Gli Europei di calcio del 1992 sono una storia di giocatori presuntuosi. Una storia di squadre scomparse, di squadre provvisorie e di squadre nuove. La storia di un allenatore che nessuno voleva e si dimostra vincente. Una storia di astri nascenti e di stelle cadenti. E la storia del giocatore più forte della nazionale meno forte che resterà a casa e rimpiangerà di averlo fatto. Comunque li si guardi, gli Europei di Svezia ’92 sono una storia da raccontare.
Gli Europei di calcio del 1992 stanno lì a dimostrare agli scettici che ciò che pare impossibile può invece realizzarsi. La più bella della scuola che decide di uscire con te. Un bel voto in quella materia in cui, fino a quel momento, hai collezionato insufficienze. Una squadra che non avrebbe dovuto nemmeno partecipare che vince il torneo. All’epoca avevo dieci anni ed ero abbastanza sensibile a questo genere di cose. Perché è un’età in cui iniziano a dirti che non dovresti più credere alle favole, ma ne hai ancora un disperato bisogno. Perché la distanza tra quel che desideri e quel che puoi ottenere è, a dir poco, siderale. Quindi sì, gli Europei del 1992 mi colpirono, anche se – da tifoso – li seguii decisamente scornato per l’assenza dell’Italia.
Notti magiche, addio
L’Italia fa da spettatrice agli Europei di calcio del 1992. Fine di un ciclo; forse, addirittura, di un’epoca. Quella dei CT federali, cresciuti come allenatori delle giovanili, formatisi come assistenti degli allenatori in carica. La carriera di Azeglio Vicini inizia nel 1968, quando entra a far parte dello staff tecnico della Federazione; nel ’75 verrà nominato allenatore dell’under 23, quindi dell’under 21. Infine, dopo i Mondiali di Messico ’86 sostituirà Enzo Bearzot alla guida della nazionale maggiore.
L’Italia di Vicini è stata una delle nazionali più amate. La nazionale giovane degli Europei del 1988, quella delle notti magiche di Italia ’90. Ma in quegli anni a capo della FIGC c’è Antonio Matarrese. Democristiano di vecchia data e futuro berlusconiano, non è soddisfatto del terzo posto nei Mondiali casalinghi e qualche mese dopo inizierà, intervista dopo intervista, a picconare il suo CT.
Matarrese vuole lo show, lo spettacolo, i lustrini scintillanti, come nelle TV commerciali del suo amico Berlusconi. Gli sta stretto questo calcio “all’italiana” – anche se Vicini saprà pure innovarlo e ringiovanirlo – e vuole l’uomo copertina del calcio spettacolo: Arrigo Sacchi. Il quale, in realtà, al di là degli indubbi meriti, attraversa un momento di appannamento; il suo ciclo al Milan pare esaurirsi e i suoi stessi calciatori – la stella Van Basten in testa – paiono ormai mal sopportare lui e i suoi dogmi tattici
Quando la nazionale di Vicini perde 2 a 1 in Norvegia, riducendo a pochissime le speranze di una qualificazione al torneo continentale, di fatto Matarrese esautora l’allenatore; un benservito in anticipo che non può non condizionare l’atmosfera intorno alla nazionale. Si inizia a parlare di Sacchi. Mataresse è già d’accordo con Berlusconi, che trova così il modo di liberarsi del profeta della zona in maniera elegante.
Il palo di Rizzitelli
Eppure Vicini continua a battersi; deve fare i conti con la parabola discendente di Schillaci e gli infortuni di Roberto Baggio; inserisce forze fresche: Lentini dal Torino, Erano dal Genoa, Rizzitelli dalla Roma. Proprio quest’ultimo farà coppia d’attacco con Vialli, al Lenin Stadium di Mosca. Contro l’Unione Sovietica ci si gioca le ultime speranze di qualificazione. La partita è emozionante, si lotta su ogni pallone. Il campo è pesante, i giocatori sovietici sembrano più abituati; anche il talento non manca loro: Kolivanov, Shalimov, Mihaijilichenko, Kanchelskij. L’Italia ci prova, rischia il tracollo – una paratona di Zenga su Chernisov salva il risultato – ma sfiora anche l’impresa.
