Europa: tra guerra e crisi emerge la classe operaia

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Europa: tra guerra e crisi emerge la classe operaia

Un anno di guerra è abbastanza per comprendere le tendenze fondamentali di questo conflitto interimperialista e le sue vaste conseguenze per la classe operaia, l’economia e le relazioni internazionali. L’economia mondiale capitalista è scossa contemporaneamente da un’inflazione rovinosa e da una recessione. Le istituzioni della democrazia borghese nei Paesi capitalisti avanzati stanno crollando. I movimenti estremisti di destra e neofascisti sono in aumento in tutto il mondo.

Ad oggi, i governanti non sono riusciti a conquistare le grandi masse per questa guerra in Ucraina, che è ingiusta per entrambe le parti. Ma il grave pericolo di una guerra nucleare è sottovalutato da molte persone. Il vecchio movimento per la pace è esso stesso in crisi. Mentre alcuni si schierano con la NATO, altri seguono Putin. Alla ricerca del presunto male minore, l’opportunismo di alcune persone si spinge fino a correre con forze reazionarie o fasciste.

In Europa sta iniziando una situazione oggettivamente rivoluzionaria. Le alternative sono chiare come quando scoppiò la prima guerra mondiale. O la classe capitalista fa precipitare l’Europa e il mondo in una guerra globale tra Stati dotati di armi nucleari. Oppure la classe operaia prende il potere dalle élite dominanti militariste.

Lo stato d’animo popolare europeo è plasmato dall’incertezza e dai timori portando a un aumento significativo delle proteste e delle lotte sindacali. Ciò è radicato nell’inasprimento della situazione economica e sociale. Si sta verificando una stanchezza, soprattutto nelle classi lavoratrici. Legata a tutte le pressioni precedenti, a tutti i tagli e gli aggiustamenti che continuano a essere fatti.

Il Welfare State europeo attraversa una nuova fase di offensiva contro i suoi settori essenziali: sanità, istruzione, previdenza sociale, pensioni e previdenza. Sono sotto una raffica di tagli e politiche restrittive che, nelle ultime settimane, hanno portato milioni di persone in piazza in diversi Paesi. L’ondata internazionale di lotte che la classe operaia ha lanciato in tutta Europa (e non solo) contro i contratti svenduti e il “dialogo sociale” tra le burocrazie Sindacali Nazionali e le classi dominanti ne costituisce l’irruzione storica autonoma.

Da tempo è in corso il riarmo, la guerra in Ucraina è solo un pretesto per legittimarlo. Pur affermando di non poter fare alcuna concessione alle crescenti richieste delle masse, i Governi europei, di tutti i colori, stanno incautamente intensificando la guerra.  Stanno sprecando centinaia di miliardi per i loro eserciti e per armare il regime ucraino fino ai denti, il cui costo sarà sostenuto dalla classe operaia in ogni Paese.

Va da se che la guerra degli Stati Uniti e della NATO contro la Russia è una pietra miliare sulla via della terza guerra mondiale. La causa e il carattere essenziali di una guerra non sono determinati da chi ‘ha sparato il primo colpo’. Ma dagli interessi socioeconomici e geopolitici delle classi al potere nei Paesi in guerra.

Lo spirito dietro le lotte di milioni di persone è stato incipientemente anticapitalista, contro la guerra e socialista. Dopo decenni di salvataggi statali e l’aumento dell’inflazione globale,  i lavoratori rifiutano con rabbia le politiche attuate. Politiche che sventrano pensioni, servizi sociali, contratti che riducono i salari. Non accettano di essere impoveriti per deviare la ricchezza sociale verso una guerra su vasta scala con la Russia.

Oggi come ieri, la necessità, la ragione, la dignità e la giustizia sociale esigono che le disuguaglianze scompaiano.

La classe operaia appare: nella crisi rivoluzionaria in Iran, nelle ondate di scioperi in Europa e nelle lotte sindacali contro l’inflazione in Germania. La rabbia sociale sta alimentando un movimento di sciopero continentale della classe operaia. Che a sua volta è un’espressione avanzata di un’incipiente esplosione globale della lotta di classe. La questione decisiva è sviluppare nella classe operaia la coscienza che le sue lotte contro padroni o Governi Nazionali fanno parte di un’offensiva Internazionale oggettivamente unita della classe operaia contro il capitalismo.

Gran Bretagna, Francia, Spagna e Portogallo i Paesi dove le proteste sono state più forti. In Francia, oltre 5 giorni di scioperi e manifestazioni, più di 10 milioni di persone hanno manifestato contro la riforma del sistema pensionistico presentata dal Presidente Emmanuel Macron.

