Cristo si è fermato al Brennero, così pare; e sta mostrando all’Europa le sue stigmate.
Perchè chi non vede, non crede.
Hannah Arendt diceva:
“Comprendere cosa significa l’atroce, non negarne l’esistenza, affrontare spegiudicatamente la realtà”.
Stiamo vivendo un’Europa che si sfalda. Un‘Europa che sfoggia al vivo le sue debolezze, come ferite aperte, mai riemarginate, dalle quali emerge nient’altro che carne viva, e fiumi di sangue umano.
Un’Europa composta da tante formichine, che non trovano più la via di casa. Un’Europa che, come Gesù Cristo, è stata crocefissa, e ora ne mostra le stigmate.
Un’Europa reale, che dopo il biennio 1989/1991 ha iniziato a mutare, ad allargarsi, inglobando una metà orientale, compreso quel grande tallone di Mosca; una volta scongelata quella che è stata per troppi anni una guerra fredda. Fredda, ma altrettanto temibile. L’abbiamo studiata sui libri di scuola, ma riviverla è di certo un altro paio di maniche.
Negli ultimi anni, la nostra famiglia continentale, ha dovuto affrontare diverse crisi, disastrose, che non hanno di certo mancato di violenze e truci barbarie. L’essere umano non si smentisce mai. Il volto della nostra Europa è stato sfigurato, sfregiato, abbiamo avuto modo di mostrare i segni inequivocabili del tempo, una volta caduto il trucco; una stanchezza disarmante, un’unione sempre più vacillante, Stati membri, meno che mai coesi l’uno all’altro. Egoismo e vergogna, questo si nascondeva dietro ad un pesante maquillage.Vergogna, per quella famiglia, che avrebbe dovuto essere nostra, ma che ha fallito miseramente.
Euro, Ucraina, migrazione, terrorismo. Ognuna di queste crisi è una cartina da tornasole, che giunge a ricordarci quanto sia utopica e fittizia questa nostra unione. Un’unione polverosa, sporca, almeno quanto la nostra coscienza. Non siamo più una comunità. Siamo solo formichine che vagano all’impazzata, che hanno perso la strada verso il formicaio, e tentano di sopravvivere, fuggendo dal pericolo imcombente della suola dell’invasore.
Delle 4 crisi elencate, di certo la peggiore è l’ondata migratoria, che ha scatenato impulsi xenofobi, dando fiato a politiche che altro non fanno che alimentare la paura del’altro. A tutto questo, si accoda maldestramente l’ansia del terrorismo. La paura del diverso, del muso nero. Siamo tutti ottimi politici quando si tratta di carburare odio, terrore, e spargerlo sulle strade, come fosse sale, sulla testa della gente. L’altro è semplicemente un migrante, additato come terrorista, ma forse è anche un nostro vicino. Europeo? Africano? Poco importa. Lo spettacolo al quale assistiamo, è davvero raccapicciante.
I singoli stati europei si rimbalzano i migranti come se fossero palline da flipper, scaricando le gestione di questi allo Stato vicino. E’ tutta questione di fratellanza. Ed è proprio in nome di questa, che i britannici si assicurano che i disperati non oltrepassino la Manica, ma rimangano ammassati lì dove sono, in quell’inferno di Calais. L’umanità porterebbe all’accoglienza. Ma chi l’ha più vista questa umanità?
L’Europa si esprime a parole, sulla questione migranti. Ma per chi vive le zone di frontiera: Ventimiglia, Calais, Lampedusa, il Brennero, parlano i fatti, e le realtà che si sono costruiti, giorno dopo giorno.
Forse bisogna disintegrare le barriere dell’odio e dei pregiudizi. Forse.
Ma questa tanto citata accettazione dov è?
Spesso sembra che questi muri dell’odio e dell’indifferenza vegano costruiti di mattoni e cemento, e la speranza, la mia, e quella di molti altri come me, voli, spazzata via in una folata di vento. Un po’ come la casetta di paglia dei tre porcellini.
E poi c’è l‘Austria, che si diverte a rimbalzare i migranti nella nostra frontiera, rispettando la legge chimica dell’osmosi, dove il flusso viene coinvogliato nelle zone più ad alta concentrazione. E dove se non in Italia? Oltre a bloccare i migranti, provenienti dallo stivale, impedisce anche che il nostro Paese li rispedisca indietro. Pacchetto di posta prioritaria, ben incartato, da rispedire al mittente.
Scorro distrattamente le pagine del “L’Espresso”. La mia attenzione è immediatamente catturata da un’immagine, una fotografia; due, tre, quattro fotografie, che ritraggono l’attuale situazione che pulsa come un cuore impazzito al Brennero. Gli agenti che pattugliano la stazione, per bloccare i migranti, e questi, che rivolgono lo sguardo alle telecamere, attoniti, persi, in qualcosa che non riescono a comprendere, ne tanto meno ad accettare. La paura.
