Tutto nuovo per l’edizione del 1980: il mondo è cambiato e anche gli Europei di calcio sembrano un altro torneo rispetto a quello inaugurato nel 1960. Più partecipanti alla fase finale, nuova formula, nazione organizzatrice qualificata di diritto. Si gioca in Italia – prima nazione ad ospitare per due volte un edizione degli Europei, dopo quelli vittoriosi del ’68. In pochi però se ne sono accorti. Pochi spettatori allo stadio, poche emozioni. E un paese che, probabilmente, aveva altro a cui pensare…
I “fantastici” anni ’80, quelli del pop e della musica elettronica. Dei film d’azione americani, del capitalismo rampante degli yuppie. Gli anni del walkman, delle VHS, del Commodore 64. Paninari e metalli. Michael Jackson e i Duran Duran. Un decennio in chiaroscuro, forse – col senno di poi – un decennio grottesco. Iniziato con tanti guai e chissà, magari proprio per questo, voglioso di nasconderli con il suono dei synth. Il 1980 inizia con il presidente Carter – che da lì a pochi mesi lascerà la Casa Bianca al cowboy Regan – che annuncia il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca. E si chiude con quattro colpi di pistola: quelli che uccideranno John Lennon. In mezzo, gli Europei di calcio di Italia 1980.
Un anno tragico
In Italia, se possibile, le cose vanno anche peggio rispetto al resto del mondo. Il 6 gennaio la mafia uccide Piersanti Mattarella, il fratello maggiore dell’attuale Presidente della Repubblica. Verrà ucciso anche il giornalista Walter Tobagi, per mano di un commando terrorista. L’estate sarà insanguinata dalla strage di Ustica e a novembre un terremoto sconvolgerà tragicamente l’Irpinia.
Anche calcisticamente, c’è da dire, le cose non vanno meglio. Il 23 marzo, ai telespettatori che stanno guardando i gol a 90° Minuto appariranno le immagini della volante della polizia sulla pista di atletica dello stadio Olimpico. Un giovane Giampiero Galeazzi commenta: “dev’essere successo qualcosa, si parla di mandati di cattura”. Sono immagini che segnano l’inizio dello scandalo del Totonero, una brutta storia che coinvolge giocatori famosi, dirigenti, figure losche. Quel pomeriggio finiranno in manette, arrestati direttamente negli spogliatoi, nove calciatori di Serie A; tra di loro i laziali Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Pino Wilson e i milanisti Enrico Albertosi e Giorgio Morini, insieme al loro presidente, Felice Colombo. Lo scandalo portò alla retrocessione in B di Milan e Lazio, ad altre penalizzazioni e alla squalifica di diciotto giocatori. Fra questi c’erano anche Bruno Giordano e Paolo Rossi, che facevano parte della nazionale di Bearzot.
Un flop quasi annunciato
Forse l’Italia non si sarebbe nemmeno offerta per ospitare gli Europei di calcio. Ma proprio quell’edizione, per la prima volta, aveva una sede stabilita prima della fine delle qualificazioni. Tre anni prima l’Italia si era aggiudicata la votazione per l’assegnazione all’unanimità ed era anche, perciò, qualificata di diritto alla fase finale. Era cambiata anche la formula. Non più solo semifinali e finali, ma due gironi da quattro squadre: le prime classificate si sarebbero giocate il titolo, le seconde la finale di consolazione per il 3° e 4° posto. Ma tra scandali e un percorso sportivo in chiaroscuro, la nazionale che solo due anni prima aveva ben figurato ai mondiali argentini, cogliendo un 4° posto con una formazione rinnovata, si avvicinava al torneo con l’umore ai minimi storici. E l’opinione pubblica sembra poco interessata: sulle prime pagine dei giornali, il giorno dell’inaugurazione, non c’è traccia degli Europei di calcio. Insomma, se gli Europei di Italia ’80 furono un mezzo flop, la colpa fu probabilmente proprio dell’Italia, nazione e nazionale.