La storia di Vicini in nazionale finisce contro un palo; cross di Crippa dalla trequarti, Giannini sfiora il pallone che finisce sui piedi di Rizzitelli; stop e tiro al volo di sinistro, a incrociare. Il portiere sovietico può solo guardare e tirare un sospiro di sollievo quando vede il pallone colpire la base del palo. Finirà 0 a 0 e la partita successiva, in panchina, inizierà l’era di Arrigo Sacchi.
Una serata di addii
Quello di Vicini non è l’unico saluto della serata. Anche l’URSS saluta i suoi tifosi per l’ultima volta: è già la nazionale di un paese che non esiste più. Giocherà ancora una partita con la sigla cirillica CCCP sulle divise, ma in trasferta. Di fatto, quella sera a Mosca, la nazionale sovietica saluta per l’ultima volta i suoi tifosi.
Agli Europei di calcio del ’92 parteciperà con il nome di C.S.I., Comunità degli Stati Indipendenti. Durerà tre partite, per sciogliersi come neve al sole nell’ultima giornata del girone, sconfitta per 3 a 0 dalla Scozia già eliminata. Sarà l’ultima recita di un gigante che già non c’è più; da lì in poi russi, ucraini, bielorussi, georgiani…correranno ognuno sotto la propria bandiera. L’URSS, che vinse la prima edizione degli Europei di calcio nel lontano 1960, non esiste più.
L’addio al calcio della gloriosa nazionale jugoslava arriverà sei mesi dopo. Al di là dei provvedimenti dell’UEFA e della FIFA, la nazionale non rappresenta più nessuna nazione. Si parla di “nazionale serba mascherata da Jugoslavia”. Gli inglesi si espongono e dicono di non voler giocare contro gli “assassini”. Ma i tempi del calcio, soprattutto quando si mescola alla politica, si sa: sono lunghissimi.
Manca una settimana all’inizio degli Europei di calcio e i giocatori della Jugoslavia sono già sbarcati in Svezia. Silenzio stampa, misure di sicurezza straordinarie, opinione pubblica contraria e paura di attentati. Alla fine, la decisione: estromessa la Jugoslavia, dentro la Danimarca. Che, nel frattempo, è andata in vacanza.
La “Dynamite Denmark”
Møller Nielsen è in carica da due anni. Anche lui, come Vicini, è un allenatore di scuola federale. Ma, al contrario di Vicini, a quanto pare non è molto amato dai suoi giocatori e, tanto meno, dall’opinione pubblica. Negli anni ’80 la nazionale danese è una delle squadre più spettacolari nel panorama europeo. Michael Laudrup, Preben Elkjær, Allan Simonsen , Frank Arnesen e Jan Mølby sono solo alcuni dei giocatori che compongono quella che viene soprannominata “Dynamite Denmark”. Una nazionale tutta velocità, dribbling e fantasia, che ha dato spettacolo agli Europei del 1984, uscendo solo ai rigori, in semifinale, contro la Spagna.
Ai mondiali messicani ripete grandi prestazioni – come il 6 a 1 rifilato all’Uruguay, ma viene eliminata ingloriosamente, con un secco 1 a 5, ancora dalla Spagna. Il risultato, in realtà, è severo; a pochi minuti dalla fine del primo tempo i danesi sono in vantaggio, ma un disimpegno sciagurato mette Butragueño solo davanti al portiere. L’attaccante spagnolo non si fa pregare e pareggia. Nella ripresa i danesi si riversano in attacco, ma – complice il caldo dell’estate messicana – si sgonfiano e vengono infilati ripetutamente dagli spagnoli.
L’allenatore tedesco Sepp Piontek è visto come un profeta del calcio spettacolo e resta in carica. Ma gli Europei del 1988 perde tutte e tre le partite della prima fase e, successivamente, manca la qualificazione a Italia ’90. La squadra che è stata paragonata alla nazionale olandese di Cruijff non c’è più. È la fine di ciclo e la Federazione si prepara a sostituire Piontek.
