Una delle tante riletture della vasta produzione di Fabrizio De André può essere fatta in un’ottica sociolinguistica. Emblematico, in tal senso, l’uso di alcuni dialetti e la pubblicazione di Crêuza de mä, disco del 1984, interamente cantato in dialetto genovese.
Di Fabrizio De André, cantautore italiano, unanimemente riconosciuto fra i più grandi, si è scritto e detto molto. Gli omaggi di ogni genere, a più di vent’anni dalla sua scomparsa, continuano a essere tantissimi. E, fatto ancora più sorprendente, continua a rivelarsi intergenerazionale e senza tempo, come pochi altri artisti e intellettuali.
Questo è, probabilmente, dovuto alla sua capacità di descrivere un’umanità variopinta e multiforme, ricca di sfaccettature diverse, a volte scomode e dimenticate dai più. Faber è riuscito a raccontare storie in cui chiunque può riconoscersi, anticipando i tempi, di decenni, con una narrazione inclusiva, che solo oggi sta cominciando a diventare norma. E per far questo si è servito della lingua italiana, utilizzandone vari aspetti e caratteristiche.
Lingua, musica e società
Una grande varietà umana e sociale, dunque, descritta e raccontata attraverso un’altrettanta varietà espressiva. Per questo l’approccio alla musica del cantautore genovese si può considerare, per certi versi, sociolinguistico. E, in termini sociolinguistici, se ne può dare una lettura.
Gaetano Berruto, in Fondamenti di sociolinguistica parla della disciplina come di:
Un settore delle scienze del linguaggio che studia le dimensioni sociali della lingua e del comportamento linguistico.
La musica, in quanto forma d’arte e di comunicazione e specchio di importanti dinamiche e caratteristiche sociali, può ben prestarsi come campo d’indagine della sociolinguistica.
La musica stessa ha, per sua natura, un approccio sociolinguistico, perché usa la lingua in modo, di volta in volta, diverso. Ed è sempre, specchio del luogo, del tempo, del messaggio e degli interlocutori con i quali ha a che fare. Essa è soggetta al cambiamento.
Allo stesso modo, quando si parla di rapporti tra lingua e società, tutto resta ad un livello di relatività molto alto, lontano dall’essere stabile e classificabile in modo certo e definitivo. Un fatto imputabile al carattere mutevole e di variazione tanto della lingua quanto della società. E, come abbiamo appena visto, anche della musica.
Varietà contenutistica vs varietà espressiva in Fabrizio De André
In De André, tali caratteristiche si accentuano, perché le variazioni della lingua riflettono le variazioni e le differenze della società da lui, magnificamente, illustrate.
Un caso in cui sono particolarmente evidenti è l’utilizzo dei dialetti che, sociolinguisticamente, sono i “fratelli minori” della lingua standard. Per uno che ha sempre raccontato e valorizzato minoranze e narrato storie di ultimi e dimenticati, ridando loro dignità, utilizzare, a un certo punto, i dialetti sembra una conseguenza piuttosto logica e coerente.
La valorizzazione di idiomi considerati minori, sul piano espressivo e linguistico, diventa parallela alla valorizzazione di un’umanità svantaggiata, sul piano contenutistico.
Ciò appare chiaro con l’esplorazione del napoletano (come non ricordare Don Raffae’) e del gallurese e, ancora di più, con la sperimentazione sulla lingua ligure.
L’utilizzo del dialetto genovese: Crêuza de mä
Quest’ultima raggiunge il culmine con la pubblicazione di Crêuza de mä (1984). È il primo album interamente cantato in dialetto genovese. Qui la scelta del genovese, non avviene solo per familiarità, ma perché, esso è stato, per secoli, un importante veicolo linguistico nel contesto degli scambi commerciali nel Mediterraneo. E si è arricchito di parole provenienti da spagnolo, greco, arabo, francese, inglese e altre lingue. Rappresenta, dunque, ai suoi occhi, un idioma eterogeneo e interculturale, adattissimo a ciò che il disco vuole esprimere. Contenutisticamente, l’album si concentra sui temi del viaggio, del mare, delle passioni e dell’interculturalità. E ciò riflette, in pieno, la sperimentazione, tanto sul piano sonoro e musicale che su quello linguistico. Nonostante lo stupore iniziale, dovuto anche alla notorietà e allo spessore del cantautore genovese, l’album diventa presto un caposaldo della musica italiana degli anni Ottanta. Nonché una pietra miliare della musica etnica di tutti i tempi.