Ma non sono gli unici. C’è una pressione affinché i salari tengano il passo con l’inflazione, con conseguenti richieste salariali più elevate in molti Paesi, a volte superiori al 10%. Proteste considerevoli, anche se non di massa, sono state organizzate dai lavoratori in molti paesi, tra cui Italia e Paesi Bassi. In Grecia c’è stato il più grande sciopero generale di 24 ore da qualche tempo.

In Austria e Belgio i leader sindacali sono stati spinti a fare discorsi dal suono radicale e a indire scioperi. Anche in Turchia, nell’ultimo anno, ci sono stati più di 100 scioperi contro l’aumento del costo della vita e diversi scioperi generali degli operatori sanitari. La rabbia sociale delle masse lavoratrici è diretta verso un’esplosione rivoluzionaria.

Tutto ciò ha approfondito le tendenze esistenti verso l’instabilità politica. La polarizzazione politica e sociale e l’insoddisfazione nei confronti dei Governi e delle Istituzioni. Da tempo una caratteristica diffusa è l’indebolimento, o addirittura la scomparsa, dei tradizionali partiti al potere. La crescita di ‘nuovi’ partiti di diverso carattere e una crescente sfiducia nei confronti delle strutture ufficiali.

Non c’è quasi nessun paese europeo che sia veramente stabile. Un esempio degno di nota è la Gran Bretagna. Il declino dell’imperialismo britannico è emerso nel tumulto dello scorso anno che ha portato a tre capi di Governo in meno di sei mesi.

Ciò riflette il fatto che l’Europa stessa è un continente di Stati-Nazione. All’interno dei quali esiste un blocco: l’Unione Europea, che di per sé non è uno Stato Federale e, contemporaneamente, è composto da un insieme di singoli Stati Nazionali. Ciascuno con il proprio Governo, interessi di classe, alleanze e questioni interne.

Lotta contro il braccio teso degli stati imperialisti nelle file dei lavoratori per fermare l’escalation della guerra

L’inflazione sta divorando i salari in tutta Europa. Si stanno preparando brutali tagli alle pensioni e l’assistenza sanitaria pubblica viene dissanguata in tutto il continente, destinata a scendere da una media del 7,6% del PIL nel 2020 al 6,7% nel 2025. Nel frattempo, i piani aggressivi di riarmo imperialista e un riallineamento guerrafondaio della politica estera sono in pieno svolgimento. Come illustrato al vertice della NATO dello scorso giugno e ora con l’annuncio del dispiegamento di carri armati in Ucraina.

Se prendiamo i tre Paesi di cui abbiamo parlato, la loro spesa militare è salita alle stelle negli ultimi mesi. La Francia ha appena annunciato un aumento del 30% del proprio budget militare. Ovvero 100 miliardi di euro in più all’anno. Il Regno Unito ha annunciato a settembre un piano per raddoppiare le spese militari entro il 2030.

Il Governo ‘progressista’ spagnolo ha aumentato le spese militari del 26% nel bilancio 2023. Raggiungendo un livello record. Una corsa agli armamenti che continua il cammino intrapreso dalla Germania con il fondo speciale da 100 miliardi approvato all’inizio della guerra. L’Italia ha investito 1,37% del Pil: 24,4 miliardi di euro.

Questi piani sono generalmente incontrastati dai leader sindacali, sostengono i Governi nell’escalation iniziata un anno fa. Tutto ciò che hanno ottenuto è una sfida parziale alla natura gonfiata della spesa rispetto ad altre voci di bilancio. Mentre è chiaro che i miliardi da spendere in carri armati, obici e fregate vengono distolti da ospedali, scuole e servizi sociali.

Ma questa non è l’unica ragione per cui la classe operaia dovrebbe opporsi a questa corsa agli armamenti. Perché dietro questi piani si celano le cause più profonde dell’attuale crisi inflazionistica. Vale a dire le politiche sempre più aggressive dell’imperialismo europeo nelle sue zone di influenza. Come il Nord Africa o l’Europa dell’Est. E le tendenze verso uno scenario globale in cui nuove e peggiori guerre tra i poteri diventano sempre più probabili.

La lotta anche contro il ruolo di queste burocrazie sindacali come agenti del proprio imperialismo è quindi una questione di prim’ordine. Quasi una questione di sopravvivenza. Al tempo stesso come una politica di unificazione della classe operaia e di sviluppo dell’autorganizzazione. Solo con l’enorme potere del colosso della classe operaia europea che mostra il suo potenziale in questi giorni, saremo in grado di fermare la svalutazione salariale e la macchina da guerra scatenata dagli Stati imperialisti del continente.

L’imperialismo occidentale non ha raggiunto i suoi obiettivi.

Gli Stati Uniti hanno visto la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel ’91 come un’opportunità per ottenere una supremazia globale incontrastata. La propaganda imperialista ha accolto ciò come un ‘momento unipolare’ dove gli USA avrebbero stabilito un ‘nuovo ordine mondiale’ nell’interesse di Wall Street.

