Europee e sfiducia nella politica: una perdita di autorevolezza?

Europee e politica: perdita di autorevolezza

La politica è spinta, è voglia di cambiamento reale, di pensare a noi stessi, a come vorremmo essere, alle nostre pulsioni, ai nostri desideri. Se partiamo da queste cose la politica può diventare molto appassionante. Non la politica dei giochi dei rapporti di forza, ma la politica nel senso del pensiero inteso da Platone, della filosofia, dell’uomo. Significa avere un progetto che va anche oltre noi stessi per arrivare ai nostri figli e a chi verrà dopo di loro.
(Giorgio Gaber)

A pochi giorni di distanza dalle Europee la campagna elettorale prosegue infrenabile. Tra immagini e messaggi, fonda le sue mosse in un’atmosfera tratteggiata nel sensazionalismo e, talvolta, decorata da un’ormai non più insolita comicità. Uno scenario che apre a un attentissimo sguardo volto alla perdita di autorevolezza della politica, e si svolge in un panorama elettorale connotato da assenteismo e astensionismo.

Sfiducia e assenteismo

Secondo i dati di Fondazione Censis, raccolti a partire dalle prime elezioni europee del 1979 fino alle politiche del 2022, il tasso di astensionismo è protagonista di un costante aumento. Inoltre, nel medesimo studio è espressa un’elaborazione dei dati dell’eurobarometro aggiornata al 2023 che rileva per l’Italia una sfiducia nel parlamento europeo pari al 51%.

Ma dove fonda le sue radici l’astensionismo? Uno dei motivi della progressiva crescita dell’astensionismo è il profondo senso di sfiducia maturato dal fenomeno del declassamento sociale. Circa un terzo dei cittadini europei ha sperimentato gli effetti del declino del proprio reddito reale. Di tutti i cittadini europei che hanno sofferto questo fenomeno, 4 su 10 (il 39,1%) sono italiani.

Dunque, si tratta di individui che si recheranno alle urne con le conseguenze psicologiche e percettive di chi ha subito forti variazioni, in negativo, del proprio tenore di vita. L’avvertito tradimento della promessa di un miglioramento delle proprie condizioni sociali ed economiche, l’espediente di una regressione anziché l’appagamento delle aspettative di un progresso, pesa sulla partecipazione alla politica che, avendo perso credibilità, crea una distanza tra questa e il cittadino. A dimostrarlo è lo studio del Censis che illustra come a seguito della crisi del 2008 si sia verificato un incisivo calo della fiducia e della propensione alla partecipazione elettorale.

Sfiducia e disinteresse nella politica: perdita di autorevolezza?

A concorrere al fenomeno dell’astensionismo è il disinteresse. Infatti, un recente report dell’ISTAT riporta che le percentuali più rilevanti a illustrare le motivazioni della mancata partecipazione sono da ritrovarsi nel disinteresse e nella sfiducia riposti nell’istituzione politica.

Infatti, non si informa di politica il 27% dei cittadini italiani: il 64% di questi dichiara di non informarsi per ridotto interesse e il 25,5 % per sfiducia. La sfiducia e il disinteresse però possono considerarsi come strettamente correlati tra loro: due affluenti di uno stesso fiume la cui foce risale alla perdita di autorevolezza e credibilità della politica.

Pertanto, non si tratta di sentimenti che funzionano in modo unilaterale: la responsabilità di un mancato interesse è da ricercarsi non solo nel disinteressato ma anche nell’oggetto a cui tale sentimento è indirizzato.

Il riconoscimento di autorevolezza rappresenta il nucleo cruciale per qualsiasi funzione di responsabilità e comando. Quella delle istituzioni politiche, e in modo particolare dei leader politici, rappresenta la posizione di maggior rilievo in questo ambito, ciononostante sembra aver subito un progressivo sgretolamento di quei valori di saggezza, decoro, compostezza e serietà che hanno da sempre contraddistinto la politica. Secondo Platone, infatti, “Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi.

In tutta probabilità alimentato dalle sempre crescenti tendenze populiste, la classe dirigente, ha cominciato ad assumere atteggiamenti sempre meno istituzionali, spesso sdoganando un linguaggio poco raffinato, talvolta violento e troppo spesso comico. Ponendo al centro del dibattito politico le faccende personali e le scaramucce di poco conto invece che argomenti di rilevanza sociale. Tra campagne elettorali inconfutabilmente imbarazzanti come quella di Ciocca e Vannacci  in corsa alle europee, uno con balletti maschilisti da spot pubblicitario e l’altro con citazioni forzate alla X Mas, non si può far altro che accorgersi pacificamente di un mancato senso di serietà e autorevolezza.

Un tentativo di accostamento al popolo attraverso l’utilizzo di una condotta da “cittadino comune”, iperbolizzandola però nei suoi cliché. Facendo leva su reazioni emotive attraverso messaggi ad alto impatto sensazionalistico, che non trovano però un riscontro nelle esigenze concrete del paese. Un esempio di questo modus è la recente campagna di Salvini per le europee con la condivisione di una serie di post con denominatore comune la contrastante headline delle grafiche “meno Europa, più Italia”. Una di queste immagini rappresenta la difficoltà logistica nel bere dalle bottiglie con i tappi non estraibili. Un messaggio molto superficiale, poco utile, che mira alla pancia degli elettori e non certo ad argomentazioni di profondo interesse socio-politico.

D’altronde, scriveva Oscar Wild, “Adoro i partiti politici: sono gli unici luoghi rimasti dove la gente non parla di politica.”

Un precedente storico

Troviamo un altro esempio di atteggiamento poco istituzionale nell’episodio di Caivano che ha coinvolto la presidente Giorgia Meloni con il ministro De Luca, il quale aveva appellato precedentemente la suddetta a “stronza”. In risposta, attraverso un atteggiamento antifrastico, al momento dell’incontro la presidente ha lanciato una frecciata: “sono la stronza della Meloni”. Un Linguaggio che si presenta senz’altro lontano dalla compostezza richiesta da un confronto tra rappresentanti politici, ma non del tutto nuovo. Questo approccio comunicativo, molto diffuso oggi tra le figure dei vari partiti politici, infatti, è figlio della tendenza alla demonizzazione dell’avversario che cominciò a insidiarsi in modo profondo a partire già dalle elezioni del 1948.

Già dagli anni cinquanta, possiamo risalire a una condotta comunicativa grossolana, ricordando dell’espediente che vide la campagna elettorale di Togliatti contro Scelba cosparsa dall’emblematico slogan che citava “prenderemo a calci nel culo Scelba con i nostri stivali chiodati”.

Dunque, un linguaggio volgare non è recente novità. A essere nuovo, però, è l’insieme degli atteggiamenti e dei modi che vanno a costruire la complessità della percezione attuale della politica come qualcosa di buffonesco, poco attendibile, privo di sostanza e credibilità.

Conclusioni

Ad aggiungersi al pasticcio vi sono i numerosi scivoloni culturali dei vari ministri, gli insulti ai giornalisti, gli atteggiamenti sgarbati, le assenze in parlamento, e soprattutto i curriculum giudiziari preoccupanti dei vari candidati, di cui alcuni espulsi dal parlamento poiché indegni dell’incarico, purtuttavia mandati a investirsi delle responsabilità europee (clicca qui per consultare l’elenco degli “impresentabili”).

Il panorama dipinto, e appena accennato, non è certo rassicurante a coinvolgere il cittadino alla partecipazione a qualcosa che ha perso la sua credibilità. Tuttavia, il voto, è l’unico strumento utile a limitare la presenza di figure caratterizzate da una forte mancanza di autorevolezza. Votare permette ai cittadini non solo di scegliere da chi essere rappresentati ma anche da chi non esserlo. Esimersi dal prendere una scelta significa far scegliere agli altri il proprio destino senza aver partecipato. 

Alessandra Familari

 

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