Richard Møller Nielsen, l’allenatore che nessuno voleva
Richard Møller Nielsen in tutti quegli anni è stato assistente di Piontek e spera che adesso tocchi a lui. Nato nella piccola cittadina di Ejstrup, centro-sud della penisola danese, è stato un difensore dell’Odense, ma a soli 25 anni ha dovuto abbandonare la carriera di calciatore a causa di un infortunio. Tornerà all’Odense per allenare la prima squadra, vincendo anche due campionati. Quindi l’ingresso nello staff della nazionale. Quando pensa che tocchi finalmente a lui prendere in mano il destino della nazionale maggiore per condurla verso gli Europei di calcio di Svezia ’92, viene invece malamente scartato.
La DBU – la Federazione calcistica danese – vuole continuare con la tradizione degli allenatori stranieri. Nello specifico, sceglie Horst Wohlers, allenatore del Bayer Uerdingen, squadra che, in quegli anni, frequenta regolarmente la Bundesliga e partecipa anche alle coppe europee. Wohlers viene visto dalla DBU come l’erede ideale di Piontek e lo presenta ufficialmente come suo successore. ai giornalisti che chiedevano per quale motivo non era stato scelto Nielsen visto i suoi successi passati, il presidente della DBU Hans Bjerg-Pedersen risponde con una bordata:
Mia nonna avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati di Richard Møller Nielsen – Hans Bjerg-Pedersen, presidente della DBU nel 1990
Peccato che Wohlers non sia mai stato liberato dal contratto dai dirigenti del Bayer Uerdinger che si impuntano e fanno naufragare i piani della Federazione danese. A quel punto, si dice, ci sono otto nomi sulla lista della DBU. I primi sette rifiutano. L’ottavo è Møller Nielsen.
Primo non prenderle
Da assistente, Møller Nielsen ha visto da vicino le grandi prestazioni della generazione d’oro danese. Calcio spettacolo che però non ha portato nulla in bacheca. La sua è un’idea di calcio differente: a cosa serve lo spettacolo se non ti avvicini nemmeno a fare risultato? Ma le star danesi non sono d’accordo. A quanto pare, i giocatori più rappresentativi si erano già espressi contro la sua nomina prima ancora che diventasse ufficiale. È solo un assistente, come può pensare di avere qualcosa da insegnare a certi campioni?
I primi risultati sembrano dar loro ragione: l’approccio difensivo di Møller Nielsen tarpa le ali al talento dei giocatori più fantasiosi. Addirittura l’allenatore si macchia di un peccato di lesa maestà, sostituendo – durante un match di qualificazione pareggiato 1 a 1 con l’Irlanda del nord – entrambi i fratelli Laudrup. A novembre poi, dopo la sconfitta casalinga contro la Jugoslavia, mentre i tifosi invocano Piontek, si consuma la fronda. Il centrocampista del Liverpool Jan Mølby dà l’addio alla nazionale e così fanno anche i fratelli Laudrup.
Non rispetto Richard Møller Nielsen come allenatore, e quindi potrei anche fermarmi ora. Non riesco a giocare per lui e non gli piaccio come giocatore – Brian Laudrup
Ma Møller Nielsen va avanti per la sua strada. È convinto che con l’organizzazione difensiva e lo spirito di gruppo potrà portare al successo quelli che, fino a quel momento, sono stati solo dei fortissimi perdenti. Ancora una volta, però, i risultati sembrano dargli torto: finisce il girone in crescendo, ma la Danimarca arriva seconda per un punto. Agli Europei di calcio di Svezia ’92 andrà la Jugoslavia.
Dalle spiagge agli Europei di calcio
Quando arriva la notizia del ripescaggio Møller Nielsen si fa trovare pronto. A quanto pare si era preparato all’eventualità per tutta la primavera, studiando il da farsi nel suo seminterrato. Ciononostante, visto che il pass sembrava non arrivare mai, aveva fatto altri piani per il periodo estivo:
Dovevo cambiare la cucina, ma mi chiamarono per giocare in Svezia. Ho chiamato un arredatore professionista per finirla appena informato
Anche i giocatori avevano fatto altri piani. Quando si ritroveranno in Svezia, a una sola settimana dall’inizio del torneo, Peter Schmeichel definirà sé stesso e i suoi compagni un “gruppo di ragazzi grassi in vacanza”. Tra i giocatori che arrivano in Svezia direttamente dalle vacanze c’è anche Brian Laudrup, che da poco si era riconciliato con il CT.
