L’eroe nazionale ed ex presidente kosovaro Hashim Thaçi sotto processo per crimini contro l’umanità

ex presidente kosovaro Hashim Thaçi sotto processo

Lunedì 3 aprile è iniziato a L’Aia il processo contro l’ex presidente kosovaro Hashim Thaçi, accusato di crimini contro l’umanità che avrebbe compiuto durante la guerra di indipendenza del Kosovo contro la Serbia, consumatasi tra il 1998 e il 1999.

Durante la guerra di indipendenza, l’ex presidente kosovaro Hashim Thaçi fu tra i principali leader dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK). Tale esercito combattè contro le forze serbe prima dell’intervento della NATO concluse la guerra nel 1999.

Secondo l’accusa Thaçi e altri tre ex comandanti si sarebbero resi responsabili di circa un centinaio di omicidi di serbi, albanesi, kosovari e oppositori politici. Oltre alle uccisioni, vengono contestate loro anche sparizioni forzate, persecuzioni e torture, rivolte contro ogni tipo di dissenso, civile e non.

I quattro sono stati arrestati nel novembre 2020 e da allora sono detenuti nel penitenziario del Tribunale dell’Aia. Al momento dell’arresto Thaçi si è visto costretto a dimettersi dall’incarico di Presidente della Repubblica del Kosovo, pur continuando a dichiararsi innocente. Accusa la giustizia internazionale di voler “riscrivere la storia” ma si è comunque detto disponibile a collaborare.

Il ruolo dell’ex presidente kosovaro Hashim Thaçi durante e dopo la guerra di indipendenza

Thaçi era un generale dell’Esercito di liberazione del Kosovo, il quale, ispirato dal nazionalismo albanese, ha voluto combattere per la separazione dalla Serbia. Per 6 anni, fino alla conclusione della guerra nel 1999, si è occupato del finanziamento del movimento, dell’acquisto di armi e del reclutamento militare.

In seguito alla vittoria, avvenuta grazie ad una campagna di bombardamenti Nato contro le forze serbe, da guerrigliero divenne uomo politico. Fu protagonista nel negoziato di pace con l’ex Jugoslavia e si guadagnò la simpatia degli Stati Uniti, tanto che l’allora vicepresidente Biden lo definì “il George Washington del Kosovo”.

Nel 2007 vinse le elezioni con il Partito Democratico e divenne primo ministro, ruolo che ricoprì fino al 2014. In tali vesti proclamò l’indipendenza del Kosovo, che però non fu mai riconosciuta da Belgrado, creando ancora tutt’oggi attriti nelle relazioni diplomatiche.

È stato eletto Presidente della Repubblica nel 2016, non riuscendo però a completare il mandato. Infatti, a causa delle incriminazioni rivoltegli dal Tribunale speciale per il Kosovo, un organo con sede a L’Aia che ha il compito di indagare sui crimini commessi dall’Esercito di liberazione del Kosovo durante la guerra, si dimise e venne incarcerato.

La difesa

L’ex presidente kosovaro Hashim Thaçi è tutt’ora considerato un eroe nel suo Paese. Migliaia di cittadini del Kosovo hanno manifestato e stanno manifestando in suo sostegno.

Il capo procuratore Alan Tieger ha reso disponibili documenti che proverebbero che tra i bersagli di Thaçi e gli altri tre imputati ci sarebbero non solo civili serbi e rom, ma anche tutti coloro che venivano percepiti come collaboratori del regimo jugoslavo.

L’avvocato dell’ex presidente non nega che alcuni crimini siano stati commessi ma respinge la tesi secondo cui siano stati commessi in linea con la politica dell’UCK. Continuando con la ricostruzione, l’avvocato afferma che Thaçi non era d’accordo con gli attacchi contro l’indifesa popolazione del Kosovo, ma non avrebbe avuto il potere di prevenirli in quanto le decisioni venivano prese dai comandanti delle varie zone di guerra, aggiungendo:

Il compito della direzione politica dell’UCK era di negoziare e incontrare i rappresentanti della comunità internazionale per garantire il sostegno alla causa. Né Thaçi né la direzione si sono quindi resi responsabili dei metodi violenti dell’UCK.

In ogni guerra si registrano episodi drammatici come questi. Se le azioni di Hashim Thaçi debbano essere considerate eroiche o criminali, lo stabiliranno i giudici del Tribunale Internazionale dell’Aia. Tutto è rimandato alla fine del processo.

Alessandro Rossi

 

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