Il social network di Menlo Park continua a fomentare il dibattito popolare. Dalla normativa sul copyright (problematica anche per Google) al processo sullo scandalo di “Cambridge Analytica“. Riguardo quest’ultimo, Facebook ha deciso di pagare una multa di 500.000 sterline per lo scandalo di “Cambridge Analytica”, ammettendo la violazione di dati degli utenti. Oltre a ciò stupisce la pubblicazione di una lettera aperta, scritta da 250 dipendenti di Facebook e indirizzata al loro capo. In questa lettera si contestano alcune decisioni dell’azienda e di Mark Zuckerberg, come l’aver rigettato il fact-checking dal sito.
Facebook e il fact-checking
A fine settembre, il responsabile della comunicazione Nick Clegg ha annunciato alcuni importanti cambiamenti delle normative del sito: il più importante riguarda il fact-checking (letteralmente “verifica dei fatti”). D’ora in poi, le informazioni e le inserzioni a pagamento di argomento politico pubblicate su Facebook non verranno verificate e non se ne controllerà la loro veridicità. In precedenza ciò avveniva tramite organizzazioni esterne al sito.
Questo comporta ad una germinazione di fake news, una diffusione endemica che rapidamente contagerà nazione dopo nazione. Così facendo è necessario solamente pagare per permettere la circolazione di un qualsiasi contenuto. Ne è un esempio un video (riportato di seguito) che recentemente Donald Trump ha pubblicato su Facebook, in cui circolano false notizie riguardo Joe Biden, principale avversario per le prossime elezioni.
Un altro esempio interessante è la critica che muove la senatrice Elizabeth Warren. Con atteggiamento di sfida nei confronti del social network crea una notizia dal titolo:
Mark Zuckerberg e Facebook hanno appena dato il loro sostegno a Donald Trump per una sua rielezione
La notizia è, come la prima, priva di fondamento, ma è rimasta pubblica e fruibile a tutti gli utenti, proprio per la mancanza di un controllo sulle notizie false.
La lettera dei dipendenti
Facebook si difende dicendo di porre davanti a tutto la libertà di espressione e di preferire la circolazione senza controllo piuttosto che la censura. Queste affermazioni, tuttavia, scatenano un’insurrezione all’interno dell’azienda. Sono i dipendenti, infatti, a rivolgersi a Zuckerberg, chiedendogli di ritornare sulla “retta via”:
Siamo fortemente contrari a queste politiche così come sono. Non proteggono le opinioni, ma consentono invece ai politici di usare la nostra piattaforma come un’arma, prendendo di mira le persone che credono che i contenuti pubblicati da personaggi politici siano affidabili
Secondo i dipendenti la libertà d’espressione non deve essere confusa con la libertà di pagare per diffondere una notizia. Tra le critiche, si propongono anche soluzioni pratiche per migliorare la gestione ed il controllo delle inserzioni online: ad esempio l’assegnazione di un diverso colore per distinguerle o far rispettare loro il silenzio elettorale in periodo di elezioni.
Come si evolverà la situazione?
Il dibattito è ancora molto aperto e pieno di insidie e la soluzione tarda ad arrivare. Da una parte, non certificare la veridicità delle informazioni che vengono condivise è preludio di una vera e propria inondazione di fake news, che andrebbero a danno di ogni singolo utente. Dall’altra parte Facebook è giusto che si erga a “censore-editore” dell’enorme flusso di post pubblicati (o è giusto che qualcuno lo erga a svolgere tale ruolo)? Il traffico di informazioni è veramente ingente, quasi incommensurabile, se si pensa agli oltre 2 miliardi di utenti attivi sul sito.
Le questioni sollevate sono numerose ed estremamente rilevanti, perchè chiamano in causa gli utenti, la loro privacy e la loro libertà: concetti che, pur nel marasma del web, si spera non perdano la loro integrità.
Jacopo Senni