Diecimila famiglie sfrattate ad Angkor, in Cambogia dalle autorità cambogiane che da anni mettono in atto trasferimenti forzati della popolazione. Gli sgomberi avvengono a nome dell’UNESCO per preservare i siti.
Sono numerose le famiglie sfrattate ad Angkor dalle autorità cambogiane ma purtroppo non si tratta di una novità. Nel 2022 si è deciso che nel parco del tempio della città di Siem Reap non c’era abbastanza posto per coloro che abitavano le zone. Il governo ha così ordinato gli sgomberi forzati della popolazione, precisamente di diecimila famiglie, a nome dell’UNESCO.
Nessuno ha infromato gli abitanti del sito archeologico che di lì a poco avrebbero dovuto trovare una nuova soluzione abitativa. Oltre a questo, il luogo di ricollocamento è risultato sprovvisto dei beni essenziali e, quindi, decisamente inadeguato a una vita dignitosa. La popolazione si è trovata a soggiornare in luoghi senza acqua potabile, sprovvisti di servizi igienici e di strutture sanitarie.
A prendere la decisione è stato Hun Sen, primo ministro in carica lo scorso anno. La volontà alla base della scelta era quella di proteggere il sito di Angkor, considerato patrimonio dell’umanità. Inizialmente si è trattato di una proposta dai caratteri pacifici. Alla richiesta del governo sono seguite dichiarazioni in cui il primo ministro si offriva di risarcire coloro che se ne sarebbero andati volontariamente dal parco.
Tuttavia, la vicenda si è rapidamente trasformata e le domande sono diventate intimidazioni. Il goernatore ha ordinato di togliere agli abitanti di Angkor l’acqua e la corrente elettrica per creare ulteriore pressione. Le autorità cambogiane si sono recate personalmente e ripetutamente all’interno delle case dei residenti. Coloro che hanno opposto resistenza ai metodi violenti hanno ricevuto minacce di arresto. Una minoranza della popolazione ha lasciato le proprie abitazioni volontariamente, tutti gli altri sono stati portati via con la forza.
A coloro che hanno laciato le proprie abitazioni volontariamente il governo ha fornito appezzamenti di terreno di scarse dimensioni e gli strumenti necessari per poter costruire abitazioni di fortuna. Le nuove case degli sfollati, se così si possono definire, hanno pareti di lamiera e tetti ondulati, teli e zanzariere. Il risarcimento di cui aveva parlato il governatore si è rivelato essere una somma di denaro fissa di poche centinaia di dollari e una tessera dei servizi sociali. Il tutto è risultato, naturalmente, insufficiente a garantire uno stile di vita dignitoso alla popolazione. Chi ha abbandonato la propria abitazione forzatamente e si è ribellato ai metodi violenti delle autorità, invece, non ha ricevuto nulla.
L’UNESCO protegge i propri beni, ma a che prezzo? Sarebbe suo compito informarsi su coloro che vivono nei pressi dei siti patrimonio dell’umanità trovando loro nuove sistemazioni adeguate alla vita quotidiana. Sarebbe, inoltre, necessario assicurarsi che nessun atto di violenza venga perpetrato in nome di un’organizzazione che dovrebbe preservare e non distruggere. Di fronte a beni storici e culturali di grande importanza, spesso, si perde di vista la scala gerarchica in cui la vita umana dovrebbe essere posta al vertice.