Ettore contro Aiace: un esempio di etica della guerra nell’Iliade

Ettore contro Aiace

Il duello di Ettore contro Aiace, nel settimo libro dell’Iliade, ci offre una visione diversa e inattesa della guerra. Uno scontro forse oggi impensabile, fatto di regole, di rispetto per il nemico, di onore.

Etica della guerra“: con negli occhi la carneficina israelo-palestinese e quella ucraina, queste tre parole insieme suonano come una bestemmia. Eppure, c’è stato un tempo in cui il nemico non era un’entità da annichilire a qualunque costo. Un tempo in cui non tutto era concesso nello scontro: esistevano azioni onorevoli e valorose e azioni che trasformavano la vittoria in una vergogna indelebile. Leggendo il duello di Ettore contro Aiace in Iliade VII si può avere un assaggio di questo tempo così diverso dal nostro.



La sfida di Ettore

Il duello di Ettore contro Aiace, come molte vicende nel poema, ha inizio per volere degli Dei.

Ettore e Paride, infatti, stanno seminando morte e devastazione nella piana di Troia, massacrando gli avversari Achei. La dea Atena, alleata dei loro nemici, vedendoli fa per scendere in campo, ma viene fermata da Apollo, che parteggia invece per i Troiani. Il dio del sole sa bene che il destino della città che lui ama è segnato, ma finché potrà cercherà di ritardare l’inevitabile. Propone perciò alla sorella di suggerire agli uomini di interrompere la battaglia, affinché soltanto due campioni si scontrino per quel giorno. Atena accetta e le due divinità sussurrano quel proposito nel cuore di Eleno, fratello di Ettore, che lo esprime al principe troiano. Quest’ultimo, allora, incede in mezzo al campo di battaglia a lancia abbassata per prendere la parola. E quando il combattimento s’interrompe, lancia la sua sfida dicendo a gran voce:

Ascoltate, Troiani ed Achei dalle belle gambiere:
vi dirò quello che mi ordina il cuore nel petto. […]
Sono tra voi i migliori di tutti i Greci:
tra questi, colui che il suo cuore spinge a combattere
con me, sia il campione di tutti contro l’Illustre Ettore.
Questo propongo, e Zeus ci sia testimone:
se lui mi uccide con la lunga punta di bronzo,
mi spogli delle armi e le porti alle navi,
ma il mio corpo lo restituisca a casa, perché i Troiani e le spose troiane
mi concedano l’onore del rogo.
Se invece sarò io ad ucciderlo, e Apollo mi darà questa gloria,
lo spoglierò delle armi e le porterò alla sacra città di Troia […],
ma il corpo lo restituirò alle navi perché gli Achei
dai lunghi capelli lo possano seppellire, e in suo onore
elevino un tumulo sopra il vasto Ellesponto.
(Iliade, VII, vv. 67-87)

I timori dei Greci, la loro vergogna e il riscatto

Ettore ha lanciato la sfida, stabilendo condizioni onorevoli. Propone al campione acheo che lo affronterà la gloria, ma anche la certezza di essere trattato con rispetto. Eppure, gli Achei esitano: Ettore è il miglior combattente troiano, sfidarlo è come accettare di danzare con la morte. Un silenzio imbarazzato, pesantissimo, opprime le schiere greche.

Alla fine, è la voce di Menelao a levarsi per romperlo, rimproverando duramente i compagni:

“Ahimè, millantatori! Achee e non più Achei voi siete.
E questa sarà un’infamia più infame di tutti,
Se nessuno dei Greci affronterà Ettore
Possiate tutti diventare acqua e terra,
voi che restate seduti senza coraggio né onore.”
(vv. 97-100)

E detto questo il re di Sparta fa per armarsi e scendere in campo contro Ettore, ma viene fermato dagli altri sovrani e dal fratello Agamennone. Menelao, lo sanno bene, sarebbe ucciso facilmente da un avversario troppo superiore in forza e abilità. Ma dopo Menelao, nessun altro si fa avanti. Allora prende la parola Nestore, il vecchissimo re di Pilo, e ricorda ai Greci la gloria e il valore degli eroi del passato. Sarebbero questi i loro discendenti, chiede Nestore sprezzante, che non osano affrontare un nemico, per quanto forte, che li sfida?