La strategia disegnata dal Dipartimento di Stato americano è fallita. La Russia non è sconfitta, né isolata, né le sanzioni economiche sono riuscite a torcere il braccio del regime di Putin. Mentre il PIL dell’Ucraina è diminuito del 30,4% nel 2022, l’economia russa si è contratta solo del 2,5%.Ben lontana dal calo del 10% previsto dalle organizzazioni occidentali nel febbraio 2022. Anche il FMI ha migliorato le sue previsioni per la Russia e si aspetta che il suo PIL cresca dello 0,3% nel 2023.

I dati che emergono dai quotidiani più seri sono conclusivi. Tra il 24 febbraio e il 15 dicembre l’Unione Europea ha imposto 10.300 sanzioni alla Russia. È già sul decimo pacchetto di sanzioni. Le sanzioni dovevano servire affinché la Russia perdesse la guerra o, almeno, la guerra energetica. Il Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock aveva affermato che l’obiettivo era ‘rovinare’ la Russia.  Il Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen era necessario ‘smantellare, passo dopo passo, la capacità industriale della Russia’.

Ma, ad oggi, l’economia russa non è crollata. Le sue entrate dall’esportazione di idrocarburi sono aumentate del 28%. La cassa che sostiene la guerra a Mosca non è stata svuotata. Secondo alcuni dati, il commercio russo sembra essere in gran parte tornato al livello precedente all’invasione dell’Ucraina. In parte, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che molte Nazioni hanno avuto difficoltà a lasciare la Russia.




Una recente ricerca ha dimostrato che meno del 9% delle società con sede nell’Unione Europea e nei Paesi  G7 avrebbe venduto una delle loro sussidiarie russe. Mentre le compagnie di navigazione hanno assistito a un aumento dell’attività delle flotte che potrebbero aiutare la Russia a esportare la sua energia, eludendo le restrizioni occidentali. Nel complesso, le esportazioni cinesi verso la Russia hanno raggiunto un record a dicembre, che contribuiscono al forte calo delle commercio con l’Europa.

Il blocco degli alleati occidentali non è più solido oggi di quanto lo fosse un anno fa. Alcuni dei partner preferiti dagli Stati Uniti, come Turchia, India Arabia Saudita, si sono chiaramente orientati verso l’avversario. Le relazioni commerciali di questi Paesi con Cina e Russia sono salite alle stelle in modo esponenziale.

La Russia è rimasta il principale fornitore di petrolio dell’India. Con un volume record di 1,25 milioni di barili al giorno (bpd). Per la prima volta ha superato i tradizionali venditori di greggio India, Iraq e Arabia Saudita, rappresentando il 25% di tutto quanto importato dall’India. Terzo consumatore e importatore di greggio al mondo.

Gli acquisti cinesi di petrolio russo sono stati in media di 1,72 milioni di barili al giorno nel 2022. In aumento dell’8% rispetto al 2021, superando l’Arabia Saudita. E quest’ultimo esporta il 25% del suo petrolio in Cina. Cifra che continuerà a crescere.

L’ex alleato degli USA ha rifiutato le richieste di Biden all’OPEC di aumentare il prezzo del petrolio. A ciò si aggiunge che, lo scorso dicembre, durante la visita del Presidente cinese Xi Jinping a Riyadh, Arabia Saudita e Cina hanno deciso di elevare le loro relazioni alla categoria di partenariato strategico. Inoltre, una parte consistente del cambio sarà effettuata utilizzando lo yuan, delinea un altro passo nella lotta al dollaro. Fino ad ora moneta egemone nel commercio Internazionale.

La borghesia occidentale, sia degli USA che dell’UE, non è stata in grado di generare una mobilitazione di massa a favore della sua agenda imperialista in Ucraina. Mentre,  coloro che hanno chiesto la fine delle sanzioni contro la Russia hanno ottenuto una forte spazio. Nella Repubblica Ceca, Germania o Ungheria. La maggioranza dell’opinione pubblica in Europa non sostiene l’escalation per l’invio di altro  materiale bellico al regime di Zelensky.

La mancanza di credibilità del governo ucraino, nonostante la propaganda di guerra su cui insistono quotidianamente i media occidentali, è un grave problema per gli USA ei suoi alleati. L’idea che il Governo di Zelensky si batta per la democrazia e la liberazione Nazionale dell’Ucraina è in discussione. I legami con organizzazioni fasciste e la celebrazione del nazionalismo suprematista ucraino sono così evidenti che gli sforzi per imbiancare la sua immagine continuano a cadere nelle fessure della dimensione richiesta.

 

Felicia Bruscino 

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