Eyvind Earle: disegnatore, pittore, illustratore, scultore e serigrafo. Luce, morbidezza e colore: tratti elementari per apprezzare paesaggi bambini.
Se nella vostra infanzia vi è capitato mai di vedere “Lilli e il Vagabondo”, “La Bella Addormentata” o “Peter Pan”, probabilmente avete visto, pur non facendo troppa attenzione, i fondali dipinti di Eyvind Earle (New York, 1916– 2000). Ed è anche grazie a questo che mi riesce ancora più semplice definire la pittura di Earle “infantile” ed “elementare“, in maniera genuinamente positiva.
La carriera di Eyvind Earle comincia all’età di dieci anni, grazie al padre il quale lo sfida mettendolo davanti a due scelte: o leggersi 50 pagine di un libro, sera dopo sera, o fare un dipinto al giorno. Il piccolo Eyvind accetta entrambe le cose, vincendo a priori. L’esordio artistico di Earle ha il suo inizio prestissimo, già a 14 anni e all’età di 21 decide di viaggiare in bicicletta da Hollywood fino a New York, pagando vitto e alloggio producendo acquerelli. Nel 1937 tiene la sua prima personale alla Charles Morgan Galleries, mostra che lo consacra al successo e dopo la quale lui, studiando artisti del calibro di Cézanne, Van Gogh, Rockwell, Kent e Georgia O’Keefe sviluppa il suo stile da prettamente realista a unico e personalissimo. Nel 1951 Earle entra a far parte dei Disney Studios e dopo una carriera nell’animazione, ritorna nel 1986 a dipingere.
Guardando i quadri e le serigrafie di Earle, ci si aspetta da un momento all’altro che inizi una colonna sonora di qualche film, rimanendo in attesa di vedere quale spettacolo e quale storia ci delizierà. Nel suo tratto semplice e sintetico di dipingere la natura (gli albero dalle forme circolari o ovali, i fiumi sinuosi e i raggi di luce rettangolari), c’è tutto il potere della luce sulla morbidezza della materia.
Sembrano solo cartoni animati, sì, ma è come se con pochi tratti lui scannerizzasse la natura per quella che è: luce e ombra; come se ci permettesse di guardarla attraverso una lastra in cui i raggi x hanno stampato la sua essenzialità. Un albero del quale le foglie non sono definite, non impedisce di dare l’idea del movimento, anzi: lo rende ancora più evidente. Così come noi, davanti a un’ecografia vediamo ciò che abbiamo dentro, allo stesso modo Earle ci fa vedere, attraverso una stampa -come accade anche nelle sue serigrafie- cosa c’è dentro un paesaggio.
Solo i bambini, quando dipingono una montagna, la fanno triangolare; o se devono dipingere un albero, lo fanno a nuvoletta, tondo, ovale. Solo i bambini prendono la sagoma e tralasciano i dettagli; eppure sono proprio i bambini che ci vedono chiaro e colgono l’essenziale, quando si tratta di guardare qualcosa di tanto meraviglioso come un paesaggio, ed Earle deve averne visti molti e di molto toccanti, viaggiando in bicicletta per gli States.
La sintesi non ha mai impedito di rendere qualcosa meno emozionante solo perché non ricca di dettagli precisi e realistici, spesso porta dritta dritta al cuore delle cose. Nelle tele ad olio, negli acquerelli e nelle serigrafie di Eyvind Earle non manca il cuore, ma nemmeno la forma, il volume e la prospettiva. È una ponderata scelta stilistica, dettata pure dalle sue personali esperienze lavorative, che ha dato vita a una lunga serie di dipinti dal respiro ampio, come quando facciamo una passeggiata immersi nella natura.
Sul sito, nella sezione delle serigrafie, è possibile leggere, a fianco di ogni serigrafia, una poesia didascalica, scritta di suo pugno. Mi piacerebbe chiudere con una di queste e omaggiare così quest’artista bambino a tutto tondo:
As far as I could see from where I stood
I saw the hills and valleys and a wood
and wondered if earth went on forever
of reached a place of nothing nowhere never.
Per quanto lontano io riuscissi a vedere, da dove mi trovavo
vedevo colline e vallate e una foresta
e mi chiedevo se la terra continuasse così per sempre
o se raggiungesse mai un posto con nulla, da nessuna parte.
Gea Di Bella