Eva Mameli in Calvino, la prima donna italiana a ricevere la libera docenza universitaria

Se è vero che “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna“, parafrasando la scrittrice britannica Virginia Woolf, al successo di Italo Calvino non può che aver contribuito, e non per il solo fatto di averlo messo al mondo, sua madre. Prima di essere questo, una mamma, Eva Mameli fu anzitutto una donna; ché non è detto gli attributi debbano necessariamente coincidere.

Si accaparrò tutto quello di cui sentì urgenza, riuscendo a collimare vita privata e aspirazioni. Fu una madre esemplare, istillando nei figli solidi principi morali, senza per questo rinunciare al sogno di dedicare la vita allo studio degli organismi vegetali. Botanica di fama internazionale, prima donna italiana a ottenere la libera docenza all’università, co-direttrice della Stazione Sperimentale di Floricoltura di Sanremo. È fuor di dubbio che Eva Mameli , prima di annettere al proprio cognome quello ingombrante del marito, Calvino, sia stata primariamente una delle scienziate più importanti del primo Novecento.

La propensione alla scienza della piccola Eva Mameli

Nasce Giuliana Luigia Evelina Mameli a Sassari nel 1886, in una famiglia della media borghesia sarda. Il cognome non ci è di certo nuovo. Il celebre Goffredo Mameli, padre dell’inno italiano, era cugino del padre, colonnello dei carabinieri. Fin da piccola, Eva, dimostra una spiccata attitudine alle materie scientifiche. L’inclinazione al rigore della evidenza razionale si riverbera anche nel temperamento, forgiatosi meticoloso e caparbio. Si diploma alla scuola pubblica, al tempo appannaggio esclusivo dei compagni maschi, e prosegue gli studi iscrivendosi alla facoltà di matematica e fisica. Sospinta dall’incoraggiamento dell’illuminato padre, raggiunge il fratello Efisio a Pavia, dove quest’ultimo ha ottenuto la cattedra di Chimica.

Tra le storiche mura accademiche, entro le quali insegnò eloquenza pure Ugo Foscolo, la giovane signorina Mameli trascorre intere giornate al microscopio. Alla stessa Università si laurea in Scienze Naturali. Dopo un breve intermezzo londinese, torna a collaborare con l’università come assistente di botanica. Nel frattempo, scoppia il primo conflitto mondiale e per Eva Mameli l’impegno civile si materializza come percezione epidermica. Il camice bianco indossato in laboratorio si intervalla a quello dell’ospedale Ghislieri, presso il quale assiste i soldati feriti. Nel bel mezzo della “Grande Guerra”, all’età di ventinove anni, diventa libera docente di botanica generale all’Università di Pavia, la prima in Italia alla quale viene assegnata la libera docenza.

L’amore, le palme, lo studio, l’America Latina

La fama di ricercatrice sorvola l’Oceano, valicando i confini continentali e giungendo fino a Cuba, dove Mario Calvino, insigne agronomo sanremese, amministra la Stazione sperimentale agronomica. Calvino è alla ricerca di un botanico esperto di genetica per le ricerche sulle piante tropicali, da integrare al suo gruppo di lavoro. Così, approfittando di una fuga in Italia, incontra la Mameli. L’appuntamento tra i due esperti fitologi rimane, ancora oggi, avvolto da un ovatta di sentimentalismo e leggenda. Pare che Mario, appena incrociati gli occhi di Eva, le fece due proposte: una di lavoro e una di matrimonio. Come sia andato realmente l’incontro tra i due preferiamo relegarlo nella cortina di nebbia che rende tutto più avvincente. A noi basti sapere che, nello stesso mese della proposta, Eva sposa Mario per procura e lo raggiunge subito a Cuba.

