Fare figli; quando l’orologio biologico chiama

Piccole donne crescono. Crescono e… Non fanno figli.

Crescono e… Restano single.

Crescono e sentono la pressione di chiunque le viva accanto, come un macigno sulle deboli spalle, che le invita, implicitamente o meno, a “sistemarsi”. E che sarà mai questa fantomatica sistemazione, bramata da tutti?

 

figli

 

Piccole donne crescono, e si ritrovano a dover fare costantemente attenzione ai chiletti di troppo.

Tutto pur di evitarsi quei faccioni orgogliosi, sorrisoni di circostanza a 34 denti, battutine scomode, tanto da far rizzare i peli sulla candida cute, su una gravidanza inesistente, e totalmente improbabile.

Si vede, è lampante, l’età c’è. Puoi spalmarti in volto mille maschere alla camomilla, o scrubs al sale fino ma… L’anagrafica parla chiaro, e urla a gran voce che è arrivato il tuo momento.

Cosa aspetti a mettere la testa a posto? Non esiste domanda più deprimente.

Siamo arrivati ad un punto in cui fare figli è diventato un dovere; con la scusa dell’orologio biologico, procreare, diventa un obbligo sociale.

Lo chiamano, appunto, orologio biologico.

E’ un pendolo immaginario che scandisce i secondi, i minuti, le ore, avvertendo la donna, nel suo inconscio più profondo, che si avvicina il fatitico momento; la scadenza di una fertilità, e di una possibile gravidanza senza pericoli per il feto.

E’ così che le donne, oltre alla pericolosa sindrome premestruale, iniziano addirittura a sentire le voci di questo orologio immaginario, che si trova intrinseco, nel profondo di ognuna di noi. Così dicono. E non chiamateci pazze.

Si potrebbe arrivare a pensare che la maternità sia una forma naturale, una normale conseguenza, uno scopo all’esistenza femminile, insopprimibile, volta ad esaltare la nostra femminilità, e a conferirle un senso ultimo.

La tradizione non è tramontata del tutto; i valori famigliari esistono ancora, persistono, sopravvivono, e meno male, mi verrebbe da dire. Ma l’esigenza di procreare giunge dal nostro io più profondo, da quella vocina che solo noi sentiamo, che parte dalle viscere, per risalire ad annebbiarci il cervello… oppure è imposta da una società che, inconsciamente, ancora una volta, influenza la nostra ragione? Sarà forse per questo che numerose spose, ormai oltre la trentina, sentono la fortissima esigenza di avere un figlio? Per colmare una lacuna? Un vuoto che sentono dentro?

Stiamo procreando figli tappabuchi?

E’ giusto dire, a tal proposito, che in alcuni casi, sopraggiunge addirittura l’ansia, il panico la sensazione di essere in “ritardo”, la paura di non restare incinte. E via libera ai sensi di colpa, alla memorie di tutte le occasioni passate, in cui poteva succedere e invece… Niente. L’ossessione porta spesso a tentare in ogni modo, ricorrendo anche alla scienza, e costringendo il marito a prestazioni quotidiane immagino non troppo piacevoli e sfinenti. Può anche succedere che, perse nella totale ansia di quella vocina interna, chiamata orologio biologico, che continua a scandire un tempo fittizio, si perda non solo il minuto, ma anche l’uomo.

Lo chiamano orologio biologico, si, ma si tratta davvero di un fattore prettamente naturale e biologico, o si appresta sempre di più a diventare un retaggio culturale?

Questa è la domanda che mi pongo, ogni volta che mi capita di incontrare giovani mamme della mia età, cariche di borse sotto gli occhi, e di borse appese a bicipiti pronunciati, dalla palestra naturale delle neomamme; quelle che non possono fare a meno di pannolini, salviette, bavaglini, pappette. Sì, mi sento un pochino inutile nel portare il peso infinito del mio immancabile rossetto, nella mia borsetta, paragonato alle fatiche di Ercole vissute alla nascita del pupetto, appena abbandonato dalla cicogna.

Ma non demordo. Sorrido sincera, sfoggiando il mio lucido per labbra, giovane vecchia non mamma, emarginata dalla società contemporanea perchè senza prole a carico; e a denti stretti accolgo la pienezza di quei seni giganteschi, freschi d’allattamento, che mi soffocano in un caldo abbraccio.

Ma alla sentenza “Stiamo insieme da tanti anni, era giunta l’ora”, non riesco a non riprendermi la mia fermezza di donna single e senza figli, e retrocedere almeno due passi indietro a quei seni, carichi di latte, che sembrano quasi additare malignamente la mia persona.

Ma giunta l’ora di cosa? Deve scoccare un determinato tempo, per partorire un primogenito?

Procreare ci fa davvero sentire più donne?

E’ davvero fare un figlio che realizza e soddisfa a pieno l’esistenza di una donna?

Per millenni le “femmine” sono state relegate in casa, quali angeli del focolare; a lungo andare si sono investite della parte, e adesso, per noi, non è diventato difficile liberarsi da quella che sta lentamente diventando una schiavitù, che veste i panni di una nobile missione?

Premo una mano sul petto, e ascolto il mio battito accelerato, al sentir parlare di angelo del focolare. Nella mia mente scorrono leste immagini improponibili, di Tarzan e Jane, liane, pericoli, tigri, “io esco dalla tana a procurare il cibo, tu rimani dentro a cucinarlo, e ad accudire i pargoli”.

Questa era la formula dei secoli bui. Un prodotto cartesiano, un teorema di pitagora, una formula indiscutibile, da accettare a priori.

Ma ci siamo evoluti. Oggi non esiste più la tana, è stata sostituita da un grazioso monolocale in mansarda, il cibo si acquista al supermercato… E certi schemi profondamente maschilisiti, anche se rozzamente adeguatisi alla modernità, non dovrebbero avere ragione di esistere.

Non ho figli, e per ora mi sento bene. Non ne escludo la presenza in futuro, ma di certo non sarà per colmare un vuoto esistenziale, radicato profondamente all’interno di me.

Una coppia ha davvero bisogno di un figlio, per vivere una vita piena?

Esiste forse una gerarchia di eventi,da valutare e sistemare con cura, in una scaletta di priorità, quando due persone decidono di intrecciare il proprio destino?

Fare un figlio dev’essere in cima a questa?

Personalmente ho sempre creduto di voler avere un figlio nella mia vita, e probabilmente lo credo ancora.

Ma ora sono certa che il mio procreare non sarà di certo un fattore obbligato, necessario, costruito a tavolino durante una serata qualunque, nella lista delle cose da fare, dopo al “sistemare la caldaia”.

I figli vanno fatti con la pancia.

Il mio arriverà, se arriverà, quando avrò già raggiunto il mio senso di pienezza, senza rimpianti, senza rimorsi, felice di godere a pieno ciò che la vita vorrà offrirmi.

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