Il girone dell’Italia
Calcisticamente le premesse non erano così male, ad ogni modo. Ai nastri di partenza si presentavano diverse squadre interessanti. Anche se, in una certa misura, tutte in fase di transizioni. Mancano la Polonia e la Francia, che due anni dopo saranno semifinaliste ai Mondiali. Manca anche l’URSS, sorpresa dalla Grecia nel girone di qualificazione.
Inghilterra, oggi come allora…
Ma c’è l’Inghilterra, che può schierare alcuni fuoriclasse: il talentuoso Kevin Keegan su tutti. Pallone d’oro nel ’78 e nel ’79, aveva trascinato il Liverpool alla vittoria della Coppa dei Campioni nel 1976, che era diventata territorio di conquista esclusiva dei team inglesi. Pur privi del loro campione, trasferitosi all’Amburgo, i Reds avevano bissato il successo l’anno successivo, per lasciare poi spazio alla doppietta del sorprendente Nottingham Forest. A fine maggio, la finale del Santiago Bernabeu, aveva visto di fronte proprio gli inglesi, guidati dal leggendario Brian Clough, e i tedeschi dell’Amburgo, illuminati dal talento di Keegan. Era finita 1 a 0 per i britannici, che avevano prolungato il dominio inglese. A difendere i pali del Forest c’era Peter Shilton, leggendario portiere che indosserà il numero uno della nazionale fino agli anni ’90. Seguiranno, nell’albo d’oro della Coppa dei Campioni, ancora il Liverpool e quindi l’Aston Villa.
Insomma: gli inglesi, in quegli anni, facevano sul serio. Eppure al debutto, contro il Belgio, fu solo 1 a 1. E al secondo turno c’è Italia-Inghilterra. Gli azzurri sono reduci da uno scialbo 0 a 0 contro una non irresistibile Spagna. Ma nella partita contro gli inglesi sembrano scendere in campo con un’energia diversa. Tardelli francobolla Keegan per tutti i 90′, rendendolo quasi inoffensivo. La partita del centrocampista italiano viene coronata anche da un gol (al 79′, con annessa esultanza “alla Tardelli”) che diede la vittoria agli uomini di Bearzot.
L’Italia, più da Mondiali che da Europei: rimandata al 1982
Peccato che quello fu l’unico gol segnato dalla nazionale italiana in tutta la prima fase. Nella partita decisiva per gli esiti del girone, una squadra spuntata si fermerà contro il muro della difesa belga. Appaiati in classifica, ma con più gol segnati (3 contro 1), saranno i belgi a giocarsi il titolo. Per gli azzurri resterà solo la finale di consolazione.
Zoff, Gentile, Oriali, Scirea, Collovati, Altobelli, Causio, Antognoni, Graziani…avranno tutti modo di rifarsi due anni dopo, al mondiale spagnolo. Insieme proprio a quel Paolo Rossi che rientrerà dalla squalifica giusto in tempo per essere convocato da Bearzot, che gli aveva sempre dato fiducia.
Per la nazionale inglese invece arriveranno anche negli anni successivi poche soddisfazioni; un po’ come al giorno d’oggi: i club inglesi dominano in Europa, ma la nazionale è ancora alla ricerca di un risultato importante…
Il girone A: Germania Ovest, Cecoslovacchia, Olanda e Grecia
Nell’altro girone la situazione si delinea subito. Una Olanda in piena fase di rinnovamento non desta particolari attenzioni. La Grecia ha già fatto molto qualificandosi al torneo e non sembra possa impensierire le avversarie. La prima partita, tra Cecoslovacchia e Germania Ovest, è già quella decisiva. Sembra una riedizione della finale dell’edizione precedente, ma in realtà sono due squadre profondamente diverse. La Cecoslovacchia campione in carica, dopo il flop della mancata qualificazione al mondiale del ’78, aveva cambiato pelle, ma si era ricostruita attorno ai “mostri sacri” Ondruš, Nehoda e Panenka.