Non c’è invece suo fratello Michael, che solo dieci giorni prima aveva alzato al cielo la Coppa dei Campioni vinta con il Barcellona. “Il Barcellona è la mia nazionale” dice a chi gli chiede le ragioni del rifiuto. D’altra parte, ragiona fra sé, perché rinunciare alle meritate vacanze a Riccione per volare in Svezia, giocare tre partite senza divertirsi per colpa dei tatticismi dell’allenatore e tornare a casa, eliminato e senza vacanze? Non gli si poteva dare torto; anche la DBU aveva prenotato l’albergo solo per il tempo necessario a giocare le tre partite del girone eliminatorio.
Chi era Michael Laudrup
Per capire il peso del “gran rifiuto” bisogna inquadrare chi era Michael Laudrup.
Quando Michael gioca così, come un sogno, come un’illusione, determinato a mostrare a tutti le sue incredibili qualità, non c’è nessuno al mondo che può avvicinarsi ai suoi livelli – Johan Cruijff
Parole e musica di Cruijff, dopo un clamoroso 5 a 0 rifilato dal Barcellona agli acerrimi rivali del Real Madrid, in cui Laudrup aveva dato spettacolo. Siamo già nel ’94. Pochi mesi dopo l’allenatore olandese escluderà Laudrup dalla finale di Coppa dei Campioni di Atene. Vincerà il Milan di Capello per 4 a 0. Il danese volerà proprio a Madrid e, guarda caso, con Laudrup in camiseta blanca il Real restituirà la cinquina al Barça, vincerà la Liga e Zamorano si laureerà capocannoniere con 31 gol. Ma nel ’92 la sua storia d’amore con i blaugrana è al massimo. Sotto la guida di Cruijff, il biondo centrocampista ha trovato la sua dimensione. Dribbling, finte di corpo, passaggi no look: il calcio di Laudrup è pura poesia.
A Torino invece, sponda Juventus, non era riuscito a esprimersi al meglio. Troppi tatticismi, troppe corse in difesa. Anche per questo era volato a Barcellona. Di lui, Platini diceva: “Laudrup è il migliore al mondo, in allenamento”. Gli stessi tatticismi li ritroverà nel rigido 4-4-2 di Møller Nielsen. Michael Laudrup era il simbolo – l’incarnazione – di quella “Dynamite Denmark” tutta dribbling e velocità: un calcio di un altro pianeta rispetto a quello del CT danese.
Dunque le incomprensioni tattiche furono alla base del suo rifiuto. Anche se non furono l’unico motivo. Per Laudrup la Danimarca non si era guadagnata il diritto a giocare la fase finale degli Europei di calcio. Ritrovarsi in gara per motivi distanti anni luce dal pallone non gli pareva comunque una cosa giusta. Così ringraziò e declinò l’invito. Gli Europei di calcio perdono un protagonista. Ma, col senno di poi, a perderci fu lui.
Miracolo a Malmö
Le prime due partite del girone sembrano dar ragione al più grande – per età e per talento – dei fratelli Laudrup e a tutti gli scetticismi che circondano la nazionale dei “vacanzieri”. Zero a zero con l’Inghilterra. Gli inglesi sono imprecisi e quando centrano la porta ci pensano le mani di Schmeichel a salvare i danesi. Che vanno anche vicini al colpaccio, colpendo un palo. Alla seconda partita arriva la sconfitta contro i padroni di casa. Un 1 a 0 firmato Thomas Brölin, attaccante del Parma. La Danimarca ha un piede e mezzo fuori dagli Europei di calcio.
All’ultima giornata dovrebbe battere la Francia, allenata da Platini, e sperare che la Svezia batta l’Inghilterra. L’unico a crederci sembra essere proprio Møller Nielsen. Il CT danese non è un uomo di molte parole. Un altro dei rimproveri che gli venivano mossi; per alcuni giocatori, nonostante gli anni trascorsi insieme, è quasi uno sconosciuto, chiuso nel suo mondo fatto di schemi e forza di volontà. Ma dopo la sconfitta con la Svezia parla ai suoi e li incoraggia: abbiamo ancora un possibilità; giochiamocela.
