Tra i film più amati della Festa del Cinema di Roma c’è stata anche una commedia francese briosa e nostalgica diretta dal giovane Nicolas Bedos, alla sua seconda regia.
Le belle époque è la storia di due coppie, i cui problemi si intrecciano e si rispecchiano costantemente, trovando nella finzione e la messa in scena il punto di incontro per mescolarsi e poi ritornare nell’ordine.
Da un lato ci sono Victor (Daniel Auteil) e Marianne (Fanny Ardant), che hanno un passato intenso ed un presente intollerabile. Si sopportano poco per quanto sono cambiati, tra lei che si è imborghesita tremendamente e lui che per orgoglio è rimasto scapestrato, senza voglia di buttarsi nel disegno per cui ha grande talento.
La loro storia s’intreccia con la tipica coppia da metacinema regista-attrice, quella di Antoine (Guillaume Canet) e Margot (Doria Tiller), in un continuo ed interminabile tira e molla.
Migliore amico del figlio di Victor, Antoine decide di ringraziare il vecchio per una buona azione passata e di invitarlo nella sua agenzia, la Time Traveller. Scopo di questa organizzazione è far rivivere ai clienti il passato sognato o perduto, poco importa che sia personale o un periodo storico amato.
Una volta convocato, Victor non ha dubbi: la data che vuole rivivere è il 16 maggio 1974, quando ha incontrato per la prima volta sua moglie, che nel presente non solo lo ha cacciato di casa ma se la spassa col suo migliore amico.
Tornato in quel passato felice, il vecchio fumettista rimane folgorato da Margot ed è allora che iniziano i suoi guai.
Si riconosce subito una commedia francese: gli equivoci vi abbondano; l’energia, più che sensuale, è tutta d’intelletto; aggiornata alla modernità, è al contempo spinta verso il ricordo e le scatole cinesi, le citazioni, i rimandi incessanti, la battuta concisa, puntuale, gustosa, spesso avvelenata.
La belle époque non smentisce l’intelligenza dei bravi registi d’Oltralpe ma la sua costruzione non è innovativa: nel film si sente perfettamente il meccanismo a tre atti percepibile in Quasi amici e che s’ispira alle narrazioni collaudate in America.
A colpire è la particolarità della storia, che si compiace del suo racconto a matrioska e ad intrecci, capace di dare agli attori dei ruoli in cui trovare piacere, scioltezza e sfumature.
Tutti sono ben diretti ma ancor più di Canet e di Auteil che nel ruolo si trova perfettamente, sono Dora Tiller e Fanny Ardant a colpire l’attenzione.
Nel ruolo di Margot la Tiller sfodera una carica ben incanalata sotto la direzione di Bedos, che è suo compagno: questo si nota nei passaggi repentini del personaggio tra i ruoli e la sua persona quotidiana.
I cinefili troveranno di sicuro piacere nel trovarla protagonista del discorso metacinematografico, nel suo essere schiava (anche un po’ masochista) di un regista tutto particolare, passivo-aggressivo quanto perverso, come del resto è Antoine (doppio comico di Bedos).
A Fanny Ardant spettano battute intellettuali che ben si addicono al suo ruolo di psicanalista borghese, annoiata e velenosa, con la dolcezza ed il sentimento posti in sordina. Le sono però riservati i momenti lirici nel finale ed è lì che il suo fascino, costante per tutto il film, si mostra pienamente.
I riferimenti stretti all’attualità, che guastano il piacere dei dialoghi, vengono soppiantati dalla performance sua, della Tiller e di Auteil. Non c’è meraviglia che il pubblico della Festa del Cinema sia esploso alla fine in un applauso fragoroso per la protagonista del film, che di quel film aveva eclissato tutto.
Roma ha amato il film ma si è slanciata in affetto per la stella che l’aveva incantata nei film di Truffaut e di Scola: non ha scordato per niente il piacere il vederla sul grande schermo.
Voto: **1/2
Antonio Canzoniere