Eutanasia: cinquecentomila firme per decidere della propria vita

Eutanasia significa buona morte e alla fine sta tutto qui: la possibilità di andarsene in pace, senza dolore, e col permesso della legge.

L’associazione Luca Coscioni ce l’ha fatta, ha tagliato il primo traguardo di questa lunga maratona che porta avanti ormai da vent’anni: raccogliere cinquecentomila firme per proporre un referendum sull’eutanasia.

Cosa succede ora?

Fino al 30 settembre i promotori continueranno la loro campagna per raccogliere ancora più firme in modo da scongiurare errori di conteggio o difficoltà burocratiche.
La proposta e le firme verranno poi depositate in Corte di Cassazione che, se le riterrà valide, ci chiamerà tutti a votare nel 2022.
Il Referendum sarà di natura abrogativa: cioè ci verrà chiesto se vogliamo annullare (abrogare, ndr) una parte dell’articolo 579 del Codice Penale e quindi di non considerare più reato l’assistenza al suicidio e permettere così l’eutanasia attiva.

Eutanasia

Attualmente in Italia è legale solo l’eutanasia passiva: si possono rifiutare le cure e l’accanimento terapeutico, cioè si può non intervenire per mantenere in vita un paziente in modo artificiale. L’ eutanasia attiva accoglie invece la volontà di andarsene di coloro che sono bloccati in un’agonia indefinita e senza alcuna possibilità di guarigione.  Con l’eutanasia attiva il personale medico accompagna il paziente alla morte, mediante la somministrazione di un farmaco che di fatto addormenta, senza alcuna sofferenza ulteriore né paura.
Questo tipo di eutanasia si dice diretta perché avviene come causa diretta del farmaco; e volontaria perché segue un’esplicita e valida richiesta di un soggetto capace di intendere al momento o in passato, tramite testamento biologico. Si distingue dal suicidio assistito perché in quel caso il medico prescrive il farmaco ma non lo somministra.

Un braccio di ferro ideologico

L’eutanasia è una battaglia etica che riguarda la nostra percezione della vita e soprattutto della morte. Un braccio di ferro tra coloro i quali affermano che la vita è un dono irrinunciabile perché appartiene a Dio; coloro che invece ritengono la vita una cosa umana che ci appartiene e ha un valore assoluto; e infine chi teme che si vada verso un rifiuto della vita che per natura è imperfetta ma non per questo non merita di essere vissuta; e ipotizzano scenari che vanno ben oltre ciò che una normale legge sull’eutanasia potrà mai disporre.
Il limite ultimo però resta il dolore. Condannare un essere umano a soffrire per un tempo indeterminato è paragonabile ad una tortura che nessuno vorrebbe per sé o infliggere ad altri. Una legge sull’eutanasia si prende l’impegno di offrire una possibilità di fuga dalla sofferenza che  però resta una decisione personalissima e senza alcun obbligo.
In verità l’eutanasia non riguarda tanto la nostra idea della vita, quanto piuttosto ciò che pensiamo della morte: se la vita è un diritto umano perché allora non può esserlo anche la sua fine?

Il fine vita non pretende di sostituirsi a Dio o alla morale; al contrario è un atto di libertà del tutto personale che non riguarda nessuno se non chi soffre e ne sente il bisogno.
Di fatto l’eutanasia è un dialogo delicato, doloroso e necessario: è lo Stato che ci accompagna come cittadini, fino alla fine.

Alice Porta

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