Non conosce una sola parola di spagnolo, non ha mai affrontato un viaggio così lungo, non sa cosa aspettarsi sull’altra sponda e, in più, lascia una brillante carriera per l’incerto. Ma se abbiamo imparato un po’ a conoscere la Mameli fino a qui, sappiamo bene che la risposta non poteva che essere affermativa. Nella più grande delle isole caraibiche, Eva prende servizio come botanica alla Stazione diretta dal marito e guida le ricerche sullo sviluppo della pianta del tabacco, della canapa e della canna da zucchero. Proprio sull’isola, Il 15 ottobre 1923, in un bungalow nel giardino di casa, partorisce il primogenito, Italo, ancora ignara di aver procreato uno dei principali scrittori del Novecento.

Il richiamo dell’Italia

Dopo il soggiorno latino-americano, la famiglia Calvino sente forte il richiamo della patria. Nel 1925 lasciano Cuba per stabilirsi a Sanremo, introducendo, per la prima volta in Italia, piante esotiche come il pompelmo, il kiwi, le palme, la yucca e l’agave. Nella città dei fiori, la loro residenza diventa Villa Meridiana, a pochi passi dalla Stazione sperimentale di floricultura. Eva ne ricopre la carica di vice-direttrice, mentre, contestualmente, si riavvicina al mondo universitario. Sono anni felici e colmi per la Mameli, divisa tra microscopi e pannolini. Nello stesso anno le vengono consegnate le chiavi dell’Orto Botanico della sarda “Casteddu”, di cui diventa direttrice. La pendolarità tra la Liguria e la Sardegna non rende, però, la vita facile alla ricercatrice, tanto che nel 1929 si dimette dalla cattedra universitaria nel frattempo riottenuta. Ma non è una rinuncia alla scienza. Anzi, riesce a ritagliare, così, più tempo da dedicare alla Stazione e all’attività divulgativa, fondando, insieme a Mario, la rivista “Il giardino fiorito”.




L’amore per la scienza e per Mario quasi si sovrappongono. I coniugi Calvino condividono tutto, dai successi accademici alla responsabilità civile. Valori morali che tramanderanno anche ai figli. È grandemente noto, infatti, l’impegno antifascista di Italo e la sua militanza nelle Brigate Garibaldi durante la Resistenza. Rimasta, con grande dolore, vedova nel 1951, Eva succede al marito nella direzione della Stazione sperimentale. Muore nel 1978, nella sua Villa a Sanremo a 92 anni. Con oltre duecento pubblicazioni, le eccellenze raggiunte, la carriera Universitaria e il materiale scientifico di cui si fece promotrice, possiamo senza dubbio definirla una pioniera della divulgazione.

Eva Mameli, “la maga buona che raccoglieva gli Iris”

In un laconico cenno autobiografico, è così che Italo Calvino definisce la madre, dalla quale eredita la passione per le piante e la floricoltura. “La maga buona che coltivava gli Iris” piantò, nella natura del grande autore del Novecento, i peculiari tratti del senso critico e della responsabilità civile. È chiaramente fra gli autori più impegnati del panorama letterario del 900. Schierato ed esposto, combatte tra le fronde delle stesse montagne liguri percorse tante volte da bambino in compagnia del padre. Se dalla famiglia d’origine, Italo, adotta coscienza e forma mentis, lo stesso non può dirsi per la carriera. È vero, però, che, “la pecora nera” di una famiglia composta da scienziati, come lui stesso si autodefinì, non mancò di riportare nella vita e nelle opere, dall’apodittico carattere neorealista, la concretezza e la praticità ricevute dal testamento dei genitori.

Dopo aver eluso, negli scritti giovanili, il rapporto parentale e l’interstizio dell’infanzia, questo ritorna con prepotente forza nelle pagine più mature de “La Strada di San Giovanni”. La raccolta passa in rassegna geografie, luoghi, persone e memorie della cittadina adagiata sulla Riviera di Ponente, compresa la piccola ma austera madre. La tedesca, la chiamavano a Villa Meridiana, “Non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di buganvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva” Cosi, con questo vellutato e balsamico ricordo, Calvino consegna alle pagine dell’eternità il ricordo di quella donna vigorosa e appassionata che era la madre.

Martina Falvo

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