato con la sentenza n.8108 del 20/2/2018.
I supremi giudici hanno stabilito infatti che il saluto romano non è reato se il suo intento è commemorativo e non violento, nel qual caso non si si deve considerare un attentato alla tenuta dell’ordine democratico ma al contrario una libera manifestazione del pensiero.
Con questa sentenza gli ermellini hanno mandato assolti due attivisti di Fratelli d’Italia, che nel 2014 a Milano parteciparono a una commemorazione dedicata a due defunti commilitanti e che alla cosiddetta chiamata del presente risposero alzando il braccio destro nel tradizionale saluto.
Per quel gesto erano stati imputati con riferimento al reato di “concorso in manifestazione fascista”, previsto dall’articolo 5 della legge Scelba del 1953.
Assolti in primo e secondo grado, il procuratore aveva fatto appello : vedendosi dare, come raccontiamo, nuovamente torto.
La Cassazione ha confermato le sentenze precedenti sostenendo che la legge non persegue “tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste” nonché e i gesti e le espressioni “idonei a provocare adesioni e consensi”.
Cioè appunto i gesti fascisti sono “cattivi” solo se configurano un attentato “concreto” all’ordine democratico.
In particolare, come ricordavamo, è stato dato rilievo al carattere squisitamente commemorativo del corteo, organizzato in onore di tre militanti morti, senza concreti progetti di restaurazione del regime fascista, contrariamente a occasioni in cui s’intoni l’inno “all’armi siam fascisti” – chiara istigazione alla violenza – o quando il saluto romano viene compiuto impugnando un manganello.
Ai giudici supremi sfugge che a questo fascismo digeribile, potrebbe aggiungersi quello la cui potabilità è agevolata dall’ingestione preventiva di una adeguata razione di olio di ricino.
Per il momento, i nostri tribunali ordinari si accontentano di aver individuato questa sana tipologia, emendata di olio di palma e di altri additivi concretamente pericolosi per l’organismo democratico-repubblicano.
Per fortuna, vediamo che si evolvono e diffondono le varianti Ogm, fascioleghiste e magari fasciogrilline e – quatte quatte – fasciopiddine.
Il progresso non si ferma, signori.
Proprio per questo, ci permettiano di far presente ai supremi ermellini che la radice, il cuore stesso, ideologico, psicologico e organizzativo dei fascismi, risiede proprio in una atmosfera funebre, commemorativa e sostanzialmente sepolcrale.
Lo slogan internazionale dei fascismi non è tanto Giovinezza – e peraltro ai giudici non sfugge di sicuro come l’ossessionante vitalismo fascista e nazista fosse solo il contraltare del culto della decomposizione, dell’inorganico e del marcio (cfr. Oscar Wilde); e come l’anelito forzato e squassante alla luminosità trionfante, al titanico e all’opera grandiosa fossero l’altra faccia di un impulso di autodissoluzione e di depressione patologica – l’inno mondiale del fascismo era ed è : “Viva la muerte!” cantata a squarciagola dagli squarciagole falangisti spagnoli.
Viva la muerte e “abajo la inteligencia!” sono il vero significato concreto e storico di ciò che chiamiamo fascismo.
Violenza e morte: dove non vi fossero, non ci sarebbe fascismo.
Se si configura una manifestazione fascista, altrettanto si deve intendere una manifestazione di quella “religione della morte” – dalla genealogia antica e sotterranea, ma neanche troppo- di cui fra gli altri ha scritto tanto e genialmente Furio Jesi.
I teschi degli arditi e delle SS, le camice nere…il sansepolcrismo, non poi così a caso…Senza la morte generale come sistema di vita : senza l’esperienza della morte quotidiana sperimentata da milioni di maschi nelle trincee della Grande Guerra, il fascismo mai sarebbe stato, nelle forme che conosciamo – anche se il suo immediato seme fu nel decadentismo e nella destra tradizionalista francese di fine 800.
E non solo diciamo, funebre : ma proprio, commemorativo, è il nucleo primordiale ed il motore primo del fascismo.
Nasce per celebrare il sacrificio, e per lottare affinchè non fosse vano, dei caduti nelle trincee.
E finì per unire, in nome di un perverso ideale paneuropeo, migliaia di uomini in armi.
Proprio oggi che ci interroghiamo, o almeno dovremmo interrogarci, sul quesito decisivo: che Europa unita vogliamo?- ebbene proprio oggi dobbiamo aver presente che, concretamente, è esistita un’altra, quell’altra, ipotesi di unità europea all’insegna della violenza e della sopraffazione, dell’inuguaglianza e del sangue come valori intrinseci.
Sembrava tramontata tra le fiamme.
Ora che sembra possa davvero ripresentarsi, forse è bene tenere presente che nelle comunità umane, ogni gesto, ogni parola, ogni simbolo, rappresentano di per sé una forza concreta.
L’ultima medaglia al valore, assegnata dal regime nazista, spettò a un combattente francese delle brigate SS internazionali, difensore di Berlino assediata.
E qual era l’inno del partito nazionalsocialista? Lo Horst Wessel Lied, cantato in onore di quel Wessel che era un militanto ucciso negli scontri che avvenivano intorno al 1930 fra comunisti e nazisti tedeschi : poco prima dimorire proprio Wessel aveva scritto le parole della canzone, per celebrare i martiri del nazismo, caduti per la liberazione “dalla schiavitù”, la liberazione promessa da quella ideologia.
Il vittimismo e il culto funebre, insomma, sono alla radice, guarda un po’, del fascismo.
Peraltro, nel tentativo di recuperare e strumentalizzare i miti pagani del passato, non erroneamente i fascismi ne valorizzavano l’importantissimo aspetto legatto als angue, alla morte, e al sacrificio necessario.
E’ il cristianesimo, e prima l’ebraismo, che ha cominciato a revocare quel meccanismo, giungendo quindi a vedere nella rinascita, e non nella morte, il fondamento della civiltà e della cultura.
Peraltro, il vittimismo dei violenti, di cui non approfondiremo i risvolti specificamente psicopatologici, è da sempre lo sfondo della brutalità irrazionale.
Pensiamo, ad esempio, ai cosiddetti femminicidi di cui le cronache spesso ci raccontano.
Pensiamo al mito del complotto giudaico per sterminare gli ariani – che richiedeva un inevitabile “genocidio preventivo”.
A questo mitema volle abboccare anche il depressivo e malinconico (dall’umor nero) Heidegger.
Volando, se possibile, più in basso, ogni pretesa di potere e ogni scatto violento pretende di autoassolversi sulla base del fatto che si trattava, appunto, di difesa preventiva.
Un’astuzia comprensibile a chiunque, necessaria a salvare la faccia.
Persino Hitler giustificò la propria aggressione alla Polonia, sostenendo che erano stati i polacchi ad attaccare per primi…
Forse saggiamente, i supremi ermellini hanno deciso di risparmiare a quei camerati la fatica, e li hanno assolti preventivamente, anticipando qualsiasi concreto attentato eccetera eccetera.
Alessio Esposito