Pare fantascienza: i francesi sono arrivati in Svezia dopo un percorso netto nel girone di qualificazione. Schierano futuri campioni del mondo come Blanc e Deschamps, il futuro giustiziere del Milan, Basile Boli, e in attacco uniscono il fiuto del gol di Jean-Pierre Papin alla classe e al carisma di Eric Cantona.
Ma l’impensabile accade. La sera del 17 giugno, nel giro di 4′ minuti la storia fa una prima giravolta. Al 78′, sul campo di Malmöe, Lars Elstrup riporta in vantaggio i danesi, dopo che Papin aveva pareggiato il vantaggio iniziale di Larsen. A Solna, Brölin – ancora lui – conclude la rimonta contro gli inglesi, ribaltando l’iniziale 1 a 0. In semifinale, a sorpresa, insieme ai padroni di casa, ci vanno i “vacanzieri”.
Un’impresa con tanti eroi
Lars Elstrup è l’uomo del momento. Eroe per una notte, dopo gli Europei giocherà ancora solo una stagione. A soli trent’anni chiuderà con il calcio giocato per le “troppe aspettative” che gli avevano tolto le “energie positive”. Gli anni sono degni di un romanziere – ma non lo stesso che scrisse la storia degli Europei di calcio del 1992. Aderisce a una setta, cambia nome, ne viene espulso; due arresti; anni trascorsi lontano dai riflettori per poi tornare alla ribalta, nel 2016, per un’invasione di campo – nudo – durante una partita della Superliga danese. Il tocco di interno sinistro sul cross basso dell’attaccante del Borussia Dortmund Polvsen è il momento più altro della sua breve carriera.
L’eroe della partita successiva è invece Henrik Larsen, centrocampista di proprietà del Pisa. Sua la doppietta che, in semifinale, porta due volte in vantaggio la Danimarca contro l’Olanda. Un gol di Rijkaard a pochi minuti dalla fine ristabilirà la parità, che durerà anche per tutti i tempi supplementari. Lì salirà ancora una volta in cattedra Peter Schmeichel, ipnotizzando nientemeno che Marco Van Basten, che calcia il secondo rigore della serie finale. Nessuno dei danesi si farà prendere dall’emozione e la squadra di Møller Nielsen vola in finale.
Un epilogo triste per l’Olanda, detentrice del titolo. Ma gli olandesi non sono più quelli di quattro anni prima. Il gruppo non è compatto come allora. Il fallimento di Italia ’90 – eliminazione agli ottavi, contro la Germania Ovest, tra polemiche e sputi – pesa e i “senatori” arrivano all’appuntamento non al massimo della forma. Il “grande vecchio” Rinus Michel è sempre alla guida della squadra, ma la sua panchina pare aver perso un po’ di smalto e di carisma. I giocatori sembrano peccare di presunzione. Sono ormai star del mondo del calcio e si comportano come tali.
Nonostante ciò, l’Olanda di talento ne ha da vendere. Con la maglia arancione brilla anche la nuova stellina, un certo Dennis Bergkamp, centrocampista offensivo dell’Ajax. Quello che manca è l’equilibrio tra fase offensiva e fase difensiva. Quell’equilibrio che, invece, sta premiando la tattica di Møller Nielsen. Manca probabilmente anche la fame sportiva. Quella che invece, strada facendo, è venuta a tutti i giocatori danesi.
Il rigore sbagliato per Van Basten è quasi un’addio. Dopo gli Europei inizierà la stagione successiva alla grande, riceverà il terzo Pallone d’oro, ma inizierà anche il suo calvario: una serie di operazioni alle caviglie che porteranno la sua carriera a una fine anticipata. Dopo quel rigore, indosserà la maglia della nazionale ancora solo per tre partite.
