Europei di calcio story: Francia ’60, il trionfo di Yashin e la partita che non si è giocata…

Europei di calcio

Fu un primo tentativo, parzialmente riuscito. La prima edizione degli Europei di calcio si giocò in Francia e la vinse l’Unione Sovietica di Lev Yashin. Ma nella storia è rimasto un incontro che non venne neppure disputato…

La decolonizzazione procedeva tra contrasti e faticose transizioni. Quell’anno ottennero l’indipendenza Camerun, Senegal e Congo. In Italia, intanto, si insediava il governo Tambroni, nominato al posto del dimissionario Segni ed eletto coi voti della DC, dei monarchici e dell’MSI. Usciva nelle sale uno dei capolavori di Fellini, La dolce vita, che – nonostante gli strali della destra e della Chiesa – trionferà al Festival del cinema di Cannes. La Juventus vinse il campionato di serie A, per distacco, davanti alla Fiorentina. Il funambolico oriundo Omar Sivori vinse la classifica dei cannonieri. Ma, calcisticamente, in Italia, il 1960 è un anno entrato nella storia soprattutto perché iniziò le sue trasmissioni Tutto il calcio minuto per minuto. Il campionato, alla radio, per tutti.

Europei di calcio: primo tentativo

Intanto la UEFA lanciava i Campionati Europei di calcio. L’idea era quella di creare un torneo più coinvolgente dell’antesignana Coppa Internazionale. D’altra parte i Mondiali si svolgevano ogni quattro anni, lasciando libera un’ampia finestra per un altro torneo dedicato alle nazionali. L’idea non riscosse molto successo, inizialmente. Già si parlava di calendario calcistico troppo pieno per aggiungere altro. E un torneo appena nato difettava ancora di appeal. Nazionali come Inghilterra e Germania Ovest diedero forfait. Anche l’Italia non partecipò, ma in questo caso la motivazione fu diversa: dopo la mancata qualificazione ai Mondiali del ’58 si temeva un’altra figuraccia internazionale e la Federazione preferì evitare.

I primi Europei avevano una formula assai diversa. Le prime fasi si disputavano con partite di andate e ritorno. Solo le semifinali e le finali si sarebbero svolte in un’unica sede, decisa una volta conosciute le quattro qualificate. Agli atti finali arrivarono URSS, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Francia. Un torneo sbilanciato “a est” che non deve stupire. Nei paesi oltre la “cortina di ferro” lo sport era una cosa decisamente più seria che dalle nostre parti.

Gli anni del grande Real Madrid

Erano però “gli anni d’oro del grande Real”, che aveva da poco conquistato la quinta Coppa dei Campioni. Di Stefano e Gento (insieme all’ungherese Puskas) erano il terrore delle difese di tutta Europa e facevano della Spagna una delle nazionali più temibili. Eppure alla fase finale gli spagnoli non ci arrivarono. Si fermarono prima, senza neppure perdere una partita.

Guerra fredda vs. Europei di calcio

Anni ’60, la Guerra Fredda è ancora una realtà. Per quanto Nikita Chruščёv avesse avviato il processo di destalinizzazione, il disgelo era ancora lungi dal compiersi. Anzi, da lì a due anni si sarebbe toccato uno dei momenti di massima tensione con la crisi dei missili cubani. E negli anni ’60 il Generalissimo Francisco Franco è ancora saldamente in sella al suo scranno dittatoriale. Il caudillo, al potere da vent’anni, si sta ancora dando da fare nella sua opera di repressione e omologazione; da un paio d’anni deve fronteggiare anche la neonata ETA. Si potrebbe pensare che avesse probabilmente cose più importanti a cui pensare; ma Franco invece è un appassionato di fùtbol ed è un grande tifoso proprio del Real Madrid (se vi state chiedendo se per caso questo abbia a che fare con la grande rivalità tra il Real e i catalani del Barcellona, sì: c’entra ed anche parecchio). Così, quando il sorteggio abbina per i quarti di finale la sua Spagna all’Unione Sovietica, il caudillo si mette di traverso.

La crociata del caudillo

“Non permetterò che i miei giocatori vadano a disputare un incontro in un paese comunista”: questo, sostanzialmente, il Franco-pensiero. Ma per i giocatori, agli ordini del futuro mago interista Helenio Herrera, fu un fulmine a ciel sereno. “Un peccato – ricorda l’allora portiere dell’Atletico Madrid e della nazionale, Enrique Collar – perché eravamo una grande squadra e avremmo potuto vincere gli Europei”

La historia es la que es y estas cosas pasaban. Hubo que acatar las órdenes porque eso eran, órdenes. Siempre nos quedó la duda de si pudimos ser los primeros campeones – Enrique Collar, allora portiere della nazionale spagnola

Bisognava ubbidire agli ordini, perché quello erano: ordini. Contro il volere propagandistico del generalissimo si infransero i sogni sportivi dei giocatori.

Lo stop arrivò il giorno della partenza. A quanto pare la decisione era stata presa cinque giorni prima, ma non era ancora stata comunicata alla Federazione. Probabilmente cercarono di fargli cambiare idea, ma il dittatore fu inamovibile. Non avrebbe tollerato di sentire l’inno sovietico suonato a Madrid o di veder sventolare la bandiera con falce e martello in terra di Spagna. Non aveva certo dimenticato gli aiuti inviati dai russi ai Repubblicani durante la guerra civile. Tantomeno avrebbe voluto rischiare di perdere contro i sovietici, che ancora tenevano prigionieri – condannati per crimini di guerra – membri della Division Azùl, il reggimento di fanteria spagnola che combatté con l’esercito nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.

La fase finale in Francia

Così la Spagna perse 0-3 e 0-3 a tavolino entrambe le partite. Gli appassionati di calcio si persero lo scontro sportivo tra Di Stefano e il mitico portiere russo Yashin. E l’URSS volò alla fase finale dei primi Europei di calcio della storia.

Dal 6 al 10 luglio. Quattro partite secche per determinare campioni dei primi Europei di calcio della storia. A Parigi la Jugoslavia ribaltò i padroni di casa, rimontando una partita spettacolare, terminata 5 a 4. Decisiva la doppietta di Dražan Jerković, attaccante della Dinamo Zagabria, che segnò due gol in due minuti. A Marsiglia, invece, l’URSS si sbarazzò facilmente della Cecoslovacchia guidata da Josef Masopust, futuro pallone d’oro. Era, quella cecoslovacca, una squadra di tutto rispetto: due anni più tardi, ai mondiali cileni, si piegherà solo al Brasile di Pelé, in finale. Ma quel pomeriggio a Marsiglia non ci fu storia: 3 a 0 e sovietici che si qualificano alla finale degli Europei. Il terzo gol lo segna Viktor Vladimirovič Ponedel’nik. Attaccante da 20 gol in 29 presenze in nazionale, militava nello SKA Rostov, la squadra che apparteneva alla sezione sportiva dell’Armata Rossa. A voler leggere in chiave profetica quanto successe al Parco dei Principi, si potrebbe azzardare che fu un triste presagio di quando i carri armati dell’Armata Rossa, poco più di otto anni più tardi, occuperanno Praga ponendo fine alla sua primavera. Anche se la primavera calcistica cecoslovacca, nel 1960, era appena iniziata…

La finalissima

La finale fu combattuta. I tempi regolamentari si chiusero sull’1 a 1 e per decidere il vincitore dei primi Europei di calcio ci volle un colpo di testa, ancora di Ponedel’nik al 113′. Anche in questo caso, il confine tra sport e politica era piuttosto labile…anche se – dopo la morte di Stalin – la tensione tra URSS e Jugoslavia era notevolmente calata. Comunque, un anno più tardi, il generale Tito segnerà inequivocabilmente la distanza fondando il movimento dei paesi non-allineati.

Ma questa è un’altra storia. Nel 1960, però, la Storia si mise di traverso sulla strada dei primi Europei di calcio della storia. L’appuntamento tra sovietici e spagnoli, comunque, era solo rimandato: si ritroveranno, quattro anni più tardi, in finale. E proprio in quel Santiago Bernabeu di Madrid che Franco non voleva vedere “invaso” dai comunisti; perché la seconda edizione degli Europei di calcio sarà disputata proprio nella Spagna franchista. E la nazionale trionferà davanti al suo caudillo.




Ma nel frattempo sarà l’URSS a vivere un quadriennio da Campione d’Europa in carica. E a voler – com’è giusto – pensare solo allo sport in quanto tale, fu sicuramente una vittoria meritata. Quella sovietica era una squadra all’avanguardia, frutto di un sistema sportivo organizzatissimo, per l’epoca. E fu il coronamento della carriera di una leggenda come il portiere sovietico Yashin, il “ragno nero”: unico portiere ad aver vinto il Pallone d’oro e considerato – ancora oggi – il migliore di sempre nel suo ruolo.

Simone Sciutteri

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