Inutile dire come ormai la disinformazione dilaghi pressoché su ogni tematica, creando spesso allarmismo eccessivo e dando un’interpretazione distorta dei fatti che ci circondano. E terreno fertile per la diffusione di fake news sono, in particolare, i luoghi oggi forse più frequentati dalla gente: i social network.
Ormai infatti è difficile districarsi tra le tante notizie che vengono diffuse, ed è altrettanto difficile fermarne la diffusione. Quando ormai un articolo viene messo in rete, anche qualora fosse, in un secondo momento, censurato, ormai può essere stato letto da una miriade di utenti, che a loro volta possono esserselo screenshottato, salvato su qualsiasi dispositivo e fatto ulteriormente girare.
Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.
Questa frase dello scrittore Mark Twain possiamo dire che riassume il correre delle falsità, e può essere trasposta anche al mondo delle notizie.
Ma se da un lato le fake news vanno sicuramente contrastate, non occorrerebbe trascurare l’importanza della libertà di pensiero, di parola e di stampa, che potremmo riassumere con la più ampia ‘libertà d’espressione‘. La contemperazione delle due esigenze viene garantita in ogni sistema democratico che si rispetti, ma cosa succede se invece venisse meno questa garanzia?
La domanda ce la possiamo porre con riferimento al caso della Turchia, dove è stata varata una legge, eccessivamente repressiva, contro la disinformazione sui media.
Libertà d’espressione, uno dei principi cardine della civiltà europea
La libertà d’espressione include la libertà di informare ed essere informato, e costituisce il principio su cui si fonda l’intera attività giornalistica e d’informazione.
Se nella nostra Costituzione abbiamo l’articolo 21 che tutela questo diritto, a livello europeo abbiamo l’articolo 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Il minimo comun denominatore tra le varie normative citate è rappresentato dalla tutela della libertà in oggetto contro ogni ingerenza da parte delle autorità pubbliche, permettendo ad ogni mezzo di diffusione di riportare le informazioni senza subíre censure.
Questo perché l’informazione ha un’influenza significante sulla costruzione dell’opinione e del consenso dei cittadini, e una sua illogica limitazione andrebbe a ledere dall’interno un ordinamento democratico.
Il ‘diritto d’informare’ non è assoluto ma soggetto a limiti
Tutelare il ‘diritto d’informare’ non significa renderlo assoluto. In determinate circostanze sono infatti ammesse limitazioni alla libertà d’espressione, soprattutto quando ci troviamo di fronte a fake news.
Il tema è tornato al centro del dibattito in particolare con gli eventi che ci hanno travolto a partire dalla pandemia e ora con la guerra in Ucraina, spesso con un effetto destabilizzante sulla popolazione in costante ricerca di verità.
Nel nostro ordinamento, ad esempio, le fake news possono essere perseguite penalmente. Pensiamo al delitto di diffamazione (art. 595 comma 3 c.p), al reato contro le fake che alterano gli equilibri economici (art. 501 c.p), il reato contro tutte quelle notizie false che turbano l’ordine pubblico e che abusano della credibilità popolare (rispettivamente art. 656 c.p e art. 661 c.p).
Ci stiamo comunque riferendo a casistiche in cui la libertà d’espressione può essere compressa a tutela di altri diritti preminenti che altrimenti sarebbero lesi di fronte ad una realtà riportata in maniera distorta. Ma queste limitazioni si inseriscono comunque in un contesto democratico, che non viene alterato da censure volte a mettere in risalto un unico filone di pensiero.
Turchia, la recente legge contro le fake news viola la libertà d’espressione?
Alla luce di quanto detto finora, desta perplessità la legge varata in Turchia il 13 ottobre scorso contro le fake news diffuse sui media, prevedendo la reclusione fino a 3 anni.
Ciò che emerge in maniera chiara è la mancata circoscrizione del concetto di disinformazione, aprendo le porte alla punibilità di qualsiasi notizia che possa in un qualche modo risultare scomoda al Governo. Questo significa che verranno attribuiti poteri arbitrari alla compagine governativa contro il libero giornalismo, ma la diretta conseguenza sarà anche quella di portare molti giornali e giornalisti ad autocensurarsi per evitare di incorrere in sanzioni.
Insomma, la ratio di questa legge è stata quella di creare ‘ad hoc’ un impianto legislativo volutamente ‘impreciso’ da un lato ed eccessivamente incisivo dall’altro, in vista delle elezioni politiche turche previste per il 2023, in modo da mettere a tacere qualunque posizione, riportata dai media, sgradita al Governo.
La contestazione
Il provvedimento è stato voluto dal partito Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, ed è stato fortemente contestato dall’opposizione e anche da Amnesty International. Con pene così severe come quelle previste si determinerebbe infatti il rischio che possano essere condannati giornalisti accreditati e semplici utenti dei social che diffondono notizie qualificate ‘disinformanti’, solo perché rappresenterebbero voci critiche da mettere a tacere.
Un sentore di un declino della libertà d’espressione in Turchia si era già ravvisato nella classifica mondiale sulla libertà di stampa pubblicata alcuni mesi fa da ‘Reporter senza frontiere‘, in cui il Paese si è piazzato alla posizione 149.
Lotta alle fake news: come non calpestare la libertà d’espressione e
La lotta alle fake news non può e non deve mai arrivare a calpestare la libertà d’espressione.
Ogni sua violazione rappresenta un passo sempre più propeso verso la dittatura. Ma forse è un tabù usare un termine così forte, nonostante episodi proibizionisti ce ne siano già stati. Basti pensare al caso di Erkan Topcu, il ragazzo di cui abbiamo parlato poche settimane fa qui, su Ultima Voce, quando ha raccontato del divieto nell’utilizzo di Wikipedia e prima ancora di YouTube.
A questo punto la parola passa alla popolazione turca, quando tra alcuni mesi dovrà scegliere da chi farsi rappresentare, optando per la libertà o riconfermando l’attuale clima repressivo.