Il brano che dà il nome all’album
Crêuza de mä è anche il titolo della canzone che dà il nome al disco, realizzato in collaborazione con Mauro Pagani. È tradotto, letteralmente come “Mulattiera di mare”. Si tratta di una locuzione ligure che, nella zona di Genova, indica un viottolo (o mulattiera, appunto), spesso a scalinata, che porta dall’entroterra verso il mare.
I protagonisti dell’omonimo brano sono i pescatori, che sono descritti come stranieri della terra ferma, ombre di cui non bisogna fidarsi, perché in mare non si vive come sulla terra ferma. I pericoli, il diverso modo di vivere, di nutrirsi, di ristorarsi, li porta a sembrare, in un certo senso, diversi da chi gente di mare non è, e per questo, come spesso accade per ciò che è differente, pericolosi e, a loro volta, diffidenti.
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegni duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l’àse gh’è restou Diu
Volendo prendere in considerazione il testo del suddetto brano come rappresentativo dell’intero album e volendolo descrivere in ottica sociolinguistica si possono fare alcune rapide osservazioni.
Qualche osservazione sociolinguistica
Relativamente all’uso del dialetto si può parlare di variazione diatopica (variabile sociolinguistica riguardante il cambiamento nello spazio, in una prospettiva geografica). È usato, infatti, il dialetto genovese che è una varietà regionale della lingua ligure, parlata in quasi tutta la regione.
È possibile, poi, far riferimento alla diastratia (variabile relativa a provenienza socio-culturale, età, sesso, livello di istruzione dei parlanti) e alla diafasia (variabile relativa a contesto, interlocutori, circostanze e finalità della comunicazione). Il testo è realizzato in un sistema linguistico che (poiché dialetto) è considerato non colto e il registro tende a essere formale e alto, a dispetto di quello che potrebbe sembrare per l’idioma in cui è scritto.
È da considerarsi formale perché ha le caratteristiche di un componimento poetico, di una canzone, in particolare. Ha quindi gli artifici retorici tipici di questa forma testuale, la struttura metrica e altre caratteristiche che lo avvicinano alla poesia più che alla lingua comunemente parlata.
La dimensione diamesica (variabile relativa al mezzo adottato per comunicare) è di altrettanto facile individuazione perché il canale di realizzazione è visivo-grafico, trattandosi di un testo scritto.
Caratteristiche grafiche e testuali
Ciò che risulta subito evidente è la trascrizione grafica che fa uso di accenti, apostrofi e altre realizzazioni grafiche, assenti o utilizzate diversamente nell’italiano scritto e corrispondenti ad altrettanti suoni, diversi dall’italiano parlato. Già nel titolo, Crêuza de mä, si può notare la presenza di un accento circonflesso e di una dieresi.
Pure il lessico è molto diverso da quello dell’italiano parlato.
Mentre, in morfologia e sintassi, malgrado la differenza di suoni e realizzazioni grafiche, non sembra esserci molta distanza dalle strutture dell’italiano.
Giungendo alle caratteristiche tipiche del testo in questione, quello poetico, ci troviamo davanti a quattro strofe in versi endecasillabi con rima baciata. E fra gli artifici retorici, evidentissime sono le espressioni metaforiche.
Sperimentazione linguistica in Fabrizio De André
Ci si potrebbe dilungare ancora molto e avere materiale a sufficienza per una trattazione minuziosa e un’analisi sociolinguistica approfondita della produzione musicale di Fabrizio De André.
Ci basta qui, avendo preso in esame Crêuza de mä come caso paradigmatico, evidenziare come la sua discografia sia pienamente indicativa di una ricerca e di una sperimentazione linguistica accurata e non lasciata, mai al caso. Ciò gli ha permesso di lasciare a noi un patrimonio immenso di parole e musica. Un patrimonio osservabile da un punto di vista multidisciplinare e per questo, sempre carico di significati e spunti nuovi.
Assunta Nero