C’è una classifica, stilata dal Times nel 2008, sui cinquanta migliori scrittori britannici dal dopoguerra in poi. Tra i tanti nomi, al diciottesimo posto, si legge quello di Mervyn Peake.
Eppure quello di scrittore non è stato l’unico mestiere di un artista che come pochi ha saputo abbracciare l’espressività dietro tutte, o quasi, le sue forme. Poeta, illlustratore, narratore surreale e anticonformista, Peake ha varcato i confini dell’anonimato grazie alla sua opera più apprezzata e tradotta, il ciclo di Gormenghast, una trilogia di romanzi in cui l’elemento grottesco serpeggia tra le mura fantastiche di un mondo-castello.
Per capire il come e il perché dell’intreccio tra elementi del fantastico, del grottesco e della critica sociale nelle opere di Mervyn Peake, è indispensabile familiarizzare con la sua storia.
ECHI DAL SOL LEVANTE
Nato il 9 luglio del 1911 a Kuling, città nel distretto di Lushan in Cina, da genitori missionari (il padre era un medico della London Missionary Society of the Congregationalist tradition), il piccolo Mervyn trascorre la sua infanzia a Tianjin, dove frequenta la Tianjin Grammar School. Appena tre mesi dopo la sua nascita cadeva la dinastia Qing, l’ultima prima della proclamazione della Repubblica popolare. È in questo clima decadente, tra i costumi esotici di un mondo al collasso, tra i segreti inconfessabili e i divieti imposti dal nuovo regime che il giovane, sempre con una matita tra le mani, inizia a interiorizzare quegli elementi che caratterizzeranno per sempre il suo lavoro.
Pur non essendo mai tornato in Cina, che lascerà assieme alla famiglia nel 1922, lo stesso Peake ha riconosciuto che l’intricato sistema cerimoniale cinese, unito alla vita da recluso condotta a Tianjin e agli echi di mistero provenienti da Pechino e dalla sua Città Proibita, siano stati tutti elementi fondanti dell’universo attorno a cui ruotano le vicende dei protagonisti della trilogia di Gormenghast. I polverosi retaggi del millenario sistema imperiale, le ferree divisioni sociali in Cina e le divisioni tra ricchi e poveri, europei e cinesi, contribuirono a creare le forme e le distorsioni che caratterizzano le sue illustrazioni.
UN PESSIMO SOLDATO
Lo scoppio della seconda guerra mondiale sorprende Peake mentre si sta dedicando anima e corpo al disegno. Respinto un suo tentativo di ottenere lo status di “artista di guerra”, per cui aveva preparato una serie di illustrazioni, An Exibition by the artist, Adolf Hitler, caricature satiriche del dittatore nazista, poi acquistate dal Ministero dell’Informazione, l’arma della propaganda inglese durante il conflitto, viene arruolato tra gli artiglieri e successivamente ricollocato nella Royal engineers come disegnatore di mappe.
Il suo fascino cupo, gli occhi turbati e profondi sarebbero potuti appartenere ad un uomo molto potente. Ma era estremamente gentile… un compagno premuroso e generoso
John Watney – Biografo
È in questo periodo che inizia la stesura del primo dei tre capitoli della fortunata saga: “Tito di Gormenghast”. I ricordi dell’infanzia confliggono e si mescolano con la realtà della guerra, dando vita allo scenario del romanzo. Un castello senza confini, grande come il mondo, vecchio anche di più, popolato da personaggi talora assurdi, incredibili, inchiodati dall’angoscia di rituali antichissimi e persi nel tempo a cui devono sottostare tutti, per primo il Conte di questo mondo immaginario, quel Tito che coverà i semi della libertà e della ribellione, spezzando così l’incantesimo.
È anche il periodo dei primi crolli nervosi: durante la permanenza in Cina infatti Peake contrae una rara malattia neurologica, rimasta latente per circa trent’anni, che lo porterà a una morte prematura a soli 57 anni.
Per anni aveva disegnato mondi assurdi. Ora stava osservando, nella sua realtà, un mondo mostruoso, molto più terribile di quelli da lui immaginati…
Tom Pocock – scrittore e commilitone di Mervyn Peake dopo l’ingresso a Bergen-Belsen nel 1945
Nel 1945, raggiunto finalmente lo status di artista di guerra, Mervyn Peake è tra i primi civili ad entrare nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Un’esperienza che lasciò tracce significative in un uomo già lungamente provato dalla vita di campo e la vista delle vittime e degli orrori del nazismo resteranno indelebili nelle sue opere future.
Nel 1946 viene ingaggiato per illustrare l’iconico Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, a cui restituisce tutto l’orrore covato, dando vita a immagini che gli valgono una certa notorietà nel suo ambiente.
L’ULTIMO ROMANTICO
Se la prosa sublime di questo poliedrico artista non è stata sufficientemente esaltata dai critici del tempo e onorata a posteriori è solo una mera questione di gusti. E i gusti, spesso, viaggiano sui binari delle mode. E allora, mentre più ampie schiere di narratori e poeti raccontavano l’orrore della guerra totale con la crudezza dello stile, il minimalismo e l’ermetismo più accentuati, Mervyn Peake si perdeva nel gusto romantico e cullante di una prosa ricca e avvolgente in cui tanti più sono gli aggettivi e le perifrasi tanto più ci si immerge in quel mondo capovolto e bizzarro. Nulla di questa narrazione barocca e, a prima vista, pomposa, disturba la lettura dei romanzi di Gormenghast.
Ogni parola è una gemma esattamente al proprio posto a completare un gioiello unico nel suo genere.
Un altro maestro del fantastico, C.S Lewis, nel tentativo di dare una definizione al genio di Peake, sentenziò:
Peake ha creato una nuova categoria, il Gormenghastly, e già ci meravigliamo di come prima potessimo vivere senza di essa e ci chiediamo come mai nessuno aveva saputo definirla prima di lui.
I suoi disegni, spesso incompresi finché era in vita, sono stati poi inclusi in diverse prestigiose collezioni, tra cui la National Portrait Gallery e l’Imperial War Museum. Lo stesso si può dire della sua produzione scritta, di cui la trilogia resta sicuramente la punta di diamante che gli è valsa negli anni paragoni con il ben più celebre Tolkien.
Ma ingabbiare il mondo di Mervyn Peake nel fantasy, seppure di altissimo profilo come quello del mostro sacro di Birmingham, sarebbe un’ingiustizia oltre che una forzatura da scaffale di libreria.
Peake è mistero e colore, sottile ironia e angoscia esistenziale, armonia dello stile sotto una coltre di grottesco e mostruoso: leggete Peake, scoprite Peake!
Alessandro Leproux