Gli Europei di calcio: il mondo dove tutto è possibile
La Germani arriva in finale dopo un percorso altalenante. In pieno rinnovamento dopo il titolo mondiale di due anni prima, il nuovo CT Berti Vogts ha il compito di sostituire i senatori ormai fuori dal giro, con i nuovi talenti emergenti. Ci sono Riedle e Möller, ad esempio. C’è Thomas Hassler, che in Italia sta facendo fatica, ma in nazionale riesce ad esprimere tutta la sua classe. Manca Matthaüs, infortunato. Ma ci sono facce nuove provenienti dall’est, come Matthias Sammer e Thomas Doll. Già, perché la vera novità è che, per la prima volta, la Germania si presenta come un’unica nazione. Niente più muro, niente più Est e Ovest. Anche questo, a suo modo, è un piccolo miracolo che si materializza, per la prima volta, agli Europei di calcio.
La finale, quasi incredibilmente, è senza storia. La Germania vi arriva dopo un percorso accidentato. Girone eliminatorio superato a fatica, semifinale con grossi rischi: i padroni di casa della Svezia, sotto per 3 a 0, sfiorano una rimonta che avrebbe avuto i contorni dell’epica. Manca Matthaüs e manca l’equilibrio. Anche il CT tedesco fatica a trovare l’alchimia giusta tra i suoi talenti e, una volta in svantaggio, non riesce a organizzare un’offensiva efficace.
Il primo gol danese porta la firma di Jensen. Recupero palla aggressivo sulla fascia destra – perché sì, a questo punto, i danesi ci credono davvero e partono forte. Passaggio rasoterra di Polvsen, che vede arrivare a rimorchio il centrocampista del Brøndby, di gran carriera. Siluro di destro, calciato appena dentro l’area, e 1 a 0.
I tentativi di rimonta sono confusi. Quando la palla arriva nello specchio della porta ci pensa, manco a dirlo, Peter Schmeichel a tener intatti i sogni di gloria danesi. Una paratissima su un colpo di testa di Klinsmann sigilla il vantaggio. Poco dopo arriva il gol che chiude la partita. Vilfort conquista un pallone vagante e punta l’area tedesca. Al limite, fintando il tiro di destro e rientrando invece sul sinistro, fa sedere Brehme ed Helmer. Tiro di sinistro sul primo palo, palla che supera la mano protesa di Illgner, bacia la base del palo e finisce in rete. È il giusto premio per un giocatore che scende in campo nonostante stia attraversando un dramma personale.
Giocatore generoso, Vilfort. Mediano che correva anche per quelli che di fiato ne avevano meno di lui. Espressione seria, affetti immancabili. Durante l’Europeo, dopo ogni partita, lasciava il ritiro per tornare in Danimarca ad assistere la figlia di dieci anni, che era ricoverata a causa della leucemia – e purtroppo morirà alcune settimane dopo.
Un trionfo inaspettato, ma meritato
Per Møller Nielsen è un trionfo. Anche se in patria, in tanti, continueranno a preferirgli Sepp Piontek e il suo calcio offensivo, poco importa. A distanza di anni – e in parte solo grazie a un film uscito nel 2015, Estate ’92 – i suoi meriti sono chiari a tutti. Contro ogni pronostico, la squadra dei “vacanzieri” si è dimostrata più forte. Più compatta. E il suo allenatore è stato il più bravo non solo a motivare i suoi giocatori, ma anche a metterli in campo, sfruttandone le capacità, tenendo conto dei momenti delle partite.
Così l’allenatore che nessuno voleva per la nazionale danese ha condotto i suoi a un successo meritato. Per Michael Laudrup sarà un rimpianto quella mancata partecipazione. Per tutti gli appassionati del mondo, sarà la dimostrazione che nel calcio tutto è possibile. Che è precisamente il motivo per cui tutti i tifosi continuano a tifare, ad appassionarsi e a sognare.
Non è la prima sorpresa agli Europei di calcio. Lo fu anche la Cecoslovacchia di Panenka, ad esempio. E non sarà nemmeno l’ultima. Ma, considerando che i danesi a quel torneo non avrebbero nemmeno dovuto partecipare, che il loro CT era sbeffeggiato da gran parte dell’opinione pubblica e che erano privi del loro giocatore più forte, di sicuro è stata la sorpresa più grande.
Simone Sciutteri