Il progetto dei Centri per il Rimpatrio (CPR) in Albania, annunciato come una soluzione innovativa per gestire i migranti al di fuori dei confini italiani, sembra essere giunto a un punto critico. L’iniziale entusiasmo del governo per questa strategia è ora offuscato da difficoltà operative, critiche politiche e ostacoli legali che ne hanno minato l’efficacia e stanno decretando il fallimento del Modello Albania. Con i centri praticamente vuoti e il personale rimpatriato, il futuro del modello Albania appare incerto, sollevando domande sulla gestione dei fondi pubblici e sul rispetto dei diritti umani. Si attende il prossimo 4 dicembre, quando la Corte di Cassazione si pronuncerà sul decreto “Paesi Sicuri” e sui ricorsi che il Viminale ha presentato negli ultimi mesi.
Un progetto in stallo
I Centri per il Rimpatrio (CPR) in Albania, presentati come soluzione innovativa per la gestione dei migranti, sembrano destinati a una battuta d’arresto. Gli operatori di Medihospes, l’ente gestore delle strutture di Schengjin e Gjader, stanno rientrando in Italia, lasciando i centri vuoti e decretando così il fallimento del Modello Albania e la costruzione di ulteriori lager di Stato.
Secondo fonti del Viminale, i CPR rimarranno attivi, ma senza ospiti e con un personale ridotto al minimo necessario per la vigilanza. Questa smobilitazione segue il fallimento delle operazioni di trattenimento, con il ritorno in Italia dei richiedenti asilo a causa di decisioni giudiziarie che non hanno convalidato il trattenimento.
Già dalla scorsa settimana gli agenti sarebbero dovuti essere più del doppio di quelli che effettivamente si sono poi recati sul posto: da 295 a 170. In queste ore, sono presenti le persone sufficienti per una basica amministrazione che si aggirano attorno alla decina.
Una gestione complessa e costosa
Finora, il progetto ha coinvolto risorse significative senza raggiungere risultati concreti. Delle 295 unità di polizia previste inizialmente, solo 170 sono attualmente in servizio nei CPR. A decretare il fallimento del Modello Albania sono stati anche gli alti costi dell’operazione, uniti a problematiche logistiche e giudiziarie, che hanno sollevato interrogativi sulla sostenibilità del modello. Intanto, i tribunali italiani continuano a sollevare dubbi sulla legittimità dei trattenimenti, rimettendo questioni cruciali alla Corte di Giustizia Europea.
Critiche dall’opposizione
Le opposizioni politiche hanno criticato duramente il progetto. Alleanza Verdi Sinistra lo definisce “una pagina ignobile per la nostra Patria”, accusando il governo Meloni di aver speso inutilmente denaro pubblico per una strategia inefficace. Riccardo Magi, segretario di +Europa, parla di “un fallimento epocale”, sottolineando lo spreco di risorse pubbliche e il limitato impatto sui flussi migratori. Con la prova del fallimento del modello Albania, entrambi chiedono un cambio di rotta e maggiore rispetto per le leggi e i diritti umani.
Ad esprimersi è stata anche la Federazione degli Organi dei Medici e degli Odontoiatri che ha sottolineato come il processo di cura nei confronti dei migranti non è mai esistito e è totalmente assente nel Modello Albania. Proprio per questo, sottolinea che è necessaria la presenza di “figure adeguatamente formate”.
Le prossime sfide legali
Il governo si prepara ora ad affrontare due importanti appuntamenti giudiziari. La Corte di Cassazione si pronuncerà il 4 dicembre sul ricorso del Viminale contro le decisioni del Tribunale di Roma. Inoltre, si attende il responso della Corte di Giustizia Europea sui rinvii relativi alla lista dei “Paesi sicuri” e alla base legale dei trattenimenti. Questi esiti potrebbero influire sulla futura gestione dell’immigrazione e sul destino dei CPR.
L’emendamento e il decreto flussi
Nel frattempo, la maggioranza attende la conversione in legge del decreto flussi, che include l’emendamento “Musk”. Questa modifica trasferisce la competenza sulle convalide dei trattenimenti dalle sezioni specializzate in immigrazione alle Corti d’Appello, un cambiamento che ha sollevato ulteriori polemiche.
Con l’arrivo dell’inverno e l’inevitabile calo degli sbarchi, il progetto Albania sembra destinato a una pausa, se non a un ridimensionamento definitivo. Gli sviluppi legali e politici delle prossime settimane saranno determinanti per capire se questa strategia troverà un nuovo slancio o sarà abbandonata come un esperimento fallito.