“Ahimè, un grave lutto colpisce la terra di Grecia! […]
Oh, fossi ancora giovane e avessi intatta la forza; dovrebbe
affrontare me Ettore, l’eroe dall’elmo splendente.
Ma tra voi sono i migliori tra tutti i Greci,
e non avete il coraggio di muovere contro di lui.”
(vv. 124-160)

Udite queste parole, sono in nove ad alzarsi. Agamennone, il comandante in capo dell’esercito, per primo. Poi Diomede, i due Aiaci, Idomeneo e il suo scudiero Merione, Euripilo, Toante e Odisseo. Vogliono tutti battersi con Ettore per la gloria propria, del proprio regno e del popolo acheo.

Il duello di Ettore contro Aiace

Alla fine, è un’estrazione a sorte che decreta il duello di Ettore contro Aiace Telamonio, l’eroe mastodontico. Costui, avanzando come una montagna che cammina, con il suo aspetto feroce incute timore allo stesso principe troiano, che pure ormai non può più ritirarsi. Quando gli arriva davanti, Aiace anzitutto mette in chiaro una cosa. Sì, è vero che Achille, adirato con Agamennone, non sta più combattendo con gli Achei. Ma alle schiere greche non mancano eroi possenti e valorosi: lui è lì per dimostrarlo ai Troiani tutti e al loro principe.

Ettore non si lascia distrarre, né cede alla provocazione. Scaglia subito la lancia, invece, perforando lo scudo di Aiace, che fa altrettanto con la propria, strappando la tunica di Ettore oltre lo scudo. Con le lance dell’avversario si attaccano di nuovo e Aiace va a segno, ferendo di striscio il nemico al collo. Poiché la punta della lancia di Ettore, invece, si piega contro il bronzo dello scudo avversario, il troiano scaglia contro Aiace una grossa pietra. Mentre lo scudo dell’acheo risuona ancora del colpo, Aiace ne raccoglie una ancora più grande e la getta contro Ettore. Colpito alle gambe dietro lo scudo, il troiano frana a terra, ma si rialza aiutato da Apollo e fa per lanciarsi all’attacco con la spada.

È a questo punto che tra i due si frappongono, scettri in pungo, i due araldi Taltibio e Ideo. Sta scendendo la notte, dicono, e i due guerrieri si sono battuti valorosamente, dimostrando di essere entrambi cari a Zeus. Il duello di Ettore contro Aiace, come vuole la consuetudine, deve terminare.

La fine del duello di Ettore contro Aiace

Quello che più sconcerta del duello di Ettore contro Aiace è proprio la sua conclusione. Aiace, infatti, cortese ma deciso risponde agli araldi di entrambi i campi che dovrà essere il principe troiano a decidere. In fin dei conti, argomenta il Telamonio, è stato Ettore a lanciare la sfida. A lui il suo avversario risponde così:

Aiace, poiché il dio ti ha concesso forza e grandezza
e saggezza, e con la lancia sei il più forte dei Greci,
cessiamo la battaglia e il duello per oggi […].
Tu tornerai alle navi, a rallegrare gli Achei
e soprattutto i tuoi amici e compagni,
e io tornerò nella città di Priamo
a rallegrare i Troiani e le Troiane dal lungo peplo,
che pregheranno in mio onore nella sacra assemblea.
Ma scambiamoci l’uno con l’altro splendidi doni,
in modo che Achei e Troiani possano dire:
“Hanno combattuto una battaglia mortale,
ma si sono lasciati in amicizia e armonia”.
Così dicendo, gli diede una spada dalle borchie d’argento,
assieme al fodero e alla bellissima cinghia,
mentre Aiace diede a lui una cintura purpurea degna di un re.
(vv. 288-304)

Termina così il duello di Ettore contro Aiace, con due nemici che si scambiano doni in ricordo di quello scontro. L’uno e l’altro si sono affrontati a rischio della vita, ciascuno dei due ha provato il proprio valore sopravvivendo a un grande guerriero. Erano pronti a togliersi la vita nello spazio concesso alla lotta. Eppure, al di fuori di quella parentesi fatta di polvere, sudore e sangue, si scambiano parole e gesti di rispetto.

Leggere oggi lo scontro tra i due eroi

Io non so se, come sostenne il filosofo Eraclito diversi secoli dopo quello scontro, il Conflitto sia davvero “padre e re” di tutte le cose (fr. 80 DK). Se la violenza e la lotta siano realmente componenti ineliminabili della nostra natura e della nostra esperienza come umani. Qualora fosse così, però, vorrei che fossimo capaci di attraversare questo aspetto della nostra realtà secondo le modalità del duello di Ettore contro Aiace. Con rispetto, timore dell’ordine sacro di quel che ci circonda, prontezza al riconoscimento dell’altro. Anche, sì, quando l’altro ci è irriducibilmente e inconciliabilmente nemico.

Valeria Meazza

Exit mobile version