Tra i tedeschi l’unico reduce del ’76 era il difensore del Duisburg, Bernard Dietz. Brillavano la stella di Karl-Heinze Rumenigge – che vincerà quell’anno il Pallone d’oro – e quella del giovane Bernd Schuster. Entrato da poco nel giro della nazionale, il suo talento non tardò ad affermarsi, nonostante i soli 21 anni. Arriverà dietro al connazionale nella classifica del Pallone d’oro e, in seguito alle ottime prestazioni al torneo continentale (nonostante l’impiego parziale da parte del CT Derwall) verrà acquistato dal Barcellona.
Finirà 1 a 0, con gol proprio di Rumenigge, su assist di esterno sinistro di Hansi Müller, centrocampista offensivo che, proprio come il centravanti, vestirà per due anni la maglia dell’Inter. Ma se il biondo attaccante lascerà un buon ricordo in neroazzurro, nonostante gli infortuni, lo stesso non si può dire di Müller, anzi. Di lui, una volta, il fantasista Beccalossi disse: “è meglio giocare con una sedia che con Hansi Müller, perché con la sedia quando gli tiri la palla addosso ti torna indietro”. Ma il talento non gli mancava e in quegli Europei lo uso per contribuire al cammino della Germania Ovest.
Europei di calcio Italia ’80: il torneo che non ha visto nessuno (o quasi)
L’assist di esterno sinistro al volo di Müller e il colpo di testa di Rumenigge li videro dal vivo in 11.059 spettatori paganti, sparsi tra gli 80.000 posti a disposizione allo stadio Giuseppe Meazza di Milano. Ancora meno furono quelli che assistettero alle prodezze di Panenka e Nehoda contro la Grecia. D’accordo: la partita non era di cartello, ma 4.726 sono un numero da amichevole estiva, non da fase finale degli Europei di calcio.
Andò meglio con le partite dell’Italia, ovviamente. Ma neppure lì si fece il tutto esaurito. In 46.000 a San Siro per il debutto. In poco meno di 60.000 al Comunale di Torino per la vittoria sugli inglesi. Appena 42.000, all’Olimpico di Roma, per la partita decisiva contro il Belgio. Fino ai soli 24.000 che siederanno sulle tribune del San Paolo di Napoli per la finale di consolazione. Finita 1 a 1 e vinta, per la cronaca, dopo una lunga serie di rigori, dai cecoslovacchi. Panenka segnerà il suo, senza ripetere il “cucchiaio” di quattro anni prima. Collovati si farà parare il nono tiro dal dischetto e Barmoš, difensore di origini ungheresi, segnerà quello decisivo.
Insomma: si giocano gli Europei di calcio, con la nazionale italiana non brillantissima, ma comunque tra le protagoniste. Con una nuova formula, più lunga e avvincente. Con campioni e palloni d’oro a darsi battaglia, ma la nazione sembra non accorgersene. Distratta da altri pensieri. Disincantata a causa dello scandalo totonero. Scoraggiata dalla scarsa verve degli azzurri. Le immagini degli stadi di quell’edizione raccontano di un disinteresse diffuso e sembrano incredibili se paragonate a quelle degli stadi che, solo dieci anni dopo, straborderanno di pubblico festante durante i Mondiali di Italia ’90.
La finale
In 47.000 assisteranno alla finale di quell’edizione degli Europei di calcio. Si gioca all’Olimpico, in una calda serata che sa di vacanze romane. La Germania Ovest è nettamente favorita, anche se il Belgio è cresciuto strada facendo e ha messo in mostra talenti come Erwin Vandenbergh o François Van der Elst. Il calcio belga, d’altra parte, in quegli anni è all’avanguardia: Anderlecht e Bruges sono ai vertici del calcio europeo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. In campo c’è anche Jan Ceulemans, che nel Bruges trascorrerà l’intera carriera. Ancora oggi è considerato il più forte giocatore belga di sempre e uno dei più forti anche a livello continentale. Giocatore moderno, jolly offensivo dotato di tecnica sopra la media, velocità, dribbling.
Ma dall’altra parte c’è una Germania Ovest piena di talento ed energie.
Eravamo giovani e affamati. Credo sia stata una sorpresa anche per i tifosi. C’era una bella atmosfera in campo ed eravamo tutti pieni di aspettative, perché né noi né il Belgio avevamo immaginato di arrivare a giocarci gli Europei – K. H. Rumenigge
“Siamo partiti molto bene – ricorda Rumenigge – e abbiamo segnato presto. Giocammo molto bene, ma il Belgio rimase sempre in partita”. Il primo gol è un saggio di bravura del giovane Schuster: controlla palla a centrocampo e chiede il triangolo a Klaus Allofs – giovane attaccante del Fortuna Düsseldorf che ha segnato una tripletta contro l’Olanda. Ricevuto il passaggio di ritorno, con un controllo a seguire salta il diretto avversario e serve Hrubesch. Quattro tocchi, tutti d’esterno, tutti perfetti ed eseguiti a una velocità fuori scala rispetto al contesto. Compagni e avversari sembrano appartenere a un’altra dimensione temporale.
L’uomo del destino
Horst Hrubesch è entrato nel giro della nazionale abbastanza tardi. Ha giocato solo due partite prima della fase finale degli Europei. Da lì in avanti collezionerà traguardi notevoli, con la nazionale e con la sua squadra, l’Amburgo. Ma quella sera nessuno immaginava che sarebbe stato l’uomo del destino per la Germania Ovest. Controllo di petto a rientrare che manda fuori tempo il marcatore e tiro dal limite improvviso. Il rimbalzo inganna uno Pfaff non impeccabile e i tedeschi sono in vantaggio.
Al 75′ il pareggio belga, su rigore, fischiato per l’atterramento di Van der Elst. Lo segna René Vandereycken, che l’estate successiva verrà ingaggiato dal neopromosso Genoa, divenendo il primo straniero tesserato dai liguri dopo la riapertura delle frontiere. Ma quando la partita sembrava avviarsi ai supplementari, su un corner calciato da Rumenigge, sarà ancora Hrubesch ad approfittare di un’uscita errata di Pfaff e a segnare, di testa, il gol decisivo.
L’alba di un decennio da ricordare (nel bene e nel male)
Per la Germania è il secondo titolo europeo, con un gruppo di giocatori che arriverà anche a giocarsi due finali mondiali nel corso degli anni ’80. Mentre il Belgio ha in quel secondo posto il miglior piazzamento agli Europei di calcio. Per ora. Perché non è detto che Hazard, Mertens e Lukaku non riescano a fare anche meglio quest’estate…
Il vecchio capitano Dietz alza nel cielo di Roma quel trofeo che ha solo sfiorato quattro anni prima. E va così in archivio un’edizione degli Europei di calcio che ricordano in pochi. Soprattutto nel paese che li ha ospitati. Forse fu più la fine di un mondo antico, che l’inizio di un decennio calcisticamente spettacolare; il decennio di Platini, Zico e Maradona, dell’Italia Campione del Mondo, della Juventus di Trapattoni, del Milan di Sacchi, dell’Inter dei record, del Verona scudettato; della Steaua Bucarest e della Stella Rossa che vincono la Coppa dei Campioni. Ma anche della tragedia dell’Heysel e di Hillsborough, della rissa etnica tra Stella Rossa e Dinamo Zagabria. Anni di calcio sorprendenti, divertenti, tragici e grotteschi: come tutti gli anni ’80. Inaugurati dagli Europei di calcio che nessuno, a parte i paesi delle nazionali finaliste, ricorda si siano giocati.
Simone Sciutteri