Quante volte vi è capitato di leggere post o commenti su notizie assurde, tendenziose o palesemente inventate quando state sui social network? “I vaccini causano autismo”, “l’11 settembre è stato organizzato dagli USA”, “In parlamento hanno fatto questo e vogliono tenercelo nascosto!”. Quante volte avete provato a convincere gli utenti (molto spesso in buona fede) che stavano condividendo delle fake news? Quanto è stata efficace la vostra opera di persuasione? Poco? Nelle prossime righe vi verrà svelato il perché (e come agire di conseguenza).
Una nuova meta-analisi
Una nuovissima ricerca mostra appunto quali sono le strategie migliori e cosa invece bisogna evitare di fare se non vogliamo rafforzare le fake news nella mente degli utenti. Per individuare queste “buone pratiche”, gli psicologi autori dello studio hanno analizzato 8 ricerche condotte tra il 1995 e il 2014, studiando 20 esperimenti e ben 52 campioni indipendenti, per un totale di circa 7.000 partecipanti. Questi ricercatori hanno usato quella strategia di analisi dei dati che prende il nome di meta-analisi, che consiste nel “riassumere” statisticamente tutti gli studi che riguardano un determinato argomento, ottenendo così un risultato più aderente alla realtà di quanto il singolo studio possa mai fare.
Come comportarsi?
Innanzitutto, è assolutamente inutile limitarsi a etichettare la fake news come sbagliata. Limitarsi a dire/scrivere “no, guarda, non è come dici tu, ma è così” non permette a chi riceve il messaggio di capire cosa c’è che non va nella propria versione dei fatti. Ecco che si finisce per non ricordare l’obiezione mossa. Quindi, bisogna fornire informazioni nuove e credibili. In questo modo, chi riceve il messaggio potrà “aggiornare” il proprio modello mentale. Sorprendentemente, però, un messaggio di debunking dettagliato può portare comunque a un inasprimento della posizione iniziale della controparte.
Le buone pratiche del debunking
In definitiva, gli autori forniscono questi suggerimenti:
- Ridurre gli argomenti coerenti con la fake news approfondendo le ragioni che hanno portato al verificarsi di un determinato evento, così da facilitare il pensiero critico, evitando così che la disinformazione si cristallizzi rendendo il messaggio di debunking più difficile da integrare nel proprio modello mentale (in questo senso giocano un ruolo determinante i media e la classe dirigente);
- Creare le condizioni affinché il “pubblico” sviluppi un sano scetticismo, apprendendo a esaminare minuziosamente ed eventualmente a controargomentare notizie dubbie, rendendo tale audience più incline a eventuali correzioni (questa volta è la scuola che deve intervenire);
- Procedere con cautela quando si elabora un messaggio dettagliato di debunking, perché molto dipende da come è inizialmente percepito questo messaggio, per cui non sappiamo con certezza che effetti potrebbe avere questo messaggio (in questo caso è la bravura del debunker a fare la differenza).
Attenti al ritorno di fiamma
Questi risultati sono in linea con quanto già precedentemente espresso da John Cook e Stephan Lewandowsky. Questi psicologi (citati proprio dagli autori della ricerca) spiegano come non basta imbottire gli utenti di informazioni per sfatare efficacemente un mito, una notizia, ecc. Questi studiosi hanno messo appunto un breve manuale che spiega come effettuare un debunking in maniera non solo efficace, ma anche efficiente (qui in italiano). Gli autori indicano tre tipologie di “ritorno di fiamma” nel fare debunking:
- Il rischio di aumentare la familiarità con la fake news (bisognerebbe evitare di citarle, sebbene in alcuni casi sia impossibile);
- Fornire troppe argomentazioni (che richiedono uno sforzo maggiore per essere elaborate);
- Discutere con chi ha opinioni consolidate (ignorerebbero qualsiasi prova contraria).
Se avete superato questi ostacoli, l’ultima insidia consiste nel non limitarsi a rimuovere il mito, ma a sostituirlo con un fatto, perché le persone preferiscono una spiegazione errata a una spiegazione mancante.
Che tipo di spiegazione dare?
Per dare una spiegazione convincente si possono utilizzare varie tecniche. Si possono insinuare sospetti sulla fonte della fake news spiegando cosa ci guadagna, fornire un avvertimento esplicito prima di descrivere la fake news (“ecco come ti stanno fregando”) o usare dei grafici, che eliminano le ambiguità a cui possono appigliarsi le vittime di disinformazione.
Perché occuparsi delle fake news?
Quello delle fake news non è affatto un problema da prendere sotto gamba. Infatti, la preoccupazione dei ricercatori (e non solo) riguarda le decisioni prese in merito ad argomenti quali salute (fisica e psichica) e preferenze di voto. Per questo è bene tenere presente che la memoria non è un mero registratore di eventi ma un processo di costruzione e ricostruzione che dunque può essere soggetto a influenze esterne e interne. Insomma, io un giro sulla pagina Facebook del CICAP (e di Query, la loro rivista ufficiale) lo farei. E voi che ne pensate? Siete stati mai vittime di fake news? Avete mai cambiato idea? Se sì, cosa ha provocato questo cambiamento? Fatecelo sapere con un commento.
Davide Camarda