“Lasciateci vivere”.
Si dice che i muri facciano più rumore quando cadono, che quando vengono issati.
Leggo, tra le righe che si’ingarbugliano sotto i miei occhi, che il progetto austriaco prevede 370 metri di confine visibile, e un imbuto più stretto per le auto che viaggiano dal sud. Il confine già c’è, anche se invisibile, e il muro pure. Di muri, in realtà, ce ne sono tanti.
Ma c’è un trafiletto, che le mie pupille scorrono frettolosamente, per poi ritornarci due secondi dopo.
“C’è una differenza, della quale forse non siamo mai abbastanza orgogliosi: l’Italia di vite umane ne ha salvate a migliaia, mentre polizie e persino militari di alcuni soci della nostra Europa, accoglievano a bastonate chi si affacciava sulla soglia delle barriere, frettolosamente erette per impedirne il passaggio”.
Bene sono italiana, e forse per una volta posso essere fiera di esserlo. Anche se ho il timore di urlarlo troppo forte.
Reclamiamo il nostro diritto di essere liberi, noi abitanti di questa penisola. Ma chi ha il potere di decidere chi può godere di questa libertà, e chi no? E’ possibile conciliare il diritto all’accoglienza di questi migranti, presenza scomoda e quanto mai ingombrante, con il nostro sacrosanto diritto di essere liberi, e di vivere in un territorio sicuro?
Al Brennero si respira una calma irreale. Nessuno sembra essere scosso da questo ininterrotto via vai delle forse dell’ordine, polizia, carabinieri, esercito. Tutti rispondono a comandi, che arrivano dall’alto.
Splendido e struggente esempio di banalità del male.
La cosa più sconcertante del male, è la facilità con cui l’essere umano si abitua ad esso.
Il confine italo austriaco è diventato un colabrodo a corrente alternata; rispetta, come ho già accennato, la legge dell’Osmosi. Dall’Italia all’Austria non si passa, (la membrana cellulare è impermeabile), ma dal verso contrario si passa eccome, anzi il passaggio è quanto mai facilitato da un calcio nel posteriore, neanche troppo metaforico.
Sembra che Vienna stia rispettando la legge di Dublino III. Ma di cosa si tratta?
Della convenzione europea sui migranti, un testo che regola la richiesta di asilo da parte dei cittadini extracomunitari, che fuggono da Paesi afflitti dalla guerra, o persecuzioni di natura politica e religiosa.
Nella sua ultima versione, in vigore dal 2014, prevede in principio che la richiesta d’asilo debba essere fatta nel primo Paese in cui si metta piede. Questo prevede la legge… Ma ora ci ritroviamo a fare i conti con situazioni paradossali, dove da un lato troviamo il richiedente asilo, che non vuole stare nel Paese in cui sbarca; dall’altra, lo stesso Paese che si ritrova ad ospitarlo malvolentieri.
E’ altrettanto vero che lo Stato che salva dalle proprie acque territoriali un migrante, dovrà poi farsi carico della sua tutela. Un fardello non indifferente.
Ma torniamo al Brennero, una linea di confine, una striscia di terra che manifesta questo momento storico, questa crisi, questo paradosso, che vede una folla di migranti sospesi, tra un confine e l’altro. L’Austria è a 34 chilometri. C’è chi sarebbe disposto a farli a piedi.
La gente alza le spalle, dinnanzi a questa realtà. La situazione è sempre la stessa,la condizione è misera, una realtà che si preferirebbe non vedere.
Alzano le spalle e abbozzano un sorriso, gli abitanti del posto. Ma i migranti no. Il loro sgomento è reale, silenzioso, e odora di quella dignità, che è stata risucchiata nel vortice della miseria. Cerano una soluzione loro. Ma quale? Quello che emerge dai loro occhi vuoti, non assomiglia neanche lontanamente a nessuna delle vie d’uscita che noi, ignari italiani di buona famiglia, possiamo offrire.
Il Brennero è una fermata obbligata, ma non la fine del viaggio.
La comunità europea sta davvero morendo al largo della Sicilia, e del Brennero.
Sta morendo, come Cristo in croce, nello stesso momento in cui muoiono le speranze negli sguardi vuoti dei migranti.
Si legge sul “L’Espresso” una citazione, scritta nel lontano 2007, in un phamplet a 4 mani, da Patrick Channoiseau e Edouard Glissant.
“Ogni volta che una civiltà non è riuscita a pensare a l’altro, queste rigide difese di filo spinato, di reti elettrificate, o di ideologie chiuse, si sono innalzate, sono crollate, e ora ritornano con nuovi stridori”.
Il male continua ad esprimersi, nella sua più limpida banalità.